Raccontare significa scegliere, e tra le scelte del narrare ce n'è una imprescindibile: adottare un punto di vista. A seconda della prospettiva scelta, ogni storia assume forme e toni diversi, cambia registro e significato. Si può parlare di famiglia attraverso gli occhi di un genitore o di un figlio, possiamo vivere un inseguimento dalla parte del cacciatore o della preda, rivivere storie vere attraverso personaggi illustri o inediti protagonisti secondari. Insomma, narrare significa per forza di cose schierarsi, un obbligo al quale neanche il cinema si è potuto mai sottrarre, tra carnefici e vittime, eroi e mostri, voglia di reale e desiderio di straordinario. Poi arrivano i videogame che, forti di formule narrative sempre più complesse, fanno del punto di vista qualcosa di eclatante e di fondamentale. Perché, la maggior parte delle volte, un videogioco ti obbliga a vivere una storia attraverso due occhi e due soltanto, vivendo in prima persona gli eventi, con un'impostazione registica che diminuisce o accentua questo senso di immersione totale. Così la prospettiva in terza persona si alterna a visuali isometriche e scrolling orizzontali, per poi arrivare all'oggetto di questo nostro articolo: la soggettiva.
Vivere in prima persona una storia videoludica ci catapulta dentro un lungo piano sequenza e ci invita nella vita di qualcun altro, guardando il mondo attraverso i suoi occhi. Lo sguardo sul personaggio scompare perché si tramuta in sguardo del personaggio. Un espediente registico altamente immersivo che l'arte videoludica ha applicato a tantissimi generi: dagli sparatutto (Call of Duty, Battlefield, Doom) alle avventure grafiche (Myst), dal survival horror (Half-Life, Alien Isolation) al puzzle-game (Portal, The Talos Principle), sino ad opere più autoriali come Everybody's Gone to the Rapture. In questo modo il videogame crea dei mondi sulla carta inarrivabili per qualsiasi film; luoghi altri dove l'identificazione con il personaggio è assoluta, quasi tangibile, e l'interattività sovrappone alla perfezione protagonista e giocatore. Del nostro personaggio a volte non vedremo ma il viso e non sentiremo mai voce; tutto quello che conta è il contesto, il mondo di gioco, vivere un'esperienza attraverso retine altrui.
Leggi anche: Everybody's Gone to the Rapture: il videogioco si fa cinema d'autore
Prima persona singolare
Ma il cinema non è stato fermo a guardare, anzi ha teso la mano verso i videogiochi, li ha osservati e imitati, e a sua volta è stato corteggiato da loro. Il rapporto tra questi due amanti capricciosi si fa più stretto e inevitabile, in un relazione di odio e amore assai controversa, fatta di imitazione e attrazione e segnata da continui esperimenti fallimentari (Street Fighter - Sfida Finale, Super Mario Bros., Tomb Raider: La culla della vita, gli ultimi capitoli della saga di Resident Evil, Doom), ma nella quale qualcosa sta cambiando.
Leggi anche: Cinema e videogiochi: l'attrazione (e imitazione) è reciproca
Mentre alcuni videogiochi assumono la forma di veri e propri film interattivi (Heavy Rain, Beyond: Due anime, Until Dawn) per la gioia dei più cinefili e la perplessità dei puristi, il cinema sta capendo che non serve spingere sull'acceleratore della computer grafica, dell'esasperazione estetica e dell'azione ipercinetica. No, perché serve piuttosto ibridare il proprio linguaggio con altro, adottando dai videogiochi dinamiche narrative e prospettive inedite, come ha fatto Edge of Tomorrow - Senza domani che ci ha portato davvero dentro la frustrazione videoludica della ripetizione a oltranza, con l'esperienza a fare da preziosa alleata; come si appresta a fare l'imminente Hardcore!, finanziato dal crowfunding e testato dal regista Ilya Naishuller in un suo celebre video musicale.
Leggi anche: Heavy Rain: il cinema thriller/noir approda su PS4
Completamente girato in soggettiva con una GoPro e accompagnato da una sinossi rivolta direttamente allo spettatore, Hardcore! è un esperimento cinematografico spinto come il suo titolo, un action movie turbolento che ripropone anche le tappe obbligate di un'avventura videoludica: dal tutorial a missioni di difficoltà crescente, sino al boss finale. Ma prima di invitarci nella folle vita dell'immemore Henry, il cinema aveva già adottato la visuale in prima persona in tempi non sospetti, in anni in cui (per pura coincidenza) i videogiochi erano agli albori (la fine degli anni Quaranta). È successo nei noir, nella fantascienza più visionaria, nel mockumentary d'autore, rispondendo sempre ad un forte desiderio di sperimentazione. Sino a quel momento magico in cui gli occhi di protagonisti, registi e pubblico arrivano a coincidere.
E allora ecco 10 film che ci hanno prestato altri occhi, 10 film coniugati alla prima persona singolare, in rigoroso ordine cronologico.
1. La fuga (1947)
Se quella di Hardcore è una rincorsa, quella di Vincent è una fuga da un'ingiusta accusa di uxoricidio. Il film di Delmer Daves ha il coraggio di privarsi per quasi un'ora del volto di un divo come Humphrey Bogart, fissando la camera sullo sguardo di un protagonista in perenne stato di tensione e ansia. La fuga ridefinisce i canoni narrativi ed estetici del noir, con la soggettiva che diventa un espediente narrativo carico di significato: come viene visto un ricercato? Chi crede in Vincent? Chi ha paura di lui? Tra bende, foto segnaletiche, ombre e operazioni chirurgiche, La fuga racconta soprattutto di identità frammentate.
2. Una donna nel lago (1947)
Anno felice per regie in soggettiva, il 1947 vede un ancora più deciso ritorno della prospettiva in persona nel giallo Una donna nel lago, diretto e interpretato da Robert Montgomery. Il fine è sempre quello di creare immedesimazione nel pubblico, ma all'epoca l'effetto ottenuto fu quello dello straniamento, come se lo spettatore avesse più bisogno di volti in cui riconoscersi. Qui il protagonista ci mostra il viso solo tre volte, continuamente sfuggente e riflesso soltanto dentro gli specchi.
3. Strange Days (1995)
Quattro anni prima di Matrix, Kathryn Bigelow dirige la più riuscita, veemente e disturbante opera cinematografica sul postmoderno. Non a caso ambientato in un simbolico capodanno alle porte del nuovo millennio, Strange Days è proteso verso il futuro con visionario pessimismo distopico, grazie ad una storia dove la persona non esiste quasi più, dispersa nei territori della simulazione. "Sei pronto? Caricarlo". Così si apre un film dedicato alla dipendenza moderna di essere qualcun altro, del non bastarsi mai come persone per vivere nuove ebbrezze attraverso un dispositivo (lo SQUID) capace di far vivere il mondo in modo nuovo. Il cinema si traveste in non-luogo virtuale e la prospettiva in prima persona questa volta nasce per essere respingente. Girato con una cinepresa in 35 mm creata appositamente per le sequenze in soggettiva, Strange Days segna la fine di un anno e l'inizio di un nuovo essere umano, disperso e instabile.
Leggi anche: 25 fantascientifiche invenzioni da film e serie che vorremmo fossero realtà
4. The Blair Witch project - Il mistero della strega di Blair (2000)
L'euforia che si trasforma in orrore, la curiosità che diventa condanna. La storia è quella di tre giovani svaniti nell'oscura boscaglia del Maryland, una triste vicenda che possiamo rivivere grazie ad un filmato che funge da inquietante testimonianza. "Ho paura di chiudere gli occhi. E ho paura di aprirli" è una frase emblematica che sottolinea quanto il mockumentary horror The Blair Witch Project faccia del guardare e del confuso sbirciare il suo motivo di esistere. Agevolato da un'ottima campagna di comunicazione, il film di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez è più innovativo che valido, e gli va dato atto di aver avviato un vero e proprio sotto-genere. Da lì in avanti, infatti, il gusto meta-cinematografico per il falso documentario esploderà, dando vita a cloni come ESP - Fenomeni paranormali e Rec. Nessuno, però, riuscirà a ripetere un'altra falsificazione così credibile, sporca, incerta, imperfetta e per questo assai verosimile.
Leggi anche: Dalla Strega di Blair a The Gallows, il fenomeno degli horror 'found footage'
5. Arca russa (2002)
Il cinema come sfida estetica, un film che sin dal titolo richiama bibliche imprese. Aleksandr Sokurov filma e firma l'evoluzione storica della Russia attraverso un piano sequenza lungo 96 minuti tutto in rigorosa soggettiva; impresa riuscita al quarto tentativo di ripresa continuativa. Come un fantasma percepito da un solo personaggio in scena, un curioso visitatore aleggia nel sontuoso Palazzo d'Inverno di San Pietroburgo, dove assiste allo scorrere delle epoche. Se quella di Noè ospitava le specie animali, Arca russa contiene uno sguardo poetico sul tempo, sulla storia e sull'arte; un film dallo sguardo morbido, cadenzato dalle note di tre orchestre, i passi di oltre 4500 comparse e la fatica di 22 assistenti alla regia.
Leggi anche: Tutto d'un fiato! I migliori piani-sequenza degli ultimi 25 anni
6. Lo scafandro e la farfalla (2007)
Un battito di ciglia per dire sì, due per dire no. Tutto attraverso l'occhio sinistro, unico collegamento rimasto per comunicare con il mondo. Al suo risveglio dopo un ictus, il giornalista Jean-Dominique Bauby rimane totalmente paralizzato e privo della parola, impossibilitato muovere altro che le palpebre. Vincitore del Premio alla Regia a Cannes e del Golden Globe come miglior film straniero, Lo scafandro e la farfalla fa della soggettiva un patto fidato tra spettatore e protagonista; un uomo che conosciamo attraverso i suoi pensieri, i suoi desideri, la sua voglia di esistere nonostante tutto. Senza pietismi e con grande tatto umano, Julian Schnabel fa dello scafandro il mezzo per immergerci dentro il dramma di Jean-Do e della farfalla il simbolo di un desiderio di vita palpitante.
7. Cloverfield (2008)
Mentre l'isola di Lost continua a partorire misteri a forma di fumo nero e oscuri progetti scientifici, J.J. Abrams sperimenta la sospensione dell'incredulità anche al cinema, fungendo da deus ex machina per il bellissimo Cloverfield. Disaster movie intimo, mai dominato dall'alto, ma vissuto dal basso di una videocamera tremolante, attraverso lo sguardo di un gruppo di amici newyorkesi la cui quieta normalità viene stravolta di colpo. I luoghi iconici di New York (Statua della Libertà, ponte di Brooklyn, metropolitana) fanno da sfondo all'incedere di una creatura abnorme, davvero terrificante perché mostrata poco e lentamente, presentata attraverso i suoi versi e gli effetti catastrofici del suo incedere. Una geniale operazione di marketing virale ha fatto il resto, rendendo questo film una piccola perla.
8. Enter the Void (2009)
Neon, degrado, caos. Il giovane spacciatore Oscar muore, mentre Tokyo pullula ancora di vita. Una città vissuta attraverso gli occhi di un fantasma, in un'esperienza post-mortem allucinata e psichedelica. I battiti di ciglia segnano improvvisi e repentini cambi di prospettiva, in un film dove i ricordi si sistemano dietro le spalle del protagonista e uno strano limbo ondeggia tra riprese in soggettiva e panoramiche. Gaspar Noé continua il suo viaggio autoriale nell'arte della provocazione e degli istinti, grazie ad un film che vive di percezioni estemporanee, ritratto scomposto di una modernità vertiginosa, imbottita di stimoli. Laddove tutto è sovraesposto, tutto si sfiora e poco si comprende.
9. Chronicle (2012)
Lo abbiamo detto in apertura: è sempre un questione di punti di vista e Chronicle ne adotta uno narrativo, prima che registico. Non un film sui supereroi, ma un film sui superpoteri, sullo straordinario che irrompe nella cameretta di un adolescente problematico. Andrew è un ragazzo solo, rinchiuso nella sua stanza a fantasticare fughe impossibili grazie ad una piccola videocamera. Questa sarà l'unica testimone dell'inevitabile autodistruzione di un protagonista difficile, non un canonico Peter Parker, ma un liceale che fa del superpotere una possibilità di rabbiosa rivincita sul mondo. La frustrazione, la solitudine, l'invidia. Tutto viene esasperato e portato all'estremo grazie alla regia di Josh Trank, autore che fa del superpotere un'occasione per il cinema stesso, potenziando le capacità di ripresa e le prospettive ardite di una semplice videocamera.
Leggi anche: Michael B. Jordan: nome da campione, talento da fuoriclasse
10. Gravity (2013)
Lo spazio è un sacco amniotico e gli astronauti ci appaiono come neonati indifesi. Inabissandoci in una porzione spaziale sconfinata eppure claustrofobica, Alfonso Cuarón fa del grande schermo un enorme abbraccio, con il silenzio, i respiri e meravigliose contemplazioni terrestri ad accogliere lo sguardo dello spettatore. Il regista messicano alterna ampie panoramiche a riprese in prima persona; prima evoca l'infinito contemplando il vuoto sublime e poi si sofferma sull'affanno di personaggi in fin di vita. Metaforico, metafisico, impregnato di significati universali, Gravity trascende l'immagine e la narrazione per trasformarsi in un'esperienza totalizzante. Viaggio di andata verso un'odissea umana dove c'è chi si aggrappa alla vita e chi impara a lasciar andare. Questo limbo dell'anima è il senso estremo di una terza dimensione finalmente sensata.
Leggi anche: Fotografare la luce: da Gravity a Revenant, le sette meraviglie di Emmanuel Lubezki