Ci sono luoghi che per natura, o per destinazione finale, proprio non si adattano al mondo delle fiabe. Buia, isolata, fatta di sbarre e orari prestabiliti, la prigione è un microuniverso circolare, dove tutto si ripete uguale a se stesso. Abitata da rimorsi, alimentata da colpe da espiare, o crimini da scontare a vita, tra le mani di Andrea Magnani qualcosa di magico avviene nello spazio di un carcere: è un trucco di magia sostenuto dalla luce della cinepresa dove anche i corridoi della prigione si aprono alla forza della fantasia per lasciare il giovane Giacinto libero di correre veloce. A metà strada tra Wes Anderson e Forrest Gump, con La lunga corsa Magnani modella un saggio sulla libertà con la forza della fanciullesca fantasia, il tutto abbracciando il proprio mondo cinematografico tra le mura claustrofobiche di una prigione.
Un processo creativo tutto particolare e che lo stesso regista ci ha raccontato insieme ai due protagonisti - Adriano Tardiolo e Giovanni Calcagno - nel corso di questa intervista rilasciataci in occasione del Torino Film Festival 2022.
La lunga corsa: intervista
Il paradosso della libertà carceraria
La lunga corsa è un film intessuto di paradossi. Giacinto di cognome fa infatti "Forzato", eppure la sua indole è quella di sentirsi libero, di andare oltre le pieghe del suo cognome per correre veloce, al di là dei corridoi e delle prigioni. La sua è una storia raccontata come una fiaba, manovrata da una corrente in piena di fantasia e immaginazione. Ma cosa rende speciale La lunga corsa? Forse è proprio in questo gioco di simbolismi, come sottolineato dallo stesso regista. "Io penso che il simbolo, la metafora sia più di impatto forse di un dialogo, o di una battuta. Ho cercato di seminare di simbologie la mia storia anche allo stato di sceneggiatura. Hai parlato di corsa, che in effetti è un elemento importante dato che dà il titolo al film; ma proprio perché Giacinto è un personaggio abituato a correre in tondo per i corridoi di un carcere che lo riportano al punto di partenza, lui troverà la propria strada quando deciderà di correre per se stesso, per la sua vita, e chissà, anche per la vita di coloro che, all'interno di un carcere, non possono correre liberi dinnanzi all'orizzonte aperto".
La lunga corsa, la recensione: il carcere come comfort zone
La fiaba del carcere e le analogie con Wes Anderson
C'è un nome che balena costantemente nella mente dello spettatore durante la visione de La lunga corsa: Wes Anderson. Un'associazione, questa, dettata non solo dal continuo rimando a un universo alternativo, rivestito di fantasia e sospeso tra le rime di una favola simile a quello del regista americano, ma anche dallo stesso scorrere di inquadrature fisse che paiono ricordare lo sfogliare di tante fiabe della buonanotte e che mettono in contatto il modus operandi di Magnani con quello di Anderson. Per una volta vediamo così il carcere come un nido di fantasia e sogni, lontano da quell'idea del tutto antitetica che lo stesso cinema (si pensi ad Ariaferma) o la televisione (Orange Is the New Black, Prison break) hanno aiutato a formulare nella mente dello spettatore.
"Quello de La lunga corsa è un luogo del tutto immaginato", aggiunge Magnani, "ma credo che il registro fiabesco fosse l'unico modo per raccontare un personaggio leggero che volteggia su questi luoghi, depositari - ed è bene ricordarlo - di sofferenze e privazioni. Approcciarsi alla storia di Giacinto con un approccio neorealista sarebbe stato deleterio a mio avviso. La giusta direzione da intraprendere per raccontare la vita di Giacinto che è quello che ci interessa è questo racconto di formazione all'interno del registro da fiaba. Come hai ben sottolineato sussiste nel film un altro modo di concepire il carcere, ma spero che La lunga corsa sia soprattutto un inno alla vita e che al di là del luogo, con questo film si possa godere della scelta difficile che compie il protagonista alla fine, e che fa sia per se stesso, che per la propria libertà".
Wes Anderson, Donna Tartt e l'amore per il cinema italiano
Giovanni Calcagno e la figura del padre
E La lunga corsa è proprio un inno alla vita (non a caso si apre e si chiude con la nascita di un bambino), uno slancio verso una libertà che il personaggio conosce nello spazio esiguo di un carcere, ma che è pronto ad ampliare verso nuovi orizzonti. Nella sua ingenuità, sopravvive in Giacinto un sottosuolo immaginifico a se stante; un piccolo mondo creato a proprio piacimento in cui non solo rifugiarsi, ma entro cui lasciar entrare anche gli altri, primo fra tutti quel padre putativo che è la guardia Jack. Un uomo, questo, che si ritrova a rivestire finalmente i panni della figura paterna proprio in relazione a Giacinto, dopo anni di totale incomunicabilità con la propria figlia. "Ciò che dici è molto importante", sottolinea a tal proposito il suo interprete, Giovanni Calcagno: "quando vediamo per la prima volta la famiglia di Jack, la vediamo rinchiusa in un appartamento circondata da sbarre. Ancora una volta la metafora della prigione si afferma in maniera prepotente. E in effetti è attraverso il personaggio di Giacinto che Jack riscopre i valori, o i disvalori, che si sono insinuati nella sua esistenza. Ora che mi ci hai fatto pensare, mi sono ricordato che Cervantes, dopo aver partecipato alla battaglia di Lepanto, ha scritto il Don Chisciotte in carcere. La condizione di cattività, o comunque la restrizione della libertà è pertanto da considerarsi un grande aiuto per poter anellare a un succo della vita diverso. Ne approfitto per mandare un pensiero ai nostri compagni di lavoro dell'Ucraina che in questo momento sanno meglio di noi gustare il sapore di ogni giorno che passa".
Adriano Tardiolo e lo sguardo della leggerezza
Ma se Giacinto nel suo essere così naïf risulta al contempo così dolcemente reale, è grazie soprattutto alla performance di un attore come Adriano Tardiolo. Classe 1998, dopo Lazzaro felicedi Alice Rohrwacher, il giovane interprete ha dimostrato come certi attori nascano per determinati ruoli, perché non solo vivono di leggerezza, ma paiono uscire direttamente dalle pagine di una fiaba.
E in effetti, come sottolinea ulteriormente lo stesso Tardiolo, "La lunga corsa è proprio una fiaba. Una caratteristica, questa, che è stata volutamente accentuata. La purezza del mio personaggio è un tratto che parte direttamente dalla sceneggiatura e che va a modellare un ragazzo che ha dei tempi propri, diversi dagli altri". Ma se tra Adriano e Giacinto sussistono vari punti di incontro, quello della corsa non è uno tra questi. "A me onestamente non piace molto correre, però per amore del mestiere l'ho fatto comunque".
Fiabe di vita
Ma se, come ricorda Adriano, "La lunga corsa è una fiaba", qual è la fiaba a cui Andrea, Adriano e Giovanni sono più legati? Se il regista Andrea Magnani, che le favole le ascoltava sul "45 giri di mia nonna", punta sul Pifferaio Magico, e Adriano Tardiolo sulla favola di amicizia di Red e Toby nemiciamici ("una delle prime storie che mi ricordo e che mi sono rimaste impresse"), Giovanni Calcagno non ha dubbi su quale sia la fiaba che più gli sta a cuore: "per dieci anni ho studiato e lavorato su Il piccolo principe, e trovo che questa sia una fiaba che ha molti punti di contatto con la lunga corsa. Un rapporto, questo, stranamente analogico".
La lunga corsa arriverà sugli schermi il 24 agosto distribuito da Tucker Film. Non perdetelo.