Il giorno - erano i primi di marzo del 2007 - che Kevin Feige fu messo a capo delle Produzioni di Marvel Studios, il panorama cinematografico dei blockbuster americani subì una drastica svolta. Nello speciale di ABC Marvel Studios: Assembling a Universe viene sottolineato quanto fu importante per la Casa realizzare le potenzialità insite nelle trasposizioni dirette dei fumetti e indica il 2009 come l'anno in cui Feige & Co. cementarono, tramite l'acquisizione da parte di Disney, un sodalizio con una major in grado di garantire risorse produttive pressoché inesauribili. La ricetta base che informa tutti i film monografici successivi dei supereroi Marvel fonde azione, ironia, effetti speciali eccezionali e cast stellari in grado di riscuotere successi strepitosi in termini di incassi diretti e merchandising, e prepara al trionfo del blockbuster che riunisce i titolari delle pellicole sopracitate - Iron Man, Hulk, Capitan America e Thor - in The Avengers.
Il tocco di WhedonOvviamente, come sa bene Nick Fury nel lungometraggio, fare andare d'accordo personalità così incontenibili era un'impresa difficile: solo il sacrificio del serafico Agente Coulson, il denominatore comune delle pellicole, riusciva a unire i supereroi contro il suo assassino Loki. Alla regia di The Avengers c'era nientemeno che Joss Whedon, veterano del piccolo schermo che sa benissimo quanto la morte dei personaggi più amati inneschi efficacemente la rivalsa dei protagonisti nei confronti degli antagonisti di turno. Il grande pubblico cinematografico, per lo più ignaro della carriera dell'autore, della sua poetica e del suo estro narrativo, lo elesse rivelazione dell'anno. Il babbo di Buffy - L'ammazzavampiri era talmente poco conosciuto anche agli impiegati del settore che quando a chi scrive fu offerta l'intervista a Whedon in qualità di sceneggiatore e produttore di Quella casa nel bosco, l'ufficio stampa si prodigò nel spiegare chi fosse: il regista dell'imminente The Avengers, non certo il creatore di serie cult come Firefly. Per molti fan della serialità televisiva Whedon è una divinità - crudele in verità, ha fatto fuori più personaggi lui che Steven Moffat e George R.R. Martin insieme e allenato il suo pubblico a sopportare perdite inaudite - che ha sempre avuto il dono di saper mantenere shakespereanamente in equilibrio humour, dramma e azione... una combinazione ideale per le produzioni Marvel. Prima del suo avvento, gli Studios di Feige avevano escogitato i One Shot, brevi episodi sfiziosi in grado di fare da trait d'union tra i lungometraggi, ma con l'arrivo del regista e sceneggiatore di The Avengers - che ha anche contribuito alla stesura degli script delle pellicole successive come Thor: The Dark World, inizialmente funestato da uno copione zoppicante - il franchise ha acquisito un nuovo prodotto capace di completare il mosaico formato dai tasselli dei film: Agents of S.H.I.E.L.D.. I crossover tra film e serie
L'idea, geniale e pratica, di Whedon è quella di fornire un prodotto seriale funzionale alle pellicole - ognuno dei quali fornisce un contributo alla macro trama delle Gemme dell'infinito (il Tesseract e l'Aether corrispondono a due di queste e sono già entrate in scena) - tramite vari crossover. Tra questi, il più evidente in termini di causa-effetto è senz'altro tra la serie e Captain America: The Winter Soldier (spoiler alert: da qui in avanti proseguite nella lettura a vostro rischio e pericolo). Agents of S.H.I.E.L.D. rappresenta un prodotto all'avanguardia a livello transmediale ma dalle premesse semplicissime: Whedon ha preso un uomo comune, quel Coulson che con il sorrisetto sornione affronta le calamità più incredibili - compreso il primo contatto alieno - e lo ha reso testimone (e filtro per lo spettatore) del superumano. A servizio del pubblico, è un geek pure lui - colleziona le figurine di Captain America e ha le medesime idiosincrasie e debolezze di tutti i personaggi di Whedon -; la sua resurrezione ne modifica lo status di individuo normale e costituisce il mistero principale della prima parte della stagione di Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D.. L'agente - che ignora lui stesso il fatto di non essere più un uomo come gli altri - finisce a capo di un team incaricato di cercare individui dotati di poteri particolari. Coulson è inizialmente immemore del tremendo trauma della resurrezione - i suoi ricordi son stati modificati - ma l'evento fa parte di una fitta trama che lega in modo sorprendente la presunta defunta Hydra del primo capitolo di Captain America: il primo vedicatore, il progetto Centipede (che sfrutta la tecnologia EXTREMIS alla base del plot di Iron Man 3), gli uomini potenziati come Deathlok, la scomparsa di Nick Fury, l'identità del Chiaroveggente e la corruzione dello Shield di cui Phil aveva cominciato a intuire l'esistenza. Un colpo di genio
Accusata di un inizio lento, Agents of S.H.I.E.L.D. ha preso ritmo grazie ai nei crossover con Captain America: The Winter Soldier, dove Nick Fury è costretto a darsi alla macchia mentre la presenza in S.H.I.E.L.D. dei membri dell'Hydra si rivela radicata sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli scienziati tedeschi furono ingaggiati dal governo americano per operare nella ricerca del potenziamento dei soldati. La serie va ben oltre il fan service di cui è accusata - le apparizioni di Maria Hill, Nick Fury o Lady Sif sono i momenti preferiti dal pubblico: i crossover costituiscono infatti un espediente geniale che risolve brillantemente le deficienze narrative e le esigenze di continuità tra le pellicole piuttosto che fare da mero tappabuchi, creando un tessuto di rinforzo alla mitologia del franchise di questa saga transmediale che costituisce il fantastico Marvel Universe: che diventa un po' anche Whedonverse, e da questa influenza non possono che nascere cose buone.