"Quelli che verranno dopo di noi, tra 200 o 300 anni e ai quali stiamo preparando la strada, si ricorderanno di noi con una buona parola?" È un passaggio dello Zio Vanja di Anton Cechov con il quale è giusto iniziare la recensione de Il terremoto di Vanja, il film di Vinicio Marchioni, presentato alla Festa del Cinema di Roma del 2019 e in arrivo il 27 marzo in streaming su Nexo+, in occasione della giornata del teatro. Sono parole scritte più di cento anni fa, eppure sono universali. Quante volte, parlando di ambiente, di povertà, e anche di pandemia ci siamo infatti chiesti che mondo lasceremo a chi verrà dopo di noi? Come verrà ricordata la nostra era nei libri di storia? Leggendo questa frase, e guardando il film di Vinicio Marchioni, si capisce la modernità e l'attualità di Cechov, considerato un autore per intellettuali, eppure uno dei più grandi a capire davvero la natura delle persone normali. Il terremoto di Vanja documenta la messa in scena dello Zio Vanja di Cechov in un adattamento molto speciale, ambientato oggi, nelle nostre zone terremotate. Le storie di Cechov, le sue parole, i suoi personaggi, si adattano in maniera incredibile al mondo di oggi.
Dall'epidemia di tifo alle nostre zone colpite dal terremoto
La storia de Il terremoto di Vanja - Alla ricerca di Chechov inizia il 9 febbraio 2017, quando Vinicio Marchioni e Milena Mancini si recano a Pescara, a casa di Letizia Russo, per iniziare a lavorare a un adattamento molto particolare del testo di Cechov. Si è pensato a cosa potesse sostituire, in un adattamento attuale, l'epidemia di tifo e quella piantagione agricola piena di debiti in cui non cambia mai niente. Agli autori è venuta in mente l'Italia e la nostra crisi economica. Quel grano che marcisce è come il nostro patrimonio culturale abbandonato. E quel rimpiangere il passato dei personaggi de Lo zio Vanja diventa il vizio tutto italiano di lamentarsi per un passato dove la cultura italiana era al centro del mondo e che oggi non c'è più. Al posto della piantagione agricola allora il centro della narrazione diventa un teatro di provincia disastrato, in una delle nostre zone colpite dal terremoto. L'isolamento che si prova è quello. Per capire la genialità e la profondità dell'adattamento, fate attenzione al confronto tra il testo originale del monologo di Astrov, dal primo atto, e lo stesso testo adattato e recitato da Francesco Montanari, che evoca le macerie e i morti per il terremoto, con la stessa forza in cui si parlava dei morti per il tifo.
Quel dialogo con Anton Cechov
Il terremoto di Vanja è nato dopo la fine del tour teatrale dello Zio Vanja. Marchioni si è trovato solo, in silenzio, e invece di buttare gli appunti per la messinscena teatrale ha iniziato a rileggerli. Ha capito quanto gli mancava Cechov, e ha deciso di andare a cercarlo. Il film, così, oltre a un viaggio dentro al testo di Cechov, e un altro nei luoghi italiani dei terremoti, diventa anche un pellegrinaggio nelle terre natali dell'autore russo. Diventa un romanzo epistolare, un dialogo tra Marchioni e Cechov. L'attore e regista italiano si confida con lui, si mette a nudo, gli parla dei suoi dubbi e dei suoi sentimenti. E l'autore russo risponde con i suoi pensieri tratti dalle sue lettere dell'epoca, lette dalla voce di Toni Servillo.
Cechov come Eduardo De Filippo
Questi viaggi che si intersecano tra loro, e dove tutto torna, diventano un percorso estremamente coinvolgente, commovente, da seguire, grazie anche a un montaggio perfetto che lega tutto alla perfezione, la Russia con l'Abruzzo, l'Umbria, le Marche e il Lazio, la famiglia descritta da Cechov e quella resiliente incontrata sui luoghi colpiti dal terremoto. E torna anche il fatto che, in un film dove si ascolta la voce di Toni Servillo, si arrivi a parlare anche del nostro Eduardo De Filippo. Secondo Marchioni lui e Cechov hanno molto in comune: in entrambi c'è un'ironia rassegnata e tragica, una capacità di dire spietate verità sull'essere umano con un sorriso, attraverso persone e non personaggi, e sempre con la famiglia al centro di tutto. Marchioni ci spiega tutto questo, e chiede ai suoi attori quella normalità della comunicazione, quella leggerezza, pur nel dramma, che avevano le commedie di Eduardo. Cechov è un misto di registri, fa ridere e piangere, è riuscito a cogliere il tragicomico dell'esistenza umana.
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Incarnare il fallimento dello zio Vanja
Il terremoto di Vanja sarebbe un film speciale già per tutto questo. Ma c'è un momento, verso la fine del film che dà un tocco di verità, di umanità, un senso superiore a tutta questa storia. Dopo aver girato le province italiane, la compagnia si trova a fare una replica a L'Aquila. Va in visita a Onna, paese distrutto completamente dal terremoto del 2009. Davanti a quelle crepe sui muri riviste prima della recita al Teatro Ridotto de L'Aquila, Marchioni si chiede che senso abbia il suo spettacolo, che utilità abbia il suo lavoro; in quelle ore riaffiorano tutti i dubbi sul significato di fare teatro in un posto in cui, in alcune zone, dopo 9 anni non era stato toccato neanche un sasso. In quel momento Marchioni si è sentito perfettamente in asse con il suo personaggio, si è sentito come lo zio Vanja, che incarna tutto il fallimento possibile.
Dedicato a tutti i teatranti che resisteranno sempre
È stato in quel momento che Vinicio Marchioni ha pensato che quel viaggio dovesse diventare un film. È stato un momento molto difficile, ma anche importante. Voleva dire che "the show must go on", che, come la vita va avanti, anche chi fa teatro va avanti. Vedere un film come Il terremoto di Vanja due anni fa (quando lo abbiamo visto alla Festa del Cinema di Roma), aveva avuto già un impatto molto forte, soprattutto per chi in qualche modo ha vissuto uno di quei terremoti. Rivederlo oggi, e vi consigliamo di farlo, ha un significato ancora più forte. Perché arriva sui nostri schermi dopo l'esplosione di una pandemia: nello Zio Vanja originale Cechov poneva i propri personaggi proprio all'interno di un'epidemia di tifo. E, se la rilettura della storia alla luce dei nostri terremoti recenti ha ancora perfettamente senso, ecco che anche il primo contesto, quello dell'epidemia, trova un senso e un'attualità incredibili. La solitudine, l'isolamento, lo scoramento, e dall'altro lato la voglia di resistere, ci raccontano proprio come siamo oggi. E non solo. Un film che ci fa capire come pochi altri cosa voglia dire fare teatro, la passione e lo studio che animano chi lo fa, esce proprio nella giornata del teatro, in un momento in cui però i teatri sono chiusi. Guardarlo è anche il modo per capire quanto ci manca il teatro oggi. Non è un caso che il film si chiuda con una dedica molto importante, oggi più che mai. "Dedicato a tutte le famiglie vittime del terremoto, che ancora resistono... e a tutti i teatranti che resisteranno sempre".
Conclusioni
Nella recensione de Il terremoto di Vanja vi abbiamo parlato di un film importante per vari motivi. Perché racconta un adattamento dello zio Vanja che parla dell'Italia di oggi, quella dei terremoti, quella dove non cambia mai niente. Ma è anche una storia di isolamento, e di un'epidemia, e oggi suona quanto mai attuale. Ed è un atto d'amore per il teatro, che arriva in un momento in cui i teatri sono chiusi.
Perché ci piace
- L'idea di partenza: un adattamento dello Zio Vanja ambientato nelle zone terremotate d'Italia.
- La grande attualità di Cechov e di un testo che ancora oggi ci mette davanti allo specchio.
- La grande passione che anima Vinicio Marchioni e la sua compagnia.
- Il momento in cui, a L'Aquila, affiorano dubbi sul senso di fare teatro.
Cosa non va
- Si tratta di un film dai vari livelli di lettura, e potrebbe non arrivare a tutti.