Lei mi parla ancora, la recensione: Fenomenologia del “per sempre”

La recensione di Lei mi parla ancora, il nuovo film di Pupi Avati che regala a Renato Pozzetto il suo primo ruolo drammatico.

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Lei mi parla ancora: Haber, Sandrelli e Pozzetto sul set del film

"Alla vigilia del cambiamento della sua vita la giovane Caterina scrisse una lettera al suo futuro sposo, gli prometteva che dandosi infinito e reciproco amore sarebbero stati immortali in tutti i luoghi e tutte le stagioni". Così la voce narrante fuori campo prepara pacata lo spettatore a entrare tra le pieghe del racconto d'amore, quello che ha scandito candidamente sessantacinque anni della vita di Nino e Caterina, fino alla scomparsa di lei: il nuovo film di Pupi Avati, come leggerete più avanti nella recensione di Lei mi parla ancora in onda su Sky dall'8 febbraio, è un'opera che trasuda tenerezza, forse la più intima e personale del regista bolognese, e nello stesso tempo la più pudica. Equilibrata e di rara grazia nel rievocare lo struggimento d'amore e la sacralità di un sentire antico e nobile, riesce a essere la perfetta trasfigurazione cinematografica dell'assenza.

Storia di un amore eterno

Musella Ragonese Fiume
Lei mi parla ancora: Lino Musella e Isabella Ragonese in una foto del film

Perché in fondo la storia di Lei mi parla ancora, narrata con piglio malinconico e sfuggendo la retorica strappalacrime, è la narrazione di un vuoto, quello lasciato da Caterina Cavallini che a ottantanove anni, la gran parte dei quali trascorsi accanto a Giuseppe Sgarbi, si congedò dal mondo. Pupi Avati prende spunto proprio dall'incipit del romanzo sul loro matrimonio, che dopo la sua morte lo stesso Sgarbi (qui interpretato da Renato Pozzetto) cominciò a scrivere con la collaborazione di un ghost writer romano.
Il film non indugia tanto sulle vicende rievocate da quel libro, quanto sulla situazione che portò alla sua nascita. Alla morte di Caterina (Stefania Sandrelli) affettuosamente chiamata Rina, la figlia, sperando di aiutare il padre Nino a elaborare la perdita della compagna di una vita, chiede a un aspirante romanziere, Amicangelo (Fabrizio Gifuni), di stargli accanto per scrivere, attraverso i suoi ricordi, un libro su quell'amore dal sapore immortale.

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Lei mi parla ancora: Chiara Caselli in una foto del film

Inizialmente spinto solo dal bisogno di soldi, Amicangelo accetterà e si lascerà lentamente sorprendere dal mondo di Nino fatto di memorie, sentimenti e un insanabile senso di vuoto che proverà a riempire parlando ancora con lei.
L'ambientazione è la Bassa Padana, quello che per Avati è "un luogo dell'anima", tra lo scivolare lento del Po e gli echi degli amori cantati da vecchi giradischi; il regista porta poi tutta la sua poesia nello spazio di un'enorme casa di campagna, che racconta di vecchie storie e custodisce piccoli segreti attraverso cimeli preziosi e capolavori dell'arte di tutte le epoche, frutto di anni di collezionismo e di battaglie leggendarie per strappare all'asta un Guercino e un Guido Reni.

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Renato Pozzetto al suo primo ruolo drammatico

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Lei mi parla ancora: una foto dal set del film diretto da Pupi Avati

Il film si sviluppa srotolando il filo dei ricordi, evocati attraverso i flashback, mentre cresce spesso la sensazione che i personaggi che si agitano nel continuo accavallarsi di passato e presente, abbiano la consistenza dei fantasmi. Presenze, ombre e visioni si affollano attorno a Nino, che Renato Pozzetto al suo debutto in un ruolo drammatico tratteggia con la disarmante tenacia di chi non si arrende all'assenza; è l'immagine della resistenza: resistere al tempo in ogni modo possibile pur di non consegnare all'oblio "il tepore" della sua Caterina, i suoi baci, i valzer in un bar di paese, o le serate trascorse a guardare film nella piccola arena di provincia. Su tutto si impone la forza della parola e delle immagini, una velata celebrazione della settima arte che immortala gli istanti e universalizza le storie. Tutto il cast è all'altezza del compito: sancire l'eternità di un amore, senza il bisogno di urlarlo.

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Lei mi parla ancora: Fabrizio Gifuni e Renato Pozzetto in una foto del film

Lo fanno i gesti e i non detti, le parole sussurrate, scritte e ritrovate, lo fa la memoria, o l'amicizia improbabile tra un romanziere in bolletta e un vecchio vedovo scorbutico, che continua a parlare con la sua amata. Dentro c'è il flusso irruento della rievocazione, mentre a suggellare la fenomenologia del "per sempre" è un omaggio a Cesare Pavese, sono sue infatti (da Dialoghi con Leucò) le battute finali pronunciate da Nino: "L'uomo mortale non ha che questo di immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia".

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Conclusioni

Pupi Avati ci regala, come abbiamo più volte sottolineato in questa recensione di Lei mi parla ancora, una delle sue opere più intime e personali. Oltre al merito di aver svelato le doti di attore drammatico di Renato Pozzetto, il regista bolognese ha anche quello di aver realizzato un film composto, che omaggia il cinema e l’arte, esaltandone il potere salvifico. Quel che ne rimane è la materia di cui sono fatti i ricordi che strappano al tempo istanti e sentimenti, consegnandoli all’eternità.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • Un film di rara grazia ed equilibrio nel raccontare lo struggimento d'amore e la sua sacralità.
  • Una storia universale, che diventa la perfetta narrazione dell’assenza.
  • Renato Pozzetto al suo primo ruolo drammatico è uno dei più bei regali che Pupi Avati potesse farci: dolente nella sua disarmate tenacia di strappare al tempo i ricordi della donna che gli è stata accanto una vita.

Cosa non va

  • Forse non tutti apprezzeranno un racconto così rarefatto e giocato sul filo del ricordo senza ricorrere alla retorica strappalacrime.