Masters of Horror: ovvero come mettere insieme tredici celebri registi horror a dirigere episodi da un ora per il canale via cavo Showtime. Potenza di un mezzo, quello televisivo americano che ha smesso da molto tempo di contrapporsi al cinema per configurarsi come un medium sempre più vario e ricco di proposte interessanti e in grado di riferirsi ai target più vari. Questo mentre in Italia la televisione è sempre più povera, infarcita di reality, omologante e piatta come gli schermi da cui viene fruita. Bizzarro segno dei tempi.
Ma torniamo ai nostri maestri dell'orrore. John Carpenter, Roger Corman, Dario Argento,John Landis, Joe Dante, Tobe Hooper Don Coscarelli, Takashi Miike i nomi più altisonanti di questa serie caratterizzata da un budget contenuto, massima libertà espressiva ed un pugno di soggetti tratti da scrittori del livello di Clive Barker, Stephen King, Joe R. Lansdale, Richard Matheson, e H. P. Lovecraft, oltre che da materiale originale. Ideatore e coordinatore, nonché regista di un episodio: Mick Garris che ebbe l'idea nel corso di una cena in cui erano presenti gran parte dei nomi citati. Accolta con gran successo in America, la serie è stata venuta già in moltissimi paesi e verrà portata in Italia dalla Sharada Films, ma prima ancora è stato il Festival di Torino, appena conclusosi, a presentare al pubblico italiano sette episodi della serie.
Ad aprire il programma: Chocolate di Garris. La storia è quella di un uomo divorziato che inizia ad avere flash sensoriali che lo portano nel corpo di una bellissima donna. Con lei "condividerà" ogni tipo d'esperienza, compreso il sesso e un'omicidio, fino ad innamorarsene. Ma quando dopo alcune ricerche riesce a trovarla in Canada, le cose non andranno come immaginato. Se Mick Garris ha l'indubbio merito di aver fatto nascere la serie, va detto che forse avrebbe dovuto avere la modestia di tirarsene fuori come regista. Con alle spalle titoli non certo memorabili come Critters 2 e le riduzioni televisive de L'ombra dello scorpione e Shining di Stephen King, Garris ha realizzato un episodio non solo piuttosto noioso ma a tratti decisamente risibile. Chocolate non è tanto un film horror quanto un piatto e patinato prodotto alla Zalman King, dove ad un erotismo di maniera di aggiungono un paio di momenti vagamente splatter. Da citare il personaggio di un artista seduttore che rivaleggia con il Nicolas Cage del memorabile Zandelee ed il fatto che il protagonista getti alle ortiche una promettenete relazione con una splendida brunetta per inseguire la scialba protagonista delle sue visioni.
Segue l'episodio di Argento, Jenifer. Mentre pranza in auto in un luogo isolato, un poliziotto vede un uomo che minaccia di uccidere una ragazza in sottoveste. Nasce uno scontro che porterà all'uccisione del tentato omicida e alla scoperta che la ragazza, Jenifer, ha un corpo sensuale e voluttuoso ma un volto orribilmente sfigurato, oltre ad essere apparentemente ritardata mentalmente. Per questo Jenifer viene sbattuta in un manicomio ma il poliziotto, impietositosi, deciderà di ospitarla in casa sua. Presto scoprirà che Jenifer è una bomba del sesso, ma che ama cibarsi di animali ed esseri umani e che ha sviluppato una patologica dipendenza nei suoi riguardi. Decisamente poco argentiano come temi e sensibilità, Jenifer (rimane irrisolto il mistero della singola "n": che si tratti di una questione di romanità?) è un film discontinuo, dall'alto tasso di gore e ricco di un erotismo che dal Dario nazionale non t'aspetteresti. Pur con alcuni momenti di buona fattura (dove si nota la presenza di una struttura produttiva forte alle spalle d'Argento) il film non riesce mai ad essere convincente fino in fondo e non evita qualche situazione che sfiora il ridicolo. Interessante però il ragionamento su amore e sesso messo in piedi da Argento, mentre da buttare sono le musiche di Claudio Simonetti, che spaziano irrazionalmente dallo stile Goblin ad un ingiustificato richiamo al Bernard Herrman di Psycho in alcune sequenza di guida in auto. In sostanza, un film trascurabile, che rimane però forse quanto di meglio fatto vedere da Argento di recente.
Homecoming di Joe Dante presentato dallo stesso regista con l'entusiasmo che lo contraddistingue, racconta il ritorno in vita, sotto forma di zombie dei soldati americani morti negli scontri militari. Consapevoli di aver influenzato gli esiti delle elezioni presidenziali centrate sul clima di difesa dal terrorismo, ora gli zombi vogliono esprimere di nuovo il loro diritto al voto prima di morire con la coscienza pulita. Gradevole commistione di humor nero e zombi-movie, Homecoming è il film che ha suscitato indubbiamente la maggiore risposta del pubblico torinese (un vero e proprio tripudio di grida ed applausi francamente un po' eccessivo) a ulteriore conferma che dalle nostri parti, e non solo, un cinema di chiara contrapposizione con la politica statunitense suscita un'empatia ed un entusiasmo a parere di chi scrive un po' semplicistico quando non manicheo (i danni creati dal pessimo cinema di Michael Moore non smettono di farsi sentire). Ad ogni modo il film di Dante coglie nel segno facendo leva su una satira divertente ed appuntita, ma soffre decisamente di un fastidioso didascalismo e di una certa retorica per come grida e racconta il suo dissenso verso il governo americano e lo staff menzoniero. Inoltre, è interessante notare come la critica americana al proprio sistema non lo metta mai veramente in discussione e punti sempre e solo sull'aspetto amministrativo e regolamentativi del potere (gli zombi di Dante non combattono le inequità del sistema, vogliono solo votare l'altro schieramento perché gli è stato mentito!).
E' un Carpenter in grande forma quello che dirige Cigarette Burns, di gran lunga l'episodio più riuscito tra i sette presentati a Torino. Jimmy Sweetman è un gestore di una sala cinematografica che proietta classici, ma soprattutto è uno specialista nel reperire copie di film rari. A mettere a dura prova questa sua capacità sarà la richiesta di un cinefilo in fin di vita che gli chiede di reperire il film maledetto La fine assoluta del mondo, pellicola bandita in ogni dove, a seguito della sanguinolenta proiezione ad un festival (il Sitges, omaggiato teneramente da Carpenter) di più di venti anni prima. L'episodio di Carpenter è un mediometraggio dai toni forti e disturbanti (finalmente un horror che svolge la sua funzione), dotato di grande potenza e personalità registica. Inquietante ed affascinante nel suo incedere metafilmico ed in una messa in scena assolutamente poco televisiva, Cigarette Burns riflette su temi pluribattuti come l'ontologia della visione, rifuggendo da ogni intellettualismo e mettendo al centro l'amore incondizionato per il cinema che da sempre contraddistingue il regista americano.
Deer Woman di John Landis (presente a Torino per il secondo anno consecutivo, dopo la retrospettiva dedicatagli un anno fa) racconta di bizzarri omicidi avvenuti all'interno di un camion. Gli strani indizi che si dipanano fanno sospettare il detective Farady che si tratti addirittura di una vendetta operata da una creatura della mitologia pellirosse: la donna cervo. Un giochino demenziale, lontano dall'horror e dal fiato corto, che ben presto mostra la corda e cede il passo allo sbadiglio, questo nuovo Landis, assolutamente sottotono. Film sciatto e inoffensivo farcito da un paio di momenti di buona ilarità che ne avrebbero garantito al massimo l'accettabilità come corto e nulla più. Effetti digitali di rara bruttezza a conferma della cura minimale della confezione.
In Dance of the Dead di Tobe Hooper ci troviamo catapultati in una società post-apocalittica dove dominano violenza e pestilenze. Il macabro è la religione di questo nuovo mondo dove vengono allestiti funerei spettacoli di rianimazione elettrica di morti. E' il fascino maligno del racconto di Matheson da cui è tratto il suddetto episodio, a fornire spessore al film di Hooper, più che la sua mediocre regia, costruita su effettacci ripetitivi e caratterizzata da un'inutile ipercinetismo. D'altronde il creatore del mitico Non aprite quella porta (su cui, diciamocelo, vive di rendita da una vita) non è mai stato dotato di grandi qualità registiche, però per l'occasione mostra di sapere ben gestire, almeno sotto il profilo del racconto e della direzione degli attori, le interessanti suggestioni post-atomiche del plot, per un risultato tutto sommato più che soddisfacente.
Presentato infine, a sorpresa, in un fuori programma graditissimo, l'episodio di Don Coscarelli, intitolato: Incident on and off a Mountain Road, trattto ancora una volta, dopo il grande Bubba Ho-tep, da John R. Lansdale. Purtroppo lo spessore del racconto non è lo stesso, tanto che in questa occasione vale l'esatto opposto rilevato nell'episodio di Hooper. E' infatti l'ottima regia di Coscarelli a fornire spessore ad una storia (costruita sui flashback) di una donna che dopo un incidente stradale si trova ad affrontare un brutale e animalesco serial killer, seguendo gli insegnamenti militareschi del suo ex, folle e panteista marito. Coscarelli imprime un ritmo serrato alla storia e sfugge alle trappole estetiche del low budget con una fotografia ricercata e movimenti di macchina particolarmente eleganti.
(I commenti relativi agli episodi Chocolate e Jenifer sono a cura di Federico Gironi)