Cosa rende un film indimenticabile? Raccontare un'ottima storia con tutti gli ingredienti giusti, forse. Dare vita a personaggi ben caratterizzati che sappiamo bucare lo schermo. Avere una colonna sonora da canticchiare o ascoltare durante un viaggio in auto. Essere composto da diversi dialoghi memorabili capaci di far venire i brividi a ogni visione. E - perché no? - concludersi con un finale che ci fa sentire terribilmente soddisfatti appena iniziano a scorrere i titoli di coda. Se c'è un film che al suo interno presenta tutte queste caratteristiche è senza dubbio Il gladiatore, il film di Ridley Scott vincitore di ben 5 premi Oscar, tra cui miglior film. Sarà la storia di Massimo Decimo Meridio, generale divenuto gladiatore in cerca di vendetta, saranno le interpretazioni di Russell Crowe e di un giovanissimo Joaquin Phoenix, sarà anche l'inconfondibile - e ormai diventato cult - doppiaggio italiano di Luca Ward, fatto sta che Il gladiatore a vent'anni dalla sua uscita rimane indimenticabile grazie anche a un finale tragico che, in pura tradizione epica, racconta la vittoria del protagonista acclamandone la sconfitta.
"Roma ha vinto"
È un generale vittorioso Massimo (Russell Crowe), capace di vincere la lunga campagna in Germania contro i Marcomanni, amato dal suo esercito e dall'Imperatore Marco Aurelio che è disposto a rinnegare il suo erede naturale Commodo (Joaquin Phoenix) per proporre Massimo come suo successore. Il piano di Marco Aurelio è quello di lasciar morire l'impero e ripristinare la repubblica riportando il potere al senato romano, voce del popolo. Massimo, pieno di carisma, sembra essere la persona adatta nonostante la sua iniziale riluttanza: il suo unico desiderio, dopo tanti anni lontano da casa, è quello di poter tornare dalla sua famiglia e riabbracciare sua moglie e suo figlio. Ma il bene di Roma ha la precedenza. Massimo ha un tatuaggio sul braccio: SPQR, segno indelebile della sua fede all'impero romano, è un servo fedele degli dei che proteggono le autorità romane, è disposto a sacrificare sé stesso pur di rispettare il mondo dove vive (se Roma è il mondo, la terra che raccoglie con la mano prima di ogni combattimento ha il sapore di un inchino e di una dichiarazione: sono con il mio popolo, la mia vittoria è la vittoria di Roma). Ma Commodo è geloso e il suo sentimento di figlio non amato lo costringeranno a uccidere il padre e a prendere il suo posto condannando a morte Massimo e la sua famiglia.
L'elogio del combattimento
Rifiutatosi di sottomettersi al nuovo imperatore, sopravvissuto alla condanna a morte di Commodo e con moglie e figlio sterminati, Massimo è venduto come gladiatore a Proximo (Oliver Reed, qui al suo ultimo ruolo) ed è costretto a combattere in un'arena in Africa dando prova delle sue incredibili abilità da combattente. La possibilità di partecipare a dei giochi voluti da Commodo a Roma smuove il suo desiderio di vendetta. È a questo punto del film che Massimo perde quel senso di appartenenza a un popolo per diventare un uomo singolo, un combattente spinto da interessi personali. Lo vediamo infatti togliersi con la lama del coltello l'incisione sul braccio: il destino di Roma non gli appartiene più. A inizio film un dialogo tra lui e Marco Aurelio riassume bene il senso della pellicola: poco dopo la fine della guerra l'Imperatore, parlando con Massimo, si augura che quella appena trascorsa sia l'ultima battaglia. Massimo risponde che ormai non c'è più nulla per cui combattere. La risposta, invece, non si fa attendere: "C'è sempre qualcuno da combattere". Il Gladiatore diventa un film che fa leva sui combattimenti nel Colosseo per raccontare uno scontro ben più profondo: quello tra l'uomo e il dio. Avvicinandosi sempre più all'Imperatore e, di conseguenza, sempre più alla divinità, Massimo si dimostra un uomo capace di diventare un simbolo diverso: non più un servo di Roma, ma un uomo libero capace di sfidare l'inevitabile.
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Il cuore di Roma è la sabbia del Colosseo
Politica, vendetta, storia e personalità si sfidano all'interno del Colosseo e non tra le mura del senato. Non sono solo le parole (anche se il film ci regala alcuni monologhi memorabili) che caratterizzano i personaggi, ma soprattutto le azioni: Commodo è insicuro e piagnucolone nonostante gli abiti che indossa e ciò che dice in bella vista; a Massimo, invece, basta volgere le spalle all'autorità per dimostrare tutta la sua personalità. Tra i due inizia una sfida d'immagine: chi è amato di più dal pubblico, l'imperatore o il gladiatore? Il Colosseo diventa un microcosmo di violenza e fama, i giochi al suo interno un violento reality show con tanto di televoto (il pollice alzato o abbassato di Commodo, le grida euforiche e "consigliere" degli spettatori) per decidere il destino dei personaggi. Un destino che, però, è già scritto: "La morte sorride a tutti. Un uomo non può fare altro che sorriderle di rimando".
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Perdere tra gli applausi
C'è un piano organizzato da Massimo, la sorella dell'imperatore e Proximo che non va come sperato. La speranza di libertà e di entrare a Roma con un esercito si conclude con un obbligato tradimento e un ultimo duello all'ultimo sangue tra Massimo e Commodo, proprio lì, sulle sabbie dell'arena. Ferito a tradimento, Massimo riesce comunque ad avere la meglio sull'imperatore uccidendolo (anche se, a farci caso, non è una vendetta brutale quella che si compie, ma un ultimo stanco gesto) ma crollando a terra subito dopo per le gravi ferite. Lo scontro tra il (falso) dio e il (vero) uomo ha un solo vincitore: la morte. Ecco perché il finale del film ha il sapore di una sconfitta: a Roma torna il potere del senato, ma sappiamo che l'impero romano crollerà nel giro di qualche secolo; un imperatore incapace è stato spodestato, ma altri ne torneranno; un grande generale amato dal suo popolo e dai suoi sottoposti ha concluso la sua esistenza terrena come semplice gladiatore, senza onore. Eppure, in quella sconfitta, Massimo trova il suo campo, il suo raccolto, la sua famiglia. Forse perché, sia a livello politico che personale, non avrebbe più nessuno da combattere. L'ultima inquadratura sembra sottolineare questo tragico aspetto dell'esistenza: seppellendo le due statuine e riprendendo quel "Non ancora", il film sembra volerci dire che solo nell'aldilà saremo finalmente liberi e felici. E così torniamo alla nostra domanda iniziale: cosa rende un film indimenticabile? Potremmo dire che, più di tutti gli altri aspetti, sia l'emozione. Una battuta del film si rende particolarmente adatta a riassumere il motivo per cui, a distanza di vent'anni, questo film continua ad essere amato: "Conquista la folla e avrai la tua libertà" viene detto a Massimo. E alla fine, nei campi elisi, riabbracciando il figlio e la moglie, il protagonista è finalmente libero. Perché la sua storia ci ha conquistato.