Io sono l’abisso, Donato Carrisi: “In questo film si entra spaventati e si esce commossi”

La nostra intervista video a Donato Carrisi, regista di Io sono l'abisso, thriller particolare tratto dal suo romanzo omonimo.

Io sono l’abisso, Donato Carrisi: “In questo film si entra spaventati e si esce commossi”

Non c'è bianco, non c'è nero, ma "un'immensa zona grigia e può accadere che dal male nasca il bene e dal bene nasca il male." Questo uno dei messaggi di Io sono l'abisso, il nuovo film di Donato Carrisi, il suo terzo dopo La ragazza nella nebbia e L'uomo del labirinto, tratto dal suo ultimo romanzo omonimo, pubblicato solo lo scorso anno. Un libro particolare, un thriller sui generis in cui l'aspetto umano e l'approfondimento dei personaggi ha una valenza maggiore rispetto all'intreccio e la cosiddetta detection. È la storia di un serial killer, che viene indicato solo come l'uomo che pulisce, che studia e sceglie le proprie vittime attraverso la spazzatura che gettano via, perché quelli "non mentono" a differenza delle persone. È la storia di un killer che si trova a compiere un atto di bene che destabilizza tutto: salva una ragazza, la ragazzina col ciuffo viola, dall'annegamento e accende su di lui una luce che non avrebbe voluto si accendesse. Una luce che, però, nota solo la cacciatrice di mosche, una donna che ha dedicato la propria vita ad aiutare donne in difficoltà, che subiscono soprusi e violenze da parte degli uomini che hanno attorno.

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Io sono l'abisso: una scena del film

Abbiamo avuto modo di approfondire il film, i suoi temi, i suoi personaggi con Donato Carrisi, facendoci raccontare l'importanza dell'acqua come filo conduttore della storia, di questa grande zona grigia che esiste tra bene e male, ma soprattutto della scelta più unica che rara di non comunicare i nomi degli interpreti scelti per incarnare queste tre importanti figure attorno a cui ruota la storia. Ed è proprio da lì che abbiamo iniziato la nostra chiacchierata con il noto scrittore italiano.

La video intervista a Donato Carrisi

Personaggi, non attori

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Io sono l'abisso: una foto

Dopo aver avuto Toni Servillo e comprimari dalla grande visibilità come Jean Reno e Dustin Hoffman, Carrisi ha scelto una via diversa per questo suo terzo film, Io sono l'abisso: non comunicare gli attori, farli letteralmente sparire dietro i personaggi che interpretano. Perché? "È una decisione che nasce dal romanzo. Già lì i personaggi non avevano un nome: l'uomo che pulisce, la cacciatrice di mosche, la ragazzina col ciuffo viola. La spersonalizzazione aiuta a entrare nella storia, a crederci di più. Per questo per ottenere lo stesso effetto al cinema invitiamo il pubblico ad andare in sala senza conoscere i nomi del cast. Doveva spersonalizzare totalmente per invitare il pubblico a cercare un altro tipo di empatia, di compassione". È sicuramente un aspetto chiave di questo nuovo lavoro, al quale però non mancano altri forti spunti, come quello che "la spazzatura non mente mai".

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Io sono l'abisso: una sequenza

"Si parla tanto di privacy" ha spiegato Donato Carrisi, "eppure non ci accorgiamo che le cose che buttiamo via raccontano tutto di noi, anche i segreti più incoffessabili. È sufficiente che qualcuno vada a frugare tra i nostri rifiuti perché possa scoprire anche cose che possono ritorcersi contro di noi. Ed era interessante che lo facesse un serial killer, perché questo tipo di criminali non si affidano solo alla violenza, quella viene dopo, in realtà la sua è un'opera di adescamento, di seduzione della vittima. E la seduzione parte dalla conoscenza della stessa".

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Un'immensa zona grigia

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Io sono l'abisso: una scena del film

"Tendo a non dividere bene e male" ci ha detto Donato Carrisi nel parlare della grande zona grigia in cui si muovono i personaggi, "a non considerare le cose soltanto bianche o nere. Questo volevo raccontare. Ci si innamora del mostro in questo film. Si prova una assurda compassione del mostro in questo film. Si entra spaventati e si esce commossi". Una zona grigia in cui si colloca il film anche dal punto di vista del genere. Ma cosa deve avere un thriller per essere definito tale? "Tutti gli elementi del thriller ci sono, anche se non c'è la detection. Si può raccontare serenamente il finale senza spoilerare niente. C'è la storia che scorre sullo schermo e poi c'è un'altra scorre sotto i piedi dello spettatore, è da lì che scaturiscono i segreti. La costruzione del thriller viene dai sentimenti, non da chi ha fatto cosa o perché. Quello che colpirà, e vi colpirà nel profondo, viene da un'altra parte!".