A novembre Gustavo Santaolalla sarà in Italia per due date speciali che celebrano i 25 anni di Ronroco, l'album che ha segnato una svolta nella sua carriera e nel modo stesso di intendere la world music. Due concerti, tra Roma e Vercelli, che il 16 e il 18 novembre permetteranno agli appassionati di scoprire da vicino la musicalità del Maestro, nonché di poterlo incontrare in uno speciale momento con foto e autografi.

Il compositore argentino, due volte premio Oscar e anima musicale di capolavori come Brokeback Mountain, I Segreti di Osage County e della saga di The Last of Us, porterà sul palco un concerto intimo e profondo, che ripercorrerà i suoni, le suggestioni e le sperimentazioni che lo hanno reso uno degli artisti più riconoscibili e amati al mondo. Un'occasione imperdibile per ascoltare dal vivo non solo le celebri melodie che hanno accompagnato film e serie iconiche, ma anche per scoprire il lato più personale e artigianale della sua musica. Lo abbiamo intervistato, a 4 mesi dal concerto, per iniziare ad avvicinarci al personaggio che da oltre vent'anni colora le colonne sonore del cinema.
Nella seconda stagione di The Last of Us, precisamente nel secondo episodio, il cameo di Gustavo Santaolalla era abbastanza telefonato: già apparso nel videogioco, Neil Druckmann non avrebbe potuto tradirlo ed escluderlo dall'occasione di prendersi l'abbraccio del proprio pubblico sul piccolo schermo.
The Last of Us, un'occasione di rinascita: intervista a Gustavo Santaolalla

Che sensazione è stata prendere parte al set e vivere The Last of Us davanti alla macchina da presa? "Ero anche nel gioco, penso si sappia! È stato incredibile, ma ovviamente si è trattato di un qualcosa di simbolico. L'aspetto più particolare è che pur avendo realizzato la musica per la serie non avevo visto l'intero episodio, né parti di esso. Per vedere la versione finale ho dovuto aspettare la presentazione ufficiale, al TCL Chinese Theatre di Hollywood, dove si è tenuta la prima: non c'erano molte persone, perché era ovviamente un'occasione riservata, solo su invito, ma c'erano comunque 900 persone che erano lì a guardare tutto, ad ascoltare e così via. Ed è lì che ho visto per la prima volta l'episodio in maniera completa, il final cut, per vedermi anche lì, alla fine della canzone. Si tratta di un secondo, no? Ma è stato comunque divertente e le persone possono comunque vedermi lì: è grandioso, capite cosa intendo?".
Una connessione che nella tua carriera ha significato tanto, soprattutto con i suoi fan.
"È facilmente collegabile, come evento, a quello che è l'amore che i fan hanno nei confronti della musica: sono stato benedetto dalla possibilità di connettermi con la mia musica a tutti i fan e anche di celebrare ciò che sono e che faccio in quanto artista, in quanto produttore, compositore e così via. Però con The Last of Us è stato tutto diverso. Il 99% del pubblico non sapeva niente di me e la maggior parte di essi veniva dall'esperienza del videogioco: non conoscono la mia carriera, non sanno che tipo di artista sono e cosa faccio, se ho realizzato musiche per altri film e così via. Quindi, per me è stata l'occasione per fare qualcosa di totalmente nuovo, di originale. Ovviamente nel passaggio dal videogioco alla serie non abbiamo cambiato nulla, anche perché sia Craig Mazin che Neil Druckmann hanno sempre detto che la mia musica faceva parte del DNA di The Last of Us, quindi doveva rimanere tale. Questo avrebbe aiutato gli stessi fan che dal videogioco sono arrivati alla serie: hanno percepito la connessione che c'è tra i due prodotti attraverso la musica. Certo, c'è da tener conto che l'intenzione era quella di conquistare un'altra audience, un pubblico nuovo, e ovviamente l'obiettivo è stato raggiunto: il modo in cui la musica ha condizionato l'audience, però, è risultato essere completamente diverso da qualsiasi altra cosa abbia provato in precedenza".
Per te dev'essere stata una grande occasione.
"Per me è stato molto gratificante, perché dopo i due Oscar (Babel e I Segreti di Brockeback Mountain, ndr) ho continuato a realizzare grandi progetti per me stesso, sentivo di aver raggiunto il pubblico che potevo e cose del genere. Poi all'improvviso è arrivata questa nuova esperienza con The Last of Us, che mi ha permesso di espandermi nuovamente, di esplorare nuovi orizzonti. E l'ho amato tantissimo. Sono sempre stato abituato a essere collegato a un'audience più giovane e mi sento anche molto a mio agio a lavorare con i giovani e parlare ai giovani con la mia musica, perché lavoro anche come produttore: mi piace avere a che fare con loro perché spesso sono mossi dall'inesperienza e si ritrovano a prendere delle strade che l'esperienza, invece, non ti farebbe prendere. Adoro questo tipo di cose, di sperimentazioni. L'idea di essere messo nella serie, ma anche nel gioco, sicuramente appartiene a Neil. Forse per la serie ha avuto il supporto di qualcun altro, ma sicuramente per il gioco di The Last of Us ci ha pensato direttamente lui".
La carriera del compositore

Due Oscar potrebbero averti dato un senso di appagamento, come dicevi. Cos'è che ti porta ancora ad avere l'ispirazione di continuare a metterti in gioco, a quest'età?
"La vita continua a ispirarmi. Ho un appetito vorace per la vita e questo a volte mi ha causato delle indigestioni, ma continuo ad amarla e non ho perso quella passione che mi ha sempre mosso. Sono estremamente curioso, mi interessano tantissime cose e sento di dover andare in profondità su molte di esse. Mi sono spesso ritrovato a dire "perché no?". Con l'onestà di conoscere i propri limiti, se non provi non sai fin dove puoi spingerti. Non voglio considerarmi un esperto di tutto. Facciamo un'analogia col calcio, perché essendo argentino è anche abbastanza scontato che lo faccia, è molto logico: spesso mi ritrovo dinanzi alla porta, pronto a fare gol, altre volte ti ritrovi in mezzo al campo a organizzare la manovra, altre volte sei il portiere e devi difendere la porta, altre volte ti ritrovi a essere l'allenatore della squadra, oppure sei il preparatore atletico, ma l'importante è essere sempre della partita, sempre pronto. Questo è quello che faccio: ho una piccola casa editrice, pubblico libri, ho un piccolo progetto di vino, ho una piccola enoteca in Argentina, ora mi sto concentrando sulla realizzazione degli strumenti, poi c'è il discorso del profumo... (Gustavo sta lavorando a un profumo ispirato al Ronroco, in lavorazione, tra l'altro, in Italia, ndr) ogni volta è un "perché no?"."
E a muovere tutto c'è sempre la passione, il mettersi sempre in gioco.
"Ovviamente tutto questo è mosso da un interesse che non è mai quello economico, perché non penso mai "ah questo potrebbe essere un grande business". Non può essere quello il motivo: prendi la storia del profumo, so benissimo che non diventerà il profumo di Antonio Banderas, ma è un qualcosa che voglio fare, in cui credo. Forse venderemo 500 boccette, poi chissà. È il piacere di fare qualcosa che sognavo di fare che mi spinge, cercando poi di arrivare a farlo nel miglior modo possibile. Si tratta di una grande sfida, ma mi piace accettarla ogni volta. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di fortuna? Be', la fortuna capita una volta: se succede più volte forse significa che sto riuscendo a fare qualcosa che mi connette con le persone. Questo è il risultato migliore possibile".
Da Ang Lee ad Anne Hathaway
Hai avuto modo di lavorare con grandissimi maestri, da Ang Lee ad Alejandro González Iñárritu. In che modo scegli con chi collaborare e come colleghi la musica alle immagini? "Dipende dalla posizione in cui mi trovo. Se vengo chiamato per fare il produttore c'è un tipo di relazione che si crea, anche perché ci sono certi parametri che devi rispettare in quella specifica posizione. Un'altra cosa è quando ti ritrovi a lavorare per un regista, perché il ruolo cambia e l'approccio anche. In entrambi i casi, comunque, sono sempre ben cosciente di un aspetto: sto collaborando con qualcuno e sto fornendo un servizio. Poi c'è da capire se quel tipo di lavoro è stato commissionato da un'agenzia pubblicitaria o se devi avere un approccio artistico, perché magari si tratta di una collaborazione diversa".
Come si compone la musica?
"Nei film la musica è sempre fondamentale, ha un ruolo strategico, sia che ci sia o che non ci sia. Anche perché, come sapete, sono un grande sostenitore del silenzio e dell'uso dello spazio: ritengo sia davvero importante. In ogni caso, facciamo l'esempio di Brokeback Mountain: ho scritto la musica senza che fosse stato girato un singolo frame del film. Sapevo che Ang Lee avrebbe ascoltato la musica nei giorni precedenti alle riprese, la fece ascoltare anche agli attori: quando vidi il primo girato del film ero spaventato. Nel senso, mi domandavo come fosse stato possibile che Ang Lee fosse riuscito a creare questa connessione tra la musica e il film: era chiaramente grazie al suo genio, perché era stato in grado di dire "userò questa melodia qui" oppure "questo pezzo andrà qui" e così via. In un'intervista al LA Times, tra l'altro, disse che lui è abituato a creare la narrazione partendo dalla musica: i personaggi, le immagini, la storia e così via".

E che tipo di selezione fai quando qualcuno vuole lavorare con te?
"Ovviamente quando lavori per un direttore la situazione è diversa rispetto a quando stai producendo qualcosa, perché non sei in una posizione di potere. In quel caso sei sotto al potere del regista e ci sono dinamiche diverse. Sul come scelgo le persone su cui lavorare ho una regola ben precisa: non lavoro con gli "yes men". Mi piace lavorare con chi ha una propria opinione, che possono aiutarmi a mettere in pratica la mia visione e che, soprattutto, crea in me. Non posso e non accetto di lavorare a progetti in cui non mi sento coinvolto, in cui non mi sento a mio agio. Per me è sempre importante avere la garanzia di poter mettere tutta quella voracità di cui parlavo prima nel mio lavoro: devo sentirmi in grado di dialogare con un artista che mi comprende e mi capisce, col quale posso parlare. Non è mai una questione economica, anche qui. Guardate la mia filmografia: non ho nessun progetto da nascondere, non ho niente che mi porta a dire "ah di quel film non voglio parlare". Ho lavorato a più di 100 tra album e film, ma a tutti sono collegato in qualche modo: sono tutti parte del mio successo".
L'importanza della sperimentazione

La vera particolarità della tua musica sta nella sperimentazione.Quanta sperimentazione continui a mettere nella tua musica? "Sperimentare è alla base di tutta la mia musica. È anche un modo per continuare a imparare. Certo, dopo tanti anni di lavoro sulle spalle diventa più complicato sperimentare, ma non posso abbandonare questo approccio, perché l'ho sempre adottato e mi ha sempre dato grande soddisfazione. Solo così ho potuto scoprire nuove cose, compreso l'uso del silenzio, anche facendo degli errori. Penso ci siano errori che non solo altro che errori, ma ci sono anche degli errori che sono punti di flessione. Quando mi ritrovo a parlare con i giovani e condivido le mie esperienze invito sempre loro a tenere le antenne ben reattive, perché devono riconoscere quegli errori che possono diventare qualcosa di utile".
E l'arrivo in America?
"Quando arrivai negli Stati Uniti era il momento del punk, c'era un nuovo approccio alla musica e l'ho abbracciato a pieno, perché odiavo ciò che era successo con il rock, che era diventato troppo "corporate". Incisi un nastro e iniziai a mandarlo in giro: solo un tizio mi rispose. Ci vedemmo, ascoltammo il nastro insieme, gli suonai qualche brano con la mia chitarra e poi finimmo a parlare. Lui mi disse che amava la mia voce, ma che in ogni canzone io, a un certo punto, pizzicassi la corda sbagliata, una nota sbagliata. Capii non saremmo finiti a lavorare insieme. Negli anni, però, mi è capitato che quella nota "sbagliata" finisse sotto le attenzioni di molti. Anne Hathaway, dopo Brokeback Mountain, mi disse che quella corda dissonante nella intro l'aveva fatta impazzire: venne a dirmi che era geniale. Fu come un cerchio che si chiudeva".
In chiusura, tra 4 mesi sarai in Italia. So che è un Paese al quale sei molto legato. "Il concerto in Italia sarà qualcosa di magnifico, di molto diverso dal solito. Sarà un concerto introspettivo, ovviamente molto connesso all'album Ronroco, che compie 25 anni. Ma per, ancora più importante, sarà una grande emozione suonare in Italia: è un qualcosa che sento forte nel profondo di me stesso. Sono mezzo italiano, d'altronde, mia madre di cognome faceva Chiari, quindi nella mia storia c'è il Bel Paese. Anche mia moglie ha origini italiane, perché sua madre era di lì. Per me è gratificante sapere che potrò suonare in Italia e suonare la mia musica: spero che le persone si divertiranno davvero tanto e che vivranno un'esperienza indimenticabile".