Maurizio Tesei aveva fin da piccolo il sogno della recitazione, che è iniziato per la prima volta a concretizzarsi in modo del tutto inaspettato, quando intorno ai diciotto anni gli è stato proposto da Pino Quartullo di prendere parte a un lavoro teatrale nonostante non avesse alcun tipo di esperienza pregressa. Qualche anno più tardi è arrivato il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia e in seguito il trentanovenne attore romano ha alternato l'attività teatrale a quella televisiva e cinematografica, continuando a provarci senza demordere mai. Come ci ha raccontato, "quella della recitazione è una scintilla che hai dentro e che, se non vieni da una famiglia di artisti ma di operai, a un certo punto cerchi anche di soffocare, buttandoci terra sopra per non sentirla. Se poi però ti rendi conto che non si affievolisce, allora la scelta diventa tra vivere una vita infelice rinunciando alla tua passione e provare con tutte le forze a conquistare il tuo sogno".
Il primo ruolo da protagonista sul grande schermo Maurizio l'ha ottenuto nel 2010 con la sorprendente opera prima di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini Et in terra pax, in cui interpretava Marco, un ex detenuto che per sopravvivere tornava a spacciare nell'alienante contesto della periferia romana del Corviale. A sette anni di distanza, dopo aver recitato nell'esordio dietro la macchina da presa di Diego Bianchi (in arte Zoro) Arance e martello e in Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti nel ruolo del Biondo, è tornato a lavorare con Botrugno e Coluccini ne Il contagio. L'opera seconda del duo di registi capitolini, distribuita nelle sale a partire dal 28 settembre, è tratta dall'omonimo e assai apprezzato romanzo del 2009 dello scrittore Premio Strega Walter Siti. Il personaggio interpretato da Tesei, Mauro, è uno spacciatore di borgata che, al fine di raggiungere uno status sociale più elevato, segue il suo boss in una serie di attività criminali che coinvolgono anche le istituzioni romane.
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La nascita del progetto e il rapporto con Botrugno e Coluccini
Cosa ti ha spinto più di ogni altra cosa a prendere parte al film?
Sarebbe stato impossibile per me non far parte di questo progetto, che in realtà nasce nove anni fa con uno spettacolo teatrale a cui ho partecipato recitando sempre nel ruolo di Mauro. Nuccio Siano, che ha scritto anche la sceneggiatura del film insieme ai due registi, si era innamorato del libro di Walter Siti e mi ha contattato per una serie di letture da cui poi è nato lo spettacolo che abbiamo portato in scena tra il 2008 e il 2010. Ricordo che già il primo giorno di prove, dopo aver letto il romanzo, dissi subito a Nuccio che sarebbe stato fantastico farne anche un film. Matteo Botrugno e Daniele Coluccini vennero a teatro e fu vedendomi in quel contesto che pensarono a me per il ruolo del protagonista di Et in terra pax. La mia collaborazione con loro, quindi, è nata grazie alla trasposizione teatrale de Il contagio, che ora abbiamo portato al cinema.
Hai ricoperto il ruolo del personaggio principale in entrambi i film di Botrugno e Coluccini. Cosa ti affascina del loro modo di girare e raccontare una storia?
Dal mio punto di vista, con loro si riesce a fare il lavoro dell'attore in maniera approfondita e come andrebbe sempre fatto, studiando insieme la sceneggiatura e i personaggi prima delle riprese. In questo modo, un interprete si sente estremamente a proprio agio, in quanto è in grado di intraprendere un percorso emotivo prima di trovarsi sul set e farsi così trovare davvero pronto al momento delle riprese. Una loro caratteristica è poi quella di essere coraggiosi, nel senso che hanno la peculiarità di concentrarsi su storie che sentono profondamente e che hanno la reale esigenza di raccontare. Di conseguenza, non sono inclini a compromessi e ammiccamenti nei confronti del pubblico o della critica, né a giudicare sul piano morale i personaggi e il mondo che tratteggiano. Per questi motivi, difficilmente credo che un loro film possa lasciare indifferenti.
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Mauro e la sua discesa negli inferi, tra cinema e teatro
Il tuo personaggio è il più complesso del film, in quanto è quello che nel corso della narrazione ha un'evoluzione più marcata. Che tipo di lavoro hai fatto per portarlo sul grande schermo rispetto all'esperienza teatrale?
Naturalmente il lavoro che si fa al cinema è molto diverso da quello che si fa a teatro. Lo spettacolo teatrale era quasi interamente accompagnato dalla musica dei Radiohead e vedeva tutti i quattordici personaggi in scena insieme in ogni momento, con i vari attori che a turno facevano i loro monologhi e raccontavano la loro storia mentre gli altri rimanevano sullo sfondo a mo' di tableaux vivant, interagendo gli uni con gli altri. Mauro nel corso del film va incontro a una sorta di discesa negli inferi, un degeneramento che lo porta a sacrificare i rapporti con le persone a lui più vicine, nonché alla solitudine più totale, per inseguire un'idea di felicità che si accorge troppo tardi essere distorta e fallace. Questo al cinema l'ho potuto esprimere portandomi tutto dentro e puntando quasi esclusivamente sulla fisicità e sulla mimica facciale, come accade in maniera emblematica nella scena del piano-sequenza di dieci minuti della seconda parte del film.
In una delle scene più intime e intense de "Il Contagio", il tuo personaggio e quello di Marcello, interpretato da Vinicio Marchioni, si confidano sulla terrazza del palazzo di borgata in cui vivono. L'alchimia tra voi appare evidente e dalla scena emerge una forte sensazione di naturalezza.
Mi fa piacere quanto dici, perché i registi volevano proprio che in questa scena, cui io e Vinicio teniamo molto, emergesse il rapporto tra Mauro e Marcello in un modo che fosse il più naturale possibile. Ho fatto le prove con diversi attori validissimi in ballo per il ruolo di Marcello e questa alchimia credo sia stata fondamentale per la decisione di scegliere lui piuttosto che un altro interprete. Al di là della stima e del rispetto reciproco a livello professionale, in seguito abbiamo avuto modo di conoscerci maggiormente, di lavorare ancor di più sulla resa del rapporto tra i nostri personaggi e credo che in questo modo l'intesa sia ulteriormente cresciuta.
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I prossimi progetti
Di cosa ti stai occupando ora?
In questo momento mi sto concentrando sul teatro. Dopo molto anni sto lavorando nuovamente con Pino Quartullo e collaborando con Sergio Pierattini, che considero uno degli autori più geniali che ci siano attualmente nel panorama teatrale italiano. Dovrebbe poi ripartire la tournée dello spettacolo Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, con Sebastiano Somma protagonista, che la scorsa stagione è andata molto bene. Quello che in generale sento il bisogno di fare è una commedia teatrale brillante, tragicomica, che mi permetta di lavorare su un personaggio più leggero ed estroverso, che tiri fuori i sentimenti invece di fare come Mauro, a cui il mondo in qualche modo gli si ribalta dentro.
Con quali registi cinematografici ti piacerebbe lavorare in futuro?
I nomi sarebbero molti, ma limitandomi a farne pochi posso dire che sarei senz'altro entusiasta di lavorare con uno dei registi che in assoluto negli anni ho stimato di più, Gabriele Salvatores, o con Paolo Sorrentino. Poi c'è Giovanni Veronesi, che fa commedie di un certo tipo che mi piacciono, ma sarei contento anche di tornare a lavorare con gli stessi Botrugno e Coluccini, Gabriele Mainetti o Diego Bianchi, di cui nutro grandissima stima.