L'umanità imperfetta di Bong Joon-ho

Il nostro incontro con il regista di Mother e Memories of Murder, innovatore innamorato di Fellini capace di scombinare le regole canoniche dei generi per piegare il cinema all'esigenza di narrare la società coreana.

Dopo la consacrazione internazionale ottenuta grazie al pluripremiato Mother, ancora inedito in Italia, e al film a episodi Tokyo!, che lo ha visto collaborare coi colleghi francesi Michel Gondry e Leos Carax, Bong Joon-Ho arriva a Firenze ospite della nona edizione del Florence Korea Film Fest per accompagnare la retrospettiva completa delle sue opere (lungometraggi e corti, alcuni realizzati da studente) che l'importante manifestazione toscana gli ha dedicato e ritirare un meritato premio alla carriera. Tanta è la curiosità intorno all'opera di Bong, capace di mettere a segno uno dei più grandi successi economici del cinema coreano con il monster movie The Host, opera atipica e stratificata che sfugge alla definizione di genere partendo da una classica situazione da disaster movie per esplorare la reazione di una famiglia di fronte alla tragedia inattesa. Tragedia provocata dalla colpevole noncuranza dell'esercito americano di stanza in Corea, che getta sostanze velenose nel fiume generando involontariamente una terrificante creatura mutante.
Prima di conquistare il pubblico con The Host, Bong si era fatto notare scrivendo e dirigendo una detective story d'eccezione, lo spettacolare Memories of Murder, opera che affonda le radici in un terrificante fatto di cronaca consumatosi in Corea negli anni '80. Il film, adattamento del romanzo non fiction Come and See Me di Kim Kwang-Rim, mette in scena i drammatici eventi che hanno scosso la Corea tra il 1986 e il 1991, periodo in cui un serial killer stuprò e uccise dieci donne tra i 13 e i 71 anni senza che la polizia riuscisse a mai bloccarlo né a identificarlo. Il viaggio di Bong in Italia è l'occasione per un'acuta riflessione sullo stato dell'arte del cinema coreano e sui legami del paese orientale con l'Italia, legami che si rivelano molto più stretti di quanto ci aspetteremmo.

Bong, tu ormai sei un regista noto internazionalmente e viaggi molto per presentare i tuoi film. Di recente hai fatto parte della giuria del Sundance. Partendo dalla tua esperienza personale, come ritieni che sia percepito il cinema coreano all'estero?
I film coreani non sono poi così difficili da comprendere. Parlano di emozioni, di interiorità, di sentimento. Un coreano è molto più vicino a un italiano o uno spagnolo rispetto a un nordico, perciò i film coreani vengono ben recepiti, soprattutto in paesi abituati a esternare i propri sentimenti come l'Italia e la Spagna.

Il tuo nonno materno era socialista. Quanto ha influito la dimensione politica nella tua opera? I continui riferimenti socio-politici alla situazione coreana sono un retaggio familiare?
Mio nonno era uno scrittore. Dopo gli sconvolgimenti politici e la divisione delle due Coree è rimasto in Corea del Nord perciò non ho mai potuto incontrarlo, ma ho letto tutti i suoi scritti. Più del nonno, però, credo che sia stato mio padre a influenzarmi. Lui si occupava di grafica e design e il suo senso estetico mi ha spinto ad avvicinarmi all'arte visiva.

Tutti i tuoi lavori ruotano attorno al cinema di genere, ma sia nel caso della detective story che del monster movie o del dramma, le regole vengono infrante. E' una scelta precisa?
Fin da piccolo mi sono appassionato al cinema e ho guardato tantissimi film. Quando ero molto giovane mi piaceva il cinema di genere perché mi forniva emozioni precise. Guardando un thriller, sapevo che mi sarei spaventato. Quando sono maturato e ho cominciato a studiare il cinema più in profondità ho cambiato idea, ho sentito la necessità di rompere gli schermi e di stupire lo spettatore.

Anche i personaggi, che teoricamente appartengono al genere, sono fuori dai canoni. I detective di Memories of Murder, per esempio, non sono coraggiosi, ma sono testardi, pasticcioni, spesso involontariamente comici. Come nascono queste figure?

La domanda è interessante perché quando scrivo una storia parto proprio dai personaggi. La trama dei miei film nasce da qui, dalla scelta di mettere persone normali, umane, di fronte a prove difficoltose da superare. Spesso i miei personaggi falliscono perché sono sciocchi o imperfetti. La domanda che mi faccio è se il mondo aiuterà questi personaggi a superare l'ostacolo e se la situazione si risolverà o meno. Ad aiutarmi nei film ci pensano anche gli attori che scelgo, quasi tutti provenienti dal teatro.

Un altro elemento che ricorre frequentemente nelle tue pellicole è l'ironia.
In realtà quando scrivo un film non mi fermo a pensare "Qui farò ridere lo spettatore otto volte", ma la cosa nasce spontanea. Ciò che mi piace dell'ironia è che spesso crea un contrasto che rafforza il dramma.

Hai dei modelli coreani o occidentali? Conosci il cinema italiano?
Il regista che mi ha maggiormente influenzato è Kim Ki-young, autore dell'originale The Housemaid, un film di cui consiglio sempre la visione. Se fosse nato in Europa, sarebbe diventato celebre come Luis Buñuel, purtoppo è vissuto in un momento molto delicato in Corea e questo lo ha ostacolato. Per quanto riguarda il cinema italiano, di recente in Corea ha avuto enorme successo Io sono l'amore di Luca Guadagnino. Anche io sono andato a vederlo, ma devo confessare che è piaciuto di più a mia moglie. Quando penso al cinema italiano mi viene in mente Federico Fellini che è un regista che amo moltissimo per la forza e la magia delle sue opere. Mi è piaciuto molto anche Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, anche se non ho potuto capire perfettamente la storia.

In molte delle tue pellicole, come nel caso di The Host e Mother, è centrale il rapporto padre-figlio. E' un tema autobiografico?

Quello tra genitori e figli credo sia il rapporto più stretto che possa esistere. Io ora ho un figlio che va alle medie e quando penso a lui nasce l'ispirazione per le mie storie. Ancora più simbiotica è la relazione che ho affrontato in Mother, quella tra una madre e un figlio. Le madri coreane sono molto protettive, molto simili alle mamme italiane.

Le famiglie di cui parli, però, sono tutte mutilate. Uno dei due genitori manca sempre.
In The Host ho volutamente eliiminato la figura materna per mettere in scena una famiglia distrutta. L'assenza della madre pesa sempre in modo particolare in un nucleo familiare. In questo caso è una duplice assenza visto che la madre è assente in tutte e due le generazioni. Mentre giravo The Host stavo scrivendo Mother così, per compensare, ho deciso che stavolta avrei fatto vedere la madre per due ore piene. Quando la ragazzina rapita in The Host si ritrova da sola nel nascondiglio del mostro fa da madre al ragazzino rapito dopo di lei, mentre in Mother ho scelto di non far comparire in alcun modo il padre, neppure in fotografia, per concentrarmi unicamente sulla madre e sul figlio.

Cosa pensi del successo del 3D in Corea? Hai intenzione di avvicinarti a questa tecnica?
In realtà è già in preparazione una versione 3D di The Host, ma io non ho niente a che fare col progetto. Sono curioso di vedere cosa ne verrà fuori, ma non sono personalmente interessato al 3D.