La stanza accanto: come Pedro Almodóvar ha riletto il senso di una fine

Il cinema, la letteratura, l'amore per la bellezza: nel film Leone d'Oro a Venezia, il regista torna a esplorare il tema dell'arte come veicolo di sublimazione della vita (e della morte).

Un'immagine de La stanza accanto

Cade la neve. Cade nel cimitero solitario dove giace sepolto Michael Furey. Cade leggera su tutto l'universo. Cade lenta, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e sui morti.

Le parole di James Joyce nel finale de I morti, racconto di chiusura della raccolta Gente di Dublino, vengono pronunciate dal protagonista Gabriel Conroy anche nell'epilogo di The Dead, il film diretto nel 1987 dal regista John Huston sulla base dell'omonima novella del grande scrittore irlandese. È una pellicola dal significato speciale, verso la quale Pedro Almodóvar aveva già speso parole di grande ammirazione: un progetto perseguito da John Huston con strenua determinazione e realizzato quando il regista era ormai ottantenne e allo stremo delle forze, su una sedia a rotelle e attaccato a una bombola di ossigeno. Huston avrebbe fatto appena in tempo a completare le riprese prima di spegnersi nell'agosto 1987, quattro mesi prima dell'uscita del film; si carica dunque di una valenza particolare l'omaggio reso da Almodóvar a The Dead in due distinte scene del suo ultimo lavoro, La stanza accanto.

La stanza accanto: Pedro Almodóvar tra cinema, vita e morte

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La stanza accanto: un'immagine delle due protagoniste

La passione per il cinema, del resto, ha sempre costituito un trait d'union delle opere del regista spagnolo: sotto forma di rivisitazione postmoderna, innanzitutto, ma spesso anche come esplicito tributo, da Johnny Guitar in Donne sull'orlo di una crisi di nervi a Eva contro Eva in Tutto su mia madre, da Viaggio in Italia ne Gli abbracci spezzati a Splendore nell'erba in Dolor y gloria, dove il melodramma di Elia Kazan era correlato alla memoria dei primi turbamenti erotici adolescenziali. Se infatti uno dei temi centrali dell'autobiografico Dolor y gloria era proprio la scoperta del desiderio, ne La stanza accanto, suo primo lungometraggio in lingua inglese dopo oltre quarant'anni di carriera, Pedro Almodóvar torna a dedicarsi a un altro elemento-cardine dei suoi titoli più recenti: il confronto con la mortalità e il tentativo di attribuire significato a un'esistenza.

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Tilda Swinton e Julianne Moore insieme a Pedro Almodóvar sul set

Si tratta di uno spettro ben più che adombrato in Dolor y gloria, in cui il cineasta Salvador Mallo, alter ego di Almodóvar, doveva far fronte a una salute malferma e alla presa d'atto di una fragilità ineluttabile. Uno spettro che si rimanifesta con prepotenza ne La stanza accanto, film che è valso ad Almodóvar il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2024, e fin dalle prime battute: durante un firmacopie del suo nuovo libro la scrittrice Ingrid Parker, interpretata da Julianne Moore, dichiara di non essere in grado di accettare l'idea della fine. In quella medesima occasione, Ingrid verrà a sapere che una delle sue più care amiche, Martha Hunt, è affetta da un cancro; nonostante le due donne non si frequentino da tempo, Ingrid decide pertanto di riallacciare i contatti con Martha, in procinto di essere dimessa da un ospedale di New York prima di cominciare un ciclo di chemioterapia.

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Ingrid e Martha: una coppia di scrittrici tra realtà e finzione

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Tilda Swinton e Julianne Moore ne La stanza accanto

La vicenda messa in scena ne La stanza accanto è basata sul romanzo Attraverso la vita, pubblicato nel 2020 dall'autrice americana Sigrid Nunez, e nello specifico sulla seconda parte del volume, dal punto in cui la protagonista accetta l'insolita richiesta della propria amica: convivere con lei in una lussuosa casa di campagna, che fungerà da teatro della dipartita di quest'ultima. Ne La stanza accanto, Ingrid e Martha sono entrambe delle scrittrici, ma con due approcci ben distinti: Ingrid sta lavorando a una biografia romanzata della pittrice Dora Carrington, figura di spicco del Bloomsboury Group, ritratta al cinema da Emma Thompson nel 1995 nel film Carrington di Christopher Hampton; mentre Martha, che ha il volto diafano e spigoloso e lo sguardo magnetico di Tilda Swinton, è una celebre reporter di guerra, che si è fatta le ossa con le sue cronache del conflitto in Bosnia.

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Un'immagine di Tilda Swinton e Julianne Moore

Insomma, Martha ha trascorso la vita cimentandosi con la più cruda realtà, al contrario di Ingrid, che preferisce contaminarla con gli strumenti rassicuranti della finzione (e come potrebbe essere altrimenti, con un nome tanto 'cinematografico'?). Se il cinema di Pedro Almodóvar si carica spesso di sottotesti simbolici, qui i personaggi di Julianne Moore e Tilda Swinton sono assimilabili alla compenetrazione tra realtà e fantasia, ciascuna a proprio modo campo d'indagine dell'arte. Ora, dunque, per Martha è il momento di scrivere la propria fine, sottraendo alla malattia il potere di stabilire come e quando se ne andrà; invece a Ingrid, specializzata in biografie, spetta il compito di accompagnarla negli ultimi giorni, come testimone amorevole del suo trapasso. E in un indefinibile amalgama di dolore e serenità, le due donne si ritirano in una casa di vetro immersa nel bosco, lontano dai clamori di New York, per dedicarsi a ciò che amano di più.

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L'arte - e il cinema - fino all'ultimo respiro

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Le due protagoniste all'interno di una libreria

In un mondo devastato dalla crisi climatica e dalle derive del neoliberismo delle destre estreme, due fenomeni strettamente collegati, come rileva Damian Cunningham - una sorta di "grillo parlante" nichilista - per voce di John Turturro, l'arte e il cinema rimangono l'autentico "porto sicuro". Non si tratta, però, di una forma di escapismo volto a nascondere la testa sotto la sabbia; piuttosto, è un'occasione per ribadire il ruolo dell'arte nel conferire senso e valore alla vita umana, altro tema fondante della poetica di Almodóvar, a maggior ragione quando ci si trova al cospetto dell'abisso. Era così in Tutto su mia madre, ne Gli abbracci spezzati, in Dolor y gloria, ed è così pure ne La stanza accanto: nell'unica 'evasione' congiunta dal loro eremo, Martha e Ingrid si aggirano fra i volumi di una libreria, mentre le notti vengono trascorse guardando i film che hanno amato: dalla pura comicità di Buster Keaton ne Le sette probabilità al lirico romanticismo di Lettera da una sconosciuta di Max Ophüls.

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Julianne Moore e Tilda Swinton in una scena

Infine, Martha chiede a Ingrid di aspettare l'alba con la visione di The Dead: sul piano metafilmico, l'opera testamentaria di un regista che si è votato alla settima arte fin quasi all'ultimo respiro; ma soprattutto una storia - prima quella di James Joyce, poi nella rilettura di John Huston - sulla morte, sulla memoria, sui rimpianti, sugli affetti familiari e sul legame misterioso e sottile fra chi parte e chi resta. Un legame sentimentale, qui affidato alla Ingrid di Julianne Moore: una comprimaria impegnata a traghettare il ricordo di Martha dal passato al futuro, mediante quell'emblematico "passaggio di consegne" tra madre e figlia, nel corso di un finale dai contorni quasi onirici; e destinata in chiusura a ripetere le parole conclusive di Joyce, in una mise en abîme in cui, nel silenzioso incanto della neve, la realtà e il cinema sembrano rispecchiarsi l'una nell'altro.