Recensione The Interpreter (2005)

Un thriller elegante, dal sapore di altri tempi, sorretto da buone interpretazioni e affascinanti ambientazioni, che manca solo in parte l'obiettivo nella sua anima più politica.

La donna che sapeva troppo

Silvia Broome è un'interprete di origini sudafricane che lavora alle Nazioni Unite da diversi anni. Quando per caso si ritrova ad ascoltare quello che sembrerebbe essere un complotto omicida ai danni del dittatore del Matobo, Edmund Zuwanie, la sua vita è improvvisamente in pericolo. Al suo caso viene assegnato l'agente FBI Tobin Keller, che ha appena perso la moglie in un incidente e decide di buttarsi nel lavoro per cercare di dimenticare. Nonostante la diffidenza iniziale e i sospetti che Keller ha sulla donna anche a causa del suo misterioso passato che sembrerebbe legato a Zuwanie, tra i due si instaurerà un rapporto di reciproca fiducia e aiuto che li porterà fino in fondo a questo intrigo internazionale.

Un thriller politico dal sapore classico questo di Sydney Pollack, regista di certo non nuovo alla spy story in stile Hitchcockiano - basti pensare al suo capolavoro I tre giorni del condor - che punta tanto sui due super-interpreti Nicole Kidman e Sean Penn quanto sull'ambientazione, quella dell'ONU, che diventa la vera star del film: in questo, Pollack riesce perfino a superare il Maestro che invano aveva cercato di ottenere il permesso di girare nel Palazzo di Vetro per il suo Intrigo internazionale. Per la prima volta, quindi, sul grande schermo, le affascinanti scenografie dell'organizzazione internazionale sono rese al meglio dall'ottima fotografia di Darius Khondji e, ben sfruttate anche all'interno dell'intreccio, rendono ancora più avvincente e realistica questa corsa contro il tempo per cercare di di sventare un attentato apparentemente inevitabile. Ma c'è da dire che tutto l'aspetto thriller del film è sicuramente il più riuscito, anche quando si è fuori dalle porte dell'ONU: in particolare, la sequenza centrale che vede tre pedinamenti da parte degli agenti convergere in unico luogo, nel cuore della città, e concludersi con una spettacolare quanto drammatica rivelazione, è un pezzo di bravura di regia e montaggio per come riesce ad avvincere e tenere la tensione altissima.

Meno avvincente la sottotrama politica che più volte scade nella retorica così come le vicende più personali dei due protagonisti quando tendono ad allontanarsi dall'intreccio, per di più con due interpretazioni sicuramente all'altezza del resto del film ma non della loro reputazione: entrambi sono credibili quanto basta per farci immergere nel pieno dell'azione, ma il livello di introspezione psicologica non è tale da farci addirittura interessare al loro passato o, men che mai, al loro futuro. Sotto questo aspetto, non ci sono dubbi, il buon Hitchcock si rifà dello smacco e torna ad imbracciare lo scettro di re della suspence.
Tutto ciò che rimane, dai personaggi secondari (tra gli altri, la sempre ottima Catherine Keener) alla colonna sonora di James Newton Howard, non fa altro che contribuire alla confezione di questa elegante pellicola a tratti apparentemente sospesa nel tempo, figlia di un modo di far cinema che ormai non esiste più e di cui, spesso, si sente la mancanza. Pollack è bravissimo a ricordarcelo, ma purtroppo per noi, e per lui, non così bravo da riuscire a colmare questo vuoto.

Movieplayer.it

3.0/5