Nel Futbolclub del Villaggio Olimpico a Roma la squadra è schierata al completo per iniziare la partita, si gioca ad Amore, bugie e calcetto. Luca Lucini presenta alla stampa il suo nuovo film, commedia corale che attraverso lo sport racconta i dribbling del cuore di quattro storie appassionanti e divertenti. Presenti alla conferenza stampa nell'inusuale location quasi tutti gli interpreti del film a partire dallo spassoso Claudio Bisio, nel racconto un cinquantenne bugiardo e arrogante ex marito della ferita e vendicativa Angela Finocchiaro e padre dell'esordiente Andrea Bosca, nonché amante della ventenne e carinissima Chiara Mastalli. Le altre coppie di Amore, bugie e calcetto sono formate dalle due star della fiction Filippo Nigro e Claudia Pandolfi (R.I.S.- Delitti Imperfetti e Distretto di Polizia), giovani coniugi in crisi tra due figli piccoli e una vita privata scomparsa, e Andrea De Rosa e Marina Rocco, due studenti universitari alle prese con una gravidanza inaspettata. Altri tre componenti del team sono poi Pietro Sermonti, aggressivo consulente finanziario, Max Mazzotta, intramontabile panchinaro, e Giuseppe Battiston, giornalista burbero dall'animo sensibile. L'incontro con il cast, il regista, lo sceneggiatore Fabio Bonifacci e la produttrice Francesca Longardi è stato un match di risate e scambi di battute tra un gruppo affiatato e vincente.
Il titolo del film all'inizio era Amore ai tempi del calcetto, lo avete cambiato per paura che scambiassero Bisio per la Mezzogiorno?
Claudio Bisio: No, per García Márquez!
Luca Lucini: Il titolo così sembrava una parodia, quindi abbiamo evitato.
Quanto è stato difficile costruire una commedia corale e, per gli attori, inserirsi nella storia con la propria parte trovando un equilibrio con gli altri?
Luca Lucini: È stata una bella sfida, soprattutto in fase di sceneggiatura a livello d'incastro tra le storie e costruzione dei personaggi. Avevamo un file dove inserivamo le varie storie per tenere il filo di tutto il film.
Claudio Bisio: In passato ho partecipato a film in cui ero il protagonista, nel La cura del Gorilla addirittura c'erano due personaggi che interpretavo entrambi io, e anche nelle conferenze stampa ti senti troppo peso addosso. Così, in una commedia corale, sei più rilassato. A dire la verità, avrei voluto interagire con tutti i personaggi, perché ho avuto una scena con tutti gli uomini del cast ma, con rammarico, non ho avuto contatto con la Pandolfi. Quindi chiedo per favore a Lucini che nel prossimo film mi faccia incontrare anche con lei.
Filippo Nigro: Questo è un film corale con otto-dieci interpreti, anche con bimbi piccoli, ed è un vantaggio fare un film così perché se c'è sintonia nel gruppo si crea un'arma fortissima.
Luca Lucini: L'elemento del calcetto in questo ha aiutato molto, perché il formare ed essere una squadra ha permesso di avere nel film un reale affiatamento dei membri del cast.
Fabio Bonifacci: La coralità serviva ad aumentare la realtà del racconto. Abbiamo creato tanti piccoli film e il calcio era una trait d'union di tutti gli elementi.
Pietro Sermonti: Con questo film si è avverato il sogno della mia vita: essere pagato per giocare a calcio. La cosa più importante che viene detta, secondo me, è che si è sul campo come nella vita. Purtroppo però il personaggio che interpreto è totalmente diverso da come sono e gioco io nella realtà. Lui è uno scarpone violento e aggressivo, mentre io di solito sono un dandy fighetto che non picchia mai nessuno... Comunque è stato molto divertente, abbiamo avuto grandi crampi e grandi soddisfazioni.
Marina Rocco: A me è sembrata straordinaria l'idea di fare un film in generale (risata e applauso di tutto l'audience, ndr)... È stato bello avere un ruolo da protagonista in un film corale, proprio bello, bello, bello.
Andrea De Rosa: Mi sento privilegiato perché questo è il mio genere preferito, la commedia. Dopo Notte prima degli esami mi hanno chiamato sempre per lo stesso ruolo, anche nei cortometraggi che ho fatto, volevano che facessi sempre il 'cazzaro'. Devo dire grazie a Luca per avermi fatto interpretare un ruolo del tutto contrario a quello a cui ero abituato, un 'precisetti' che pianifica tutto e non sbaglia mai. Poi ringrazio gli altri attori perché ho imparato qualcosa da tutti.
Giuseppe Battiston: Mi è piaciuto molto nella scrittura il voler far crescere i personaggi minori. Secondo me è stata la scelta migliore e più intelligente per rendere un film divertente nel genere della commedia. Una scelta felice operata dai nostri sceneggiatori.
Claudia Pandolfi: Il problema di un film corale è che spesso non ci si incontra se non a film ultimato. Il Lucini però è stato furbo e ci ha messo tutti insieme in una prova generale a teatro dove ognuno recitava la sua parte. In questo modo è stato possibile per ognuno capire la parte degli altri e riconsiderare la propria nell'insieme del racconto. Per il resto, il film corale è meno sulle tue spalle rispetto a recitare da protagonista. Partecipare a un film così è più breve, ma non meno faticoso.
Chiara Mastalli: Il mio mondo è stato Bisio. Mi è capitata una scena con De Rosa che ormai è il mio inseparabile patner in tutte le cose che faccio al cinema, ma non ho incontrato la maggior parte degli interpreti del film. Mi dispiace non aver recitato con tutti, ma mi sono divertita un sacco perché anche Claudio da solo fa per dieci.
Angela Finocchiaro: Anche per me è la stessa cosa, ho incontrato solo due o tre degli attori del cast, ma è come se avessi vissuto l'insieme nell'aria, come una carovana di storie. Nella generosità di un film corale c'è il dare lo spazio agli attori italiani, anche da parte della produzione. È una dimostrazione di come in Italia non soffriamo la mancanza di attori, per niente.
Andrea Bosca: Tutte queste persone vivono storie d'amore, il gioco era mettersi a disposizione di Luca anche singolarmente. La coralità è comunque un elemento che si sente nell'aria, si respira. Ci sono stati momenti corali che non sono stati miei, perché come portiere- come mi è stato consigliato da chi gioca a calcio- dovevo stare in disparte, in una posizione marginale rispetto alla squadra che si allena e si prepara alla partita. Nel video si vede, si nota chiaramente, un affiatamento del gruppo che, secondo me, c'è stato anche nella vita.
Gli uomini hanno socializzato grazie al calcetto?
Luca Lucini: Bisio prima del film non era proprio un campione del calcio (ride con sarcasmo, ndr). Si è impegnato molto per essere credibile nella parte del giocatore migliore della squadra.
Claudio Bisio: Io avevo chiesto di prendere uno stunt per le scene sportive e per fare i goal, ma non me l'hanno voluto dare. Io ho sempre giocato come difensore di ripiego, non sono mai stato un campione.
Qual è stato il contributo degli attori alla costruzione del proprio personaggio?
Luca Lucini: Prima di iniziare le riprese faccio di solito una lettura con gli attori per cercare di rendere i personaggi più reali. Cambiamo qualche battuta, modifichiamo delle sfumature e delle caratteristiche. Facciamo un lavoro di sartoria cucendo addosso all'attore il suo personaggio, per cercare che abbia così un suo giusto percorso anche rispetto agli altri elementi narrativi della storia.
Quante sono state le stesure della sceneggiatura?
Fabio Bonifacci: Non molte, quattro o cinque stesure, ma singolarmente le storie sono state riscritte anche otto volte per poi ricostruire la sceneggiatura completa.
A livello registico, qual è stata la cosa più difficile da girare?
Luca Lucini: Girare quattro film paralleli senza perdere il filo, ognuno con la sua atmosfera e le sue regole, è stata la cosa più difficile. Non perdere la lucidità e mantenere una narrazione efficace. Tecnicamente, le partite di calcetto ci hanno impegnato molto anche perché il calcio non è mai rappresentato in modo molto realistico al cinema. Abbiamo girato con due macchine per rendere credibile tutto. Un'altra cosa, che credo non tutti abbiano notato, è che ogni storia è girata in modo coerente con l'andamento degli eventi e lo stato emotivo dei personaggi. Nella coppia Nigro-Pandolfi, per esempio, quando il loro rapporto è in crisi e c'è molto nervosismo tra di loro, ho girato con la macchina a mano, che è molto imprecisa, per comunicare l'inquietudine della situazione.
Siete d'accordo con la massima citata nel film per la quale si è in campo come nella vita?
Luca Lucini: Quando giochi metti te stesso, il tuo carattere, lo fanno anche i grandi campioni. Ma non è una regola generale, ognuno vive lo sport a modo suo.
Fabio Bonifacci: A me lo diceva sempre l'allenatore quando giocavo a calcio a tredici anni: "Ricordati che siete nel campo come nella vita". Per un ragazzino è un trauma sentirsi dire una cosa del genere perché se hai paura e non prendi una palla ti convinci che sarai un codardo anche fuori dal campo, è terribile. È una regola usata nel calcio antico, non va interpretata in modo meccanico. C'è chi nella vita è calmissimo e giocando non fa che urlare, magari sfogandosi nello sport con l'aggressività che non riesce a mettere nella propria vita privata. A volte è una sorta di compensazione del carattere. Non c'è nulla di definitivo da decifrare.
Perché in Italia, un paese dove lo sport è così importante, non si fa un cinema sportivo come finalmente avete fatto voi?
Luca Lucini: Il calcio in Italia è una cosa quasi sacra. Il calcetto ci ha permesso di parlare dello sport in modo più tranquillo. Affrontare il tema del calcio è un po' un rischio, è difficile da rappresentare.
Come avete convinto a partecipare la squadra degli Old Boys composta dai vecchi campioni del calcio?
Luca Lucini: Ho conosciuto Gigi Maifredi e mi ha aiutato a tirar su una squadra di vecchie glorie: Sacconi, Rizzitelli, Schillaci...
Il personaggio di Giuseppe Battiston, il Mina, è molto interessante. A chi vi siete ispirati per crearlo?
Fabio Bonifacci: Io sono un grande lettore di Gianni Mura, è a lui che mi sono ispirato per il personaggio di Mina e in parte anche a me, perché il giocatore che resta in panchina a fumare un pacchetto di sigarette mi è molto familiare. Questo personaggio è stato anche ampliato dopo il film, è diventato il protagonista del mio libro Amore, bugie e calcetto.
Giuseppe Battiston: Mura è un giornalista che io stimo tantissimo e somiglia molto al Mina, ha quei tratti di scontrosità naturale e di ritrosia che hanno le persone distaccate ma di grandi passioni.
Claudio Bisio: Battiston, come fanno i grandi attori americani, per questo film ha dovuto ingrassare dieci chili (scherza, ridendo, ndr).
Finora abbiamo parlato di calcetto, ma cosa si può dire di amore e bugie?
Francesca Longardi: Abbiamo dovuto difendere le ragazze perché anche loro dovevano avere il loro ruolo nel film. Ci chiedevamo: "Ma che fanno le donne? Restano a casa?". Per raccontare gli uomini di oggi si dovevano raccontare le donne. Il calcetto rappresenta una cornice che unisce diverse generazioni, dai ventenni ancora all'università ai trentenni-quarantenni sposati o divorziati, ai cinquantenni che non vogliono accettare gli acciacchi dell'età. Poi, abbiamo scoperto che si gioca a calcetto in tutta Europa e questo rappresenta una speranza per noi che il film viaggi.
Claudia Pandolfi: Mi piace pensare che il calcetto sia solo un pretesto per raccontare le storie. Chi è solo, chi è bene accompagnato ma mal gestito, chi non riesce a rimanere solo. Quindi... Girl Power!
Come avete affrontato l'happy end? Non avete avuto paura che il finale cadesse nel buonismo?
Angela Finocchiaro: Ho discusso a lungo con lo sceneggiatore chiedendogli perché questa donna (il suo personaggio, ndr) dovesse tornare con quest'uomo orrendo (interpretato da Bisio, ndr). Non volevamo arrivare alla fine della storia cadendo nel buonismo. Abbiamo deciso che era meglio rischiare di amare che vivere nel rancore tutta la vita, con le lacrime mancate che arrugginiscono il cuore. Credo che l'amore sia uno dei principi su cui è giusto basarsi oggi giorno a questo mondo.
Claudio Bisio: Voglio spezzare una lancia per il film, non certo per il mio personaggio, Vittorio, che è quasi indifendibile, è uno dei personaggi peggiori che io abbia mai interpretato. Ho un riscatto finale ma abbiamo cercato di affrontarlo evitando il buonismo. Il ritorno con la ex moglie dopo aver avuto un infarto non è una scelta di non vita, ma la consapevolezza di sapere dov'è il proprio posto. Il calcetto ci ha aiutato in questo, nell'accettazione di Vittorio del passaggio dal suo ruolo di attaccante alla difesa. Alla fine il buonismo è poi graffiato dal suo ennesimo comportarsi male con la sua ragazza che non sta con lui per i soldi ed è veramente innamorata di lui. La molla senza una spiegazione e addirittura al telefono.
Luca Lucini: Il buonismo è rotto da molte cose: Martina che tiene il figlio di un altro e la Pandolfi che sogna di perdere i propri figli per semplificarsi la vita. È spezzato da tutti gli elementi che rendono il film reale.
Claudio Bisio: A dispetto del titolo, dello sceneggiatore e del regista maschi, il film è molto femminile. Parla di donne a contatto con la maternità e coi problemi di cuore. Ha una sensibilità femmina. Lo dico come spettatore, è un film dallo sguardo femminile.