Tokyo e Stoccolma possono essere distanti pochi centimetri, parlare la stessa lingua, adottare la stessa prospettiva. Succede se quel burattinaio del Professore ti ha scelto come marionetta utile a una folle impresa. Accade se sei tra i personaggi de La casa di carta 3 - in questo caso interpretati da Úrsula Corberó ed Esther Acebo - serie spagnola letteralmente esplosa nell'arco di due anni, tanto da spingere Netflix a entrare nella produzione per mettere in cantiere una terza stagione, o meglio "parte", arrivata nel suo catalogo il 19 luglio.
Sì, perché La casa di carta sfoggia con orgoglio un invidiabile primato, ovvero "la serie tv non in lingua inglese più vista sulla piattaforma streaming californiana". Un successo clamoroso, del tutto inaspettato anche da parte di chi, nonostante l'iconica maschera di Dalì, ci ha messo la faccia. È questa la sincera confessione del cast della serie, arrivato a Milano per presentare La casa di carta 3 senza nascondere l'incredulità che ha colto tutti davanti all'ascesa criminale ispanica più gloriosa di sempre. A Milano è arrivata anche una delle attrici più amate e riconoscibili dello show, quella di Úrsula Corberó capace di dare corpo e anima a una Tokyo inquieta, sfuggente e misteriosa.
Carismatica e affabile con i fan, Ursula Corberó ha ammesso di essere stata travolta da un'ondata di entusiasmo difficile da prevedere (tra gli attori soltanto Enrique Arce, l'attore che interpreta Arturo, era certo del tormentone), ma che offre a tutti gli interpreti la possibilità di misurarsi con qualcosa di raro e intrigante: approfondire la psicologia dei propri personaggi avendo alle spalle un colosso come Netflix. Ecco, adesso La casa di carta è un fenomeno più consapevole di se stesso, e lo ha dimostrato con una terza stagione dalle ambizioni più mature e dalla messa in scena più complessa (come confermato dalla recensione de La casa di carta 3). Tutte cose di cui abbiamo parlato assieme a Úrsula Corberó e Esther Acebo (l'ex Monica diventata Stoccolma al fianco di Denver) nella nostra videointervista. Sì, ve lo confermiamo. Tokyo e Stoccolma possono essere distanti pochi centimetri.
Nel traffico di Tokyo
Sguardo affilato, fascino tagliente, sex appeal fiero e disinibito. Tokyo ha sempre avuto le carte in regola per ammaliare tutti: personaggi e spettatori, affascinati da una donna così complessa, complicata e vera. Anche perché La casa di carta ci ha chiuso in un confessionale assieme a lei sin dalla prima puntata. La voce onnisciente che ascoltiamo spesso fuori campo è la sua, il racconto è filtrato dal suo punto di vista, i pensieri sono i suoi, le paure e il disincanto anche. Ecco, assieme a Berlino, Tokyo è forse il personaggio più disincantato dello show, l'anima più in pena che ci appare (inizialmente) quasi condannata all'infelicità. Quell'infelicità che non si soddisfa o placa anche con milioni e milioni di euro. Poi, come la vita tribolata le ha insegnato così bene, arriva l'imprevisto. Arriva Rio che riaccende in lei il dubbio di meritarsi, finalmente, qualcosa di bello, qualcosa di certo in una vita fatta di fugacità. Ma credere che una donna simile possa essere salvata dall'amore sarebbe da ingenui. Ne La casa di carta 3 ritroveremo Tokyo e Rio immersi in un paradiso terrestre, isolati dal mondo a godersi una quiete forse troppo monotona per uno spirito irrequieto e libero come il suo. "Se vivi in un Paradiso, prima o poi mordi quella mela", dice Tokyo. E quel morso arriverà prima del previsto. Sarà proprio il suo desiderio di allontanarsi da Rio a far cadere il ragazzo in un fatale errore, cosa familiare agli innamorati e primo atto di un effetto domino inarrestabile. Ed è qui, davanti alla possibilità di perdere qualcuno a cui tiene davvero, che Tokyo perde parte della sua istintività per diventare non meno pericolosa ma più saggia. Meno ragazza e più donna.
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La sindrome di Stoccolma
Più donna lo è dovuta diventare soprattutto lei, Monica, personaggio rinato nel carattere e nel nome. Ribattezzata Stoccolma (riferimento alla Sindrome di Stoccolma di cui sarebbe stata vittima quando era ostaggio di Denver), l'ex segretaria ha vissuto una profonda rivoluzione. L'amante del direttore ha lasciato spazio a una madre con delle responsabilità, la persona subordinata e timida è diventata una donna indipendente, schietta, pronta a far valere le sue ragioni quando messa davanti alla visione più antiquata e patriarcale del suo Denver, che magari prima o poi aprirà la mente. Una prospettiva inedita che, senza questa terza parte, non sarebbe mai emersa, rendendo il personaggio di Esther Acebo molto meno intrigante e sfaccettato.