Il cinema è ormai un evento. E lo dimostrano le nuove (e cattive) abitudini

Disclaimer: se amate il cinema, almeno al cinema lasciate stare lo smartphone. Perché ormai anche un film in sala è diventato un evento da testimoniare via social, anche andando contro il buon senso. Verso gli altri, e verso se stessi.

Il cinema è ormai un evento. E lo dimostrano le nuove (e cattive) abitudini

Lo abbiamo detto e scritto tante volte: il cinema è un evento. Un evento a cui partecipare, testimoniando di esserci. Perché senza testimonianza, via social, si intende, l'evento stesso perde di potenza, di rilevanza. Se andare al cinema era quasi un'abitudine, quella del venerdì sera, tra pizza e cornetti notturni, oggi è un avvenimento che cade due o tre volte l'anno, quando il grande schermo offre l'esperienza partecipata, irrinunciabile. Basta guardare la top 10 degli incassi di stagione: Avatar - La via dell'Acqua, Super Mario Bros - Il film, Barbie. E poi saghe, remake, live action (qui il nostro approfondimento). Certezze, per un pubblico che va sul sicuro, senza troppo osare, senza sperimentare visioni divergenti dalla programmazione dei grandi titoli.

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Un dato di fatto, lo ripetiamo, segnalato dal botteghino, e dai profili Instagram e/o TikTok degli spettatori. Già perché il pubblico è cambiato. È cambiato il modo di approcciare alla sala, e di conseguenza sono cambiate le pratiche degli spettatori. Non basta più un secchiello maxi di pop-corn, da gustare insieme ad una Coca-Cola ghiacciata, non basta più il cineforum improvvisato con gli amici, appena usciti dalla visione. Bisogna esserci, testimoniare: prima, durante e dopo lo spettacolo. Ecco, il punto è questo: se il cambiamento è marcato, anche i cambiamenti, in qualche modo, sono portati all'esasperazione, inseguendo la viralità dei social. Esserci, condividere, farsi notare.

Nuove abitudini, cattive abitudini

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Oppenheimer: Cillian Muprhy in un primo piano

La magia della sala era e resta insostituibile, ma spesso quella magia è spezzata da mode e costumi che rendono complicata e insostenibile la visione. Mode che cambiano di pari passo all'evoluzione (o all'involuzione) dello spettatore, forse più distratto e più attento all'evento che al film in sé. Tutto è mutato in relazione ad un forte individualismo, andando ad aggiornare l'atteggiamento del pubblico. Non è raro discutere in sala con un vicino di posto perché troppo rumoroso o troppo chiacchierone; non è raro il trillo di un telefono lasciato acceso, che suona sul più bello; non è rara la risatina anche quando si dovrebbe piangere, e non è rara la coppia di turno che, entrando in ritardo, faceva alzare tutta la fila, invece di accontentarsi dei posti vuoti più agibili. Un cosmo ben preciso, ma comunque accettato anche dallo spettatore più intransigente. Del resto, vedere un film al cinema non ha paragoni.

Adesso, però, l'attenzione è sfuggente, e le nuove abitudini tendono a sovrastare l'esperienza stessa. Abitudini discutibili, lo diciamo, di una platea che potrebbe aver dimenticato come si sta, o come si dovrebbe stare, in sala (anche se il film dura tre ore, tipo Oppenheimer di Christopher Nolan). Non è raro, infatti, vedere spuntare nella sala gremita gli smartphone, con una luminosità esagerata, a mo' di faro da stadio, che irradiano il buio, distraendo fortemente lo sguardo. Una scrollata su Whatsapp, un tag su Instagram se il film annoia, che "tanto ho pagato il biglietto, faccio ciò che voglio", per buona pace di chi invece vorrebbe passare due ore in tranquillità.

Oppenheimer, la recensione: Christopher Nolan e il sontuoso ritratto del padre dell'atomica

La viralità, costi quel che costi

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Nuove abitudini fisiologiche, assuefatte dal bisogno di tecnologia. Una tecnologia che crea dipendenza, da cui non riusciamo a staccarci anche quando sarebbe consono farlo (questa è un'altra storia). Non tutti lo sanno, ma una vecchia legge proibirebbe addirittura l'uso del cellulare in sala. Una legge inapplicabile, affidata al buon senso: lo smartphone va silenziato, e riposto in tasca. E invece no: appena inizia il film, eccolo acceso, con l'obiettivo puntato sullo schermo, pronto per immortalare il titolo. Già perché se fino a qualche anno fa era impensabile solo scattare una foto ad un film proiettato in sala, essendo materiale coperto da copyright (ci dovrebbero essere le maschere di sala a vigilare, ma spesso i cinema sono sotto personale, smussando alcune mansioni), adesso è regolare riprendere le scene, i frame, i momenti più significativi, per poi condividere (!) sui social.

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Non basta più andare al cinema e vedere un film. Bisogna rimarcare la propria presenza all'evento, contravvenendo ad un paio di regole, basilari e auree: non si possono far riprese video/audio, e per rispetto non si potrebbe utilizzare il telefono. La spasmodica voglia di condividere l'evento, però, ha portato un totale squilibrio: intere sequenze riprese e postate come storia Instagram, come se fossero i brani di un concerto ripreso live, o un rigore filmato allo stadio. Eventi, appunto, e anche lì avremmo da ridire: come si può guardare un intero concerto tramite un telefono in video ripresa? Che emozione si prova ad esultare per un rigore, mentre teniamo l'obiettivo dell'iPhone puntato sul campo? Una riflessione generale, ovvio, che si attacca anche al cinema: porre un mezzo tecnologico, per di più vietato, tra noi e lo schermo, ridimensiona la potenza dell'evento cinematografico a cui si sta prendendo parte, rimpicciolendo l'esperienza, la sostanza, la bellezza. Un cortocircuito su cui ragionare anche in relazione all'approccio che abbiamo nei confronti di qualcosa che dura più di 15 secondi. Si tende ad instagrammare anche un film, rinchiudendolo nella misura di un display - e questa è la minaccia collaterale portata dallo streaming.

Il caso Barbie

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Barbie: Margot Robbie e Ryan Goslin in una foto del film

Un pensiero, il nostro, che cavalca il meritato successo di Barbie. Con la pellicola di Greta Gerwig, che viaggia intorno ai 30 milioni di incasso, la controversa moda è stata portata all'estremo. Addirittura la splendida sequenza che apre il finale è stata ripresa e postata in giro per il mondo, un must invece il logo della Warner Bros. tinto di rosa. La domanda, da chi ama il cinema, sorge naturale: che gusto c'è? Dov'è il rispetto verso il senso artistico, e dov'è il senso di rispetto per i vicini di posto, che vengono flashati dalla luce di uno schermo acceso all'improvviso (figuriamoci chi è seduto dietro...)?

Anche perché, se si vuol vidimare la propria presenza nell'ottica dell'evento (per questo andare al cinema è come andare ad un concerto), basta condividere il biglietto con il titolo o la locandina appesa fuori, lasciando religiosamente intatta la visione (senza considera che riprendere un film con un dispositivo audiovisivo non è teoricamente consentito). Del resto, un film al cinema non è una visione che si può interrompere e poi far ripartire; una visione al cinema è un flusso continuo di immagini e di racconti, ed è un peccato sminuirlo alterando l'esperienza in una IG story che dura 24 ore, perdendo l'emozione di un momento magico, smettendo di vivere il momento. Reale e irripetibile.