Recensione La notte dei 12 anni: il suono del silenzio contro la tirannia

La recensione de La notte dei 12 anni, dramma che racconta le vicende di tre Tupamaros ostaggi del regime in Uruguay.

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La notte dei 12 anni: una scena del film

Il tempo è un concetto che perde senso e concretezza in una notte come La notte dei 12 anni. E così la grammatica del racconto, di fronte a una storia come questa, la storia di tre corpi trascinati in una danza squallida e silenziosa e di tre anime di rara fermezza. Alvaro Brechner, già autore degli eccellenti Bad Day to Go Fishing e Mr. Kaplan, ha dedicato anni della sua vita e un impegno quasi maniacale al progetto ambizioso di esplorare il destino di tre rivoluzionari Tumamaros, uno dei quali, Pepe Mujica, è stato presidente dell'Uruguay dal 2010 al 2015; non che gli altri due, Eleuterio Fernández Huidobro, politico e giornalista che ci ha lasciato nel 2016, e Mauricio Rosencof, scrittore, poeta e drammaturgo, abbiano vissuto con minore pienezza e impegno gli anni del ritorno della democrazia.

Il regista quarantaduenne è in possesso un tesoro di aneddoti raccolti nei suoi incontri con Mujica, Rosencof e Huidobro di cui quanto utilizzato ne La notte dei 12 anni è probabilmente solo la cuspide. Oltre a incontrarli individualmente o insieme decide di volte, Brechner, ha parlato con altri prigionieri, militari, e persino neurologi e scienziati, chiunque potesse contribuire all'impresa, irrobustirne la testimonianza, per dare al suo film una schiena diritta, spalle forti e un cuore veritiero.

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Il crepuscolo della libertà

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La notte dei 12 anni: una scena drammatica del film

Intenzionato a non fare del suo film un mero prison movie, e a evitare una trattazione trita e retorica del tema della resistenza dell'animo umano e del suo anelito alla libertà, Álvaro Brechner si concentra su elementi spesso trascurati da questo genere di racconto, e, pur senza risparmiarci le sofferenze dei suoi eroi, non vi indugia un istante di troppo, piuttosto lo interessa il miracolo della salvezza, della sanità mentale in condizioni tanto deumanizzanti e selvagge: un miracolo prodotto non dalla fede ma dalla nostra umile mente. L'attenzione al pensiero, alla comunicazione, alla vita interiore che resta è uno degli aspetti più interessanti di un film che non ha un andamento canonico e che viene incontro allo spettatore solo nella misura necessaria a immergerlo nell'esperienza vivida, esacerbante, paradossale e a tratti farsesca vissuta dal trio.

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La notte dei 12 anni: una sequenza del film

Tutto iniziò in una notte del 1973, quando i tre detenuti, ex militanti tra le fila dei ribelli Tupamaros, furono prelevati dal carcere dai militari e trasformati in ostaggi del regime, per scoraggiare la possibilità di attentati e azioni di guerriglia da parte dei pochi ribelli rimasti in circolazione dopo la violenta repressione del regime. Nessun tentativo di nascondere la lucida ferocia dei piani nei loro confronti: non potendoli ammazzare, i loro aguzzini li avrebbero portati lentamente alla follia. Pensate a dodici anni senza poter parlare con chicchessia, dormendo per terra tra sudiciume e ratti, nutrendosi di avanzi, senza mai vedere la luce del sole, senza sapere nulla del mondo di fuori e delle persone care. A cosa aggrapparsi per non perdere il lume della ragione? La risposta di Brechner e dei suoi testimoni è commovente nella sua semplicità: a un ricordo, a una fantasia. A una partita a scacchi senza scacchiera, a una poesia senza pagina.

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La notte dei 12 anni: una scena del film diretto da Álvaro Brechner

Il potere segreto della mente

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La notte dei 12 anni: una scena con Chino Darín

Complici del disegno lucido e ambizioso del regista sono tre attori degni del compito a cui sono chiamati. Dal grandissimo Antonio de la Torre al più giovane Chino Darìn, bello e bravo come il babbo Ricardo, senza dimenticare Alfonso Tort, buffo e struggente in alcuni dei momenti più incisivi della pellicola, i tre hanno sfidato la precisione della sceneggiatura per riempire di vita ogni fotogramma e creare personaggi per cui fare il tifo è necessario e corroborante. Ogni dettaglio, ogni piccolo episodio del film ci racconta qualcosa di prezioso di loro, e l'attenzione di Brechner al linguaggio segreto della loro solidarietà, la sua gratitudine verso il loro martirio contribuisce ad un crescendo di emozione e nitore che ci conduce verso un finale che rovescia i piani malevoli dei loro persecutori, e che ci sorprende non nella sostanza ma nella, straordinaria, potenza.

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4.0/5