Se passeggiando al luna park incappate in una bancarella di dolciumi e
la vista dello zucchero filato vi fa rabbrividire, è molto probabile che i film sentimentali non facciano per voi. Ed è molto probabile che non siate tra quelli, tra quei pochi, che hanno visto al cinema Manuale d'amore. Il film di Giovanni Veronesi è stato un successone. Al primo weekend ha incassato la bellezza di 2 milioni 783mila e 64 euro, ma non c'è nessun segreto da svelare.
La commedia in Italia è il genere più redditizio di ogni altro. Quando riesce a rivolgersi ad una vasta fetta di spettatori, con attori maturi che un pubblico già ce l'hanno (Carlo Verdone, Sergio Rubini, Margherita Buy) e con attori freschi che un pubblico se lo stanno facendo (Silvio Muccino, Jasmine Trinca), l'incertezza di un rientro nelle spese è una pratica archiviata. I profitti arrivano se la storia del film permette al pubblico una facile immedesimazione, di ritrovarsi in luoghi e situazioni, di divertirsi ed essere congedati con la sensazione di aver appreso una buona morale.
Messo in conto che l'amore sia il sentimento più comune (chi non ha mai voluto bene almeno al suo criceto?), raccontarlo è di per sé una buon modo per garantirsi uditori. Lungi dal credere che scrivere un film sull'amore sia il veicolo per trovare finanziatori che lo producano perché sanno di correre meno rischi al box office, è curioso con quale frequenza la parola stessa venga scelta ed usata nei titoli. Qualche esempio? Il più perentorio: Un amore (1999) in cui
Gianluca Maria Tavarelli mostrava i dodici momenti più intensi di una coppia girati in piano sequenza.
Per non iniziare dagli albori del cinema, un buon anno di partenza della recente filmografia italiana è il 1998 quando Mimmo Calopresti sentenzia, senza alcun dubbio, che La parola amore esiste. E la fa cercare da Valeria Bruni Tedeschi tra alta borghesia, psicanalisi e lezioni di violoncello mancate. Nello stesso anno Michele Placido preferisce soffermarsi sui ricordi Del perduto amore, con un lungo flashback fino agli anni 50. Nel 1999 Vincenzo Salemme sostiene che, se non è cieco, è Amore a prima vista ma Enrico Brignano risponde con cautela: Si fa presto a dire amore. La questione si fa serrata. Giacomo Campiotti si convince che sia arrivato Il tempo dell'amore, Sergio Rubini ci crede e si accaparra Tutto l'amore che c'è.
Un rapido confronto con gli Stati Uniti che del cinema hanno fatto una catena di montaggio, rivela un dato tanto inutile quanto gustoso per gli amanti (restando in tema) delle statistiche. Nel 2004 su 163 film di produzione italiana, sei contenevano "amore" nel titolo equivalenti al 3.68%. 36 titoli prodotti negli Stati Uniti contenenti "love" su 3094 corrispondono all'1.16%. Però con le commedie USA importate in Italia si incappa frequentemente nel fenomeno del titolo originale che non contiene "amore" ma che lo acquisisce una volta tradotto e adattato. E
molto spesso reinventato. È il caso di La voce dell'amore (One True Thing, 1998), Amore tra le righe (Kissing a Fool, 1998), Tentazioni d'amore (Keeping the Faith, 2000), Un amore a 5 stelle (Maid in Manhattan, 2002), per citarne alcuni.
Se l'amore non è sempre garanzia di successo quando presente nel titolo, la speranza che lo sia non muore mai. Primo amore e Le conseguenze dell'amore, entrambi usciti nel 2004, sono bellissimi film con incassi nemmeno lontanamente all'altezza del loro valore. Ma non è escluso che da parte dei cineasti il discorso sia più nobile. In quanto artisti e dunque possessori di una ricettività emotiva più forte della media (sono termini un po' forti, è vero, ma fino ad un certo punto), sentono la necessità di definire l'amore come già hanno tentato di fare fior di filosofi, psicologi, poeti, scrittori, scultori e pittori. E l'Italia ha già dato i natali a molti di costoro.
L'amore è eterno finché dura dice Verdone, ma se dovesse
finire possiamo esser certi che prima o poi, assicura Rubini, L'amore ritorna.