Il primo re, film di Matteo Rovere sulla storia di Romolo e Remo, forse i fratelli più famosi della storia, che, secondo la mitologia romana, hanno fondato Roma, uscirà nelle sale italiane il 31 dicembre. Alessandro Borghi è il protagonista ma, inaspettatamente, non ha il ruolo che dà il titolo al film, ovvero Romolo, il primo re di Roma, ma quello di Remo, il fratello tradito dal suo stesso sangue. Il film, diretto con luce naturale, è parlato in lingua protolatina ed è stato una vera e propria sfida produttiva - realizzata grazie alla coproduzione di Rai Cinema, Groelandia, Gapbusters, VOO e BeTV - che in Italia mancava da tanto tempo.
A ottobre 2017, quando abbiamo preso un pulmino per andare a Manziana, a un'ora dal centro di Roma, tutto questo non si sapeva ancora. Il film di Matteo Rovere era ancora in fase iniziale e nulla era trapelato dal set del film, diviso tra i comuni di Nettuno, Viterbo e Orvieto, con diverse scene girate anche nel Bosco del Foglino. Arrivati sul posto, ad accoglierci è stato, oltre ai cordoni di trailer e camion, fango, tantissimo fango, sparso su ogni cosa, oggetti, persone e animali. Mescolato al trucco, il fango ci si è appiccicato alle suole, rendendo più difficile il passo e immergendoci immediatamente in un'atmosfera completamente diversa.
Le due scene a cui abbiamo assistito si sono svolte entrambe in una grande vallata, con alberi come sfondo, su cui la produzione ha allestito quello che sembra un piccolo accampamento. Capanne, tavole con cesti di frutta e formaggi, tutti finti ma ricostruiti in modo da sembrare veri (non abbiamo resistito e abbiamo sollevato una forma, leggerissima): c'erano perfino finti pesci appesi a testa in giù a essiccare. La cura quasi maniacale per il dettaglio, di cui Luchino Visconti, che metteva biancheria d'epoca nei cassetti dei suoi film in costume, sarebbe stato fiero, è la seconda cosa che ci ha colpito: la prima resta il fango. Arrivati vicino al set, abbiamo notato un gruppo di attori praticamente nudi, con solo pochi stracci a coprire le parti intime, capelli e barbe lunghe, anche questi incrostati di fango, e denti rovinati. Uno di loro si è staccato dal gruppo, ci è venuto incontro, ci ha riconosciuto e ci ha salutato baciandoci: distratti dal trucco, e dal fango, sempre lui, ci siamo resi conto che si trattava di Alessandro Borghi: gli occhi in effetti erano proprio i suoi, ma tutto il resto era irriconoscibile. Sulla mia pelle non era ancora uscito e all'epoca ci aveva impressionato la perdita di peso a cui l'attore si era sottoposto, facendo una dieta ferrea, trasgredita solo quel giorno che, ci ha detto con un sorriso, era proprio il suo compleanno. Quella sera niente privazioni, ma torta per tutti.
Matteo Rovere, il regista veloce come il vento
Finito il tempo dei saluti, è stata la volta della prima scena a cui abbiamo potuto assistere: una serie di soldati incalza e frusta gli uomini nudi, tra cui Borghi, che hanno le mani legate. Uno di loro viene buttato a terra e trascinato, l'attore guarda tutto in silenzio. Arriva presto lo stop. La scena si ripete. Di nuovo stop. Arriva quindi Matteo Rovere in persona, chiuso in una tenda insieme a diversi monitor da cui controlla tutto, a spiegare ad Alessandro Borghi che sguardo vuole da lui per quel particolare momento: sono i suoi occhi a dare significato a tutto. E si riparte. Dopo aver ripetuto il tutto decine di volte, Rovere ha dichiarato buona la scena e ci è venuto a salutare. Visibilmente stanco, ma con un sorriso da bambino, proprio di chi sa che sta maneggiando qualcosa di importante, il regista ci ha permesso di chiedergli diverse cose, tra cui il ruolo di Borghi e il linguaggio usato nel film, elementi che all'epoca ci hanno lasciato a bocca aperta, ma che ora sono noti a tutti. Una cosa però non ci è ancora chiara: se Alessandro Borghi è Remo sarà davvero il protagonista o ci sarà un twist alla Psycho? E se il punto di osservazione è davvero il suo, quello del fratello che muore, che tipo di film è Il primo re? La curiosità, come 15 mesi fa, è altissima. Una cosa detta sul set è però ancora interessantissima: per il regista il vero "cattivo" del film è Dio. Si va sul pesante, direbbe Marty McFly.
Affermazioni sibilline a parte, Rovere, che con Veloce come il vento ha dimostrato di avere un debole per il lavoro sui corpi degli attori e per le storie di fratelli, ci ha confermato che il set de Il Primo Re è qualcosa che l'Italia non vedeva da tanto, troppo tempo: camminandoci sembrava infatti di essere su quello di una produzione internazionale come Valhalla Rising, o della serie tv Vikings, non su quella di un classico film tricolore. "È un film grosso" ci ha confermato, proseguendo: "Ha richiesto tanta preparazione e tanta attenzione: tutti i reparti e la macchina che si muove intorno al set e mi aiutano a costruirlo devono affrontare una sfida a cui non sono abituati. La storia parla di tutti noi, delle nostre origini, quindi ho provato a pensare anche agli elementi atmosferici: la pioggia, la terra, il fango, lo sporco, gli odori... Abbiamo cercato di portare lo spettatore in un mondo completamente diverso da quello che conosce."
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L'ennesima trasformazione di Alessandro Borghi
Lo sporco lo abbiamo vissuto anche noi e l'abbiamo visto continuamente applicato: trucco e protesi sono di Andrea Leanza, che ai set internazionali è abituato, avendo lavorato a World War Z, Grand Budapest Hotel e Resident Evil, e sembra ormai il prosthetic make-up artist di fiducia di tutti i registi italiani che vogliono realizzare qualcosa dal sapore hollywoodiano (suoi anche gli effetti di Il racconto dei racconti di Matteo Garrone e Suspiria di Luca Guadagnino), a cui si affiancano una trentina di altri professionisti. Alessandro Borghi per il film ha fatto un grande lavoro di dimagrimento, ha perso diversi chili, ci ha detto Rovere, continuando: "Per raccontare un tempo lontano da noi, in cui anche l'accesso al cibo era un problema, dove tutto è più complesso, il lavoro sui corpi era fondamentale, ha richiesto mesi di preparazione. I due fratelli all'inizio del film cercano una capanna dove poter dormire senza doversi guardare le spalle. Il lavoro prostetico è stato incredibile: abbiamo letteralmente costruito la pelle, lo sporco, i tagli, le ferite, le ustioni, segni che rimangono sui personaggi e raccontano un mondo dove c'è la guerra e la morte, dove tutto è molto estremo."
E il senso di fame l'abbiamo percepito con la seconda scena a cui abbiamo potuto assistere, quella di una bambina che, avvolta dal fumo, rosicchia un osso. Occhi grandi e luminosi, la sua pelle ha lo stesso colore delle ossa da cui cerca nutrimento: chissà se sarà nel film e che significato ha. A non soffrire la fame è stato invece sicuramente un enorme maiale, beniamino di tutto il set, che si è avvicinato a noi e a Rovere proprio durante l'intervista, e che abbiamo scoperto chiamarsi Califano: "È il lui il vero protagonista del film!" ci ha detto ridendo il regista.
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Lavorare con la luce naturale: Daniele Ciprì come Terrence Malick
Osservando la ripresa dell'intervista, è possibile vedere come la luce sia sempre meno presente: questo perché Il primo re è stato girato utilizzando luce naturale, come succede sui set di registi del calibro di Terrence Malick e Stanley Kubrick: "Daniele Ciprì è il direttore della fotografia e secondo me è un maestro nell'utilizzo degli elementi naturali per costruire la luce. Abbiamo lavorato con la cosiddetta magic hour, a cavallo del tramonto, e con il fuoco, che è uno dei protagonisti: un fuoco che è una divinità, ma allo stesso tempo illumina i luoghi, i volti, ed è l'unica fonte di luce che ci aiuta a illuminare questo mondo oscuro."
Dopo il fuoco, l'acqua, che sarà protagonista di una scena di inondazione: "Tutte le cose complicate che possono esserci su un set le abbiamo: combattimenti, battaglie, animali, bambini, acqua, c'è un'inondazione, diverse sequenze estremamente complesse, ma secondo me il cinema deve essere una sfida, deve rappresentare un immaginario e contenere qualcosa a cui non siamo abituati, altrimenti diventa quello che vediamo tutti i giorni e, sinceramente, come spettatore amo i film che mi portano da un'altra parte con la mente e col cuore. Diciamo che con questo film siamo andati molto, molto lontano."
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