In attesa dell'uscita di Saving Mr. Banks che sarà in sala a partire dal 20 febbraio e che vede per protagonista Tom Hanks nei panni di Walt Disney, la Walt Disney Company Italia ha deciso di far precedere di qualche giorno la distribuzione di questa pellicola da un documentario in cui si racconta la forte fascinazione che il nostro paese ha sempre avuto verso il fantastico mondo disneyano: Walt Disney e l'Italia, che sarà distribuito dal 10 al 12 febbraio. Il film, diretto dal regista e giornalista cinematografico Marco Spagnoli, già autore tra gli altri di Hollywood sul Tevere, è composto da materiali di repertorio, in cui si vede Disney visitare l'Italia, a partire dal lontano 1935, e da interviste a una serie di famosi fan dei fumetti e dei cartoon Disney: Bruno Bozzetto, Edoardo Bennato, Marco Giallini, Fausto Brizzi, ecc. Al termine della presentazione romana di Walt Disney e l'Italia, Spagnoli ha tenuto un incontro con i giornalisti per parlare di questo suo nuovo lavoro.
Nel tuo documentario ci sono dei materiali di repertorio molto belli, come ad esempio l'intervista a Disney allo zoo di Torino nel 1961. Sei riuscito a mostrare tutto oppure qualcuno di questi materiali l'hai dovuto sacrificare? Marco Spagnoli: Beh, qualcosa abbiamo dovuto tagliarlo per forza. L'intento è stato quello di utilizzare il repertorio su Disney in Italia integrandolo all'interno del racconto del documentario, per dargli una forma, per comporlo meglio all'interno del racconto. Ad esempio, a proposito dell'intervista allo zoo di Torino, realizzata dal giornalista RAI Carlo Mazzarella e in cui, tra le altre cose, si vede Walt Disney che dà da mangiare agli elefanti, c'erano altri momenti molto belli, ma abbiamo dovuto sacrificarli per esigenze narrative.
Si passa spesso nel film a parlare ora dei fumetti Disney, cui l'Italia ha dato un apporto fondamentale, ora dei cartoon, che invece sono più prettamente americani. Come mai?Il passaggio da un tema all'altro è dipeso dalla singola volontà e passione degli intervistati. C'era chi voleva parlare solo dei fumetti, perché era particolarmente legato a quelli, e chi invece si è sempre sentito più influenzato dai film. Uno come Fausto Brizzi, invece, parla di entrambi, perché ama il mondo Disney in modo totalizzante. A proposito di questo, vi vorrei segnalare che il luogo in cui abbiamo intervistato Brizzi è davvero casa sua. Tutta quella memorabilia disneyana la tiene davvero in casa e sarebbe perfetta come set degli studi Disney. Aggiungerei anche un ringraziamento a Vincenzo Mollica che ha accettato di fare il narratore del film nei panni di Vincenzo Paperica - il personaggio del giornalista ispirato a lui e creato dai fumettisti italiani delle storie Disney - e che, soprattutto, ci ha permesso di utilizzare una sua vecchia intervista del 1987 in cui chiedeva a Federico Fellini di parlare della sua passione per il mondo di Topolino. Come mai tra per parlare del doppiaggio dei film Disney hai deciso di mostrare solamente Roy De Leonardis che parla del lavoro di adattamento del padre Roberto su Gli Aristogatti. Mentre invece non vi sono figure fondamentali legate al mondo italiano della Disney come Gaudenzio Capelli, Umberto Virri e Giorgio Cavazzano. Marco Spagnoli: Per quel che riguarda Roberto De Lazzaris, abbiamo raccontato il suo contributo dato all'adattamento de Gli Aristogatti perché è una storia che racconta bene il contributo artistico dato dal nostro paese al mondo Disney, visto che il gatto Romeo nella versione originale era irlandese, mentre da noi diventa romano. Era un modo per dire che il grande contributo della creatività italiana alla poetica Disney non si è limitato al fumetto, ma anche all'animazione. Inoltre, questa scelta è stata legata anche al fatto che abbiamo intervistato Enrico Brignano che parla della sua passione per Gli Aristogatti e Brignano sembra un po' l'incarnazione di Romeo. Gli altri o non ci hanno risposto o non siamo riusciti a contattarli. E comunque l'intento era di costruire un racconto più sul lato dei fan che degli esperti del settore. Anche per questo, ad esempio, non abbiamo intervistato Mariuccia Ciotta che ha scritto un bellissimo libro su Walt Disney [Walt Disney. Prima stella a sinistra, n.d.r.] o, ancora, Maurizio Nichetti, che ha condotto negli anni Ottanta un programma TV sul mondo Disney. Più in generale, come sono stati scelti i testimoni?
Ho intervistato persone che conoscevo e che sapevo che amavano Disney. Perciò sono andato da loro. Qualcuno si è proposto, altri invece - non ne farò il nome - hanno declinato, vuoi perché non interessati a Disney, vuoi perché non erano interessati al progetto. Comunque all'inizio le persone da intervistare erano otto e poi sono diventate ventitre, anche perché in molti mi hanno contattato tramite il loro agente per farmi sapere che gli sarebbe piaciuto intervenire. Questo per dirvi che sono così tanti i personaggi legati al mondo Disney che alla fine abbiamo dovuto per forza fare una scelta. E, a proposito di questo, vi vorrei segnalare che, purtroppo, la versione che avete visto è di 52 minuti, più breve di dieci minuti di quella che vedrete in sala perché non siamo riusciti a finire in tempo il montaggio. Manca ad esempio ancora una parte molto bella dal materiale di repertorio, in cui Gianni Rodari parla del pionierismo di Disney.
Qual è secondo te il tema di fondo del mondo Disney, così come è stato impostato dal suo creatore?
Credo che sia il discorso sulla diversità, l'accettazione del diverso. Come dice anche Disney in una delle vecchie interviste messe nel film, il suo tema di fondo è l'accettazione del diverso, raccontata mediante la relazione tra diversi animali, cani, gatti, ecc. E poi il discorso che le favole disneyane preparano i bambini al brutto e al bello della vita.
È il tema del documentario, però puoi dirci comunque qual è il rapporto secondo te che lega Disney all'Italia?
Credo in effetti che ci sia un'enorme affinità tra il mondo Disney e il nostro paese. Riprendo in tal senso la riflessione che fa nel film Giacomo Scarpelli, storico della filosofia e figlio dello sceneggiatore Furio, e cioè il discorso sull'infantilismo di noi italiani, soprattutto negli anni Trenta, il periodo in cui ha attecchito in modo profondo la poetica disneyana. Un qualcosa che è vivo ancora oggi e che ci fa considerare in modo diverso Walt Disney da come viene considerato anche in America. Lì è visto soprattutto come un tycoon, qui invece lo consideriamo un artista, un regista. Se si dovesse fare un lavoro serio su Disney a me interesserebbe vedere un qualcosa che vada a ricercare i legami di Disney con il mondo di Alfred Hitchcock, di Salvador Dalì, di Sergei M. Eisenstein che infatti ha scritto un saggio su di lui. Questo vorrei vedere. Walt, dal punto di vista economico, ogni volta che produceva un film rischiava tutto e litigava continuamente a proposito di questo con il fratello Roy. Si racconta che una volta gli disse, di fronte alle preoccupazioni del fratello: un tempo rischiavano il tutto per tutto con 200 dollari, ora con 20 milioni, perciò un passo avanti l'abbiamo pur fatto, no? E Roy andò su tutte le furie, perché evidentemente aveva un modo di fare meno arrischiato e più ragionato, ma ovviamente anche meno geniale di quanto fosse Walt. Ricordiamoci perciò che lui è stato il primo a fare un cartoon a colori, il primo a fare un lungometraggio animato, il primo a sincronizzare l'immagine col sonoro. E poi soprattutto - e qui rubo una riflessione fatta da John Lasseter - con Biancaneve e i sette nani per la prima volta il pubblico capiva che si poteva piangere anche di fronte a un cartone animato. Fino a quel momento infatti nei cartoon si rideva e basta.