Le Giornate degli Autori hanno scelto di scommettere su Kim Ki-duk ponendo One on One, violenta critica alla corruzione del sistema coreano, in apertura della sezione. Il celebre cineasta, che con la Mostra lagunare ha ormai un appuntamento fisso, ci accoglie con indosso una t-shirt che ricorda la tragedia del Sewol, traghetto affondato nelle acque sudcoreane lo scorso aprile, e ci tiene a sottolineare la propria solidarietà ai genitori degli studenti morti che hanno intrapreso lo sciopero della fame per chiedere al governo di fare chiarezza sull'incidente.
L'aver sposato questa causa è una scelta che non ci stupisce, vista la crescente necessità di Kim Ki-Duk di spostare lo sguardo dai drammi personali alla tragedia di una nazione che oggi, pur avendo conquistato uno status democratico, ancora soffre i postumi della dittatura. Da questo malesse nasce One on One, film low budget in cui Kim Ki-Duk rischia il tutto per tutto realizzando un'opera diversa e al tempo stesso coerente col percorso intrapreso. One on One è un film che mette il dito nella piaga denunciando la violenza esercitata da politici e militari sulla popolazione per difendere il proprio potere. "Le mie opere hanno sempre cercato di descrivere aspetti tipici della natura umana" ci spiega il regista. "Questo è il primo lavoro che si pone come scopo l'analisi e la critica di un'intera società. One on One è un film che descrive la realtà, in esso sono contenuti riferimenti alla storia coreana ed elementi simbolici, ma non voglio che risulti troppo criptico. D'altronde esempi di dittatura e corruzione sono presenti in ogni nazione, perciò credo di aver toccato un tema universale".
Non dirigo film per compiacere il pubblico, faccio film solo per esprimere ciò che sento di dover raccontare in un preciso momento.
La vendetta per un risveglio della coscienza
Riflettendo sulle ragioni che lo hanno spinto a realizzare un'opera apertamente politica come One on One in questo preciso momento storico, Kim Ki-Duk spiega: "Oggi la Corea è un paese democratico, ma al suo interno è lacerato da forti contrasti tra progressisti e conservatori. Io volevo mostrare ciò che si nasconde dietro il volto della moderna Corea, ma volevo anche esprimere il travaglio personale e l'incertezza che sto vivendo in questi ultimi anni". Travaglio che ha portato l'autore di Ferro 3 - La casa vuota e Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera a ripiegarsi su un cinema ancor più duro, feroce ed estremo dando vita a una sua personale 'trilogia della vendetta' composta da Pietà, Moebius e One on One. Il tema della vendetta ricorda un'altra celebre trilogia realizzata dal connazionale Park Chan-Wook. "Arirang è stato un punto di svolta nel mio percorso artistico" ci confessa il cineasta coreano. "Il film si conclude con tre spari. L'ultimo, idealmente, è per me. Sentivo la necessità di chiudere col passato e uccidere una parte di me per far spazio a nuovi sentimenti. Fino ad Arirang avevo trattato temi come la ricerca dell'amore e della realizzazione personale. Negli ultimi film parlo di vendetta perché sento il bisogno di esprimere il mio malessere. In Pietà descrivo la vendetta di una madre contro un figlio, in Moebius la vendetta di una moglie contro un marito e in One on One la vendetta dei derelitti contro il governo. A differenza di quella di Park Chan-wook, però, la mia non è una vendetta fine a se stessa, ma conduce a un risveglio della coscienza".
La morte della purezza
Il cinema di Kim Ki-duk è intriso di violenza, a tratti realmente disturbante, e anche One on One non fa eccezione. Per spiegarne la necessità artistica, il regista afferma: "La violenza contenuta nella mia opera simboleggia la realtà. One on One si apre con l'omicidio di una studentessa che viene soffocata. E' un'immagine metaforica, simbolo della giovane democrazia coreana e del futuro che muore. Le viene tolto il diritto di parola e il respiro. E' la morte della purezza. Questa è la violenza della dittatura, la violenza della polizia nei confronti della gente comune. Anche se oggi viviamo in una struttura di relativa democrazia, la violenza è sempre presente nella società. Con questo non intendo giustificarne l'esistenza. Non condivido il punto di vista dei miei personaggi. Mi chiedo, però, se non sia necessario reagire per superare questo rapporto di sudditanza nei confronti del potere imposto con la violenza. I miei sette protagonisti sembrano quasi delle maschere, rappresentano delle entità che invitano tutta la popolazione a porsi delle domande. Voglio che le persone, vedendo il mio film, si chiedano 'Chi sono io e quale è il mio ruolo nella società?'".
Vista la complessità di questo cinema estremo, che non fa scontri, viene spontaneo chiedersi quale ricezione possa avere un film come One on One in patria. "Oggi la Corea è guidata da una presidentessa membro del partito conservatore. Durante le passate elezioni io mi sono schierato coi progressisti, perciò c'è una parte del pubblico che comprende il senso delle mie opere e un'altra che le rifiuta a prescindere solo per ragioni politiche. Ma io non dirigo film per compiacere il pubblico, faccio film solo per esprimere ciò che sento di dover raccontare in un preciso momento. Questi ultimi tre film hanno significato molto per me anche a livello personale. Non avrei potuto non farli.".