Sono passati tanti anni, dalla prima visione di Unbreakable, l'intrigante film di M. Night Shyamalan che ha dato vita, finalmente, a una trilogia, proseguita con Split e portata a compimento con Glass, il terzo episodio, in uscita nelle sale il 17 gennaio. La sensazione, appena finito di vedere il film, era quella di doverci pensare su, di superare gli schemi mentali con cui si era entrati in sala, insomma di capire in che mondo fossimo capitati. Lanciato come un thriller psicologico, cosa che in parte è, perché si diceva che all'epoca i cinecomic non andassero bene al botteghino (!), Unbreakable è invece la storia della nascita di un supereroe. Ma come mai la cosa ci lasciava di stucco?
Semplice: il David Dunn del film di M. Night Shyamalan è un eroe che nasce con il suo film, non è l'adattamento di un fumetto. E, fino a quel momento, ogni volta che andavamo al cinema era per vedere qualche eroe che già conoscevamo. Nel corso degli anni, al cinema, ne abbiamo visti altri. E raramente ne siamo stati delusi. Portare sullo schermo dei supereroi inediti, infatti, è un'operazione che regala parecchia libertà: si può costruire un personaggio secondo le proprie esigenze, e non si è legati al fumetto originale. E questa libertà, spesso, permette di fare delle riflessioni sull'essere eroe proprio perché il film è costruito ad hoc per trasmette un messaggio, e non per seguire le regole del fumetto da cui è tratto.
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Unbreakable (2000)
David Dunn (Bruce Willis), il protagonista di Unbreakable - Il predestinato di M. Night Shyamalan, è un uomo comune. Non sa ancora dei suoi poteri né del destino che lo attende. Ha un lavoro normale, si occupa della sicurezza allo stadio di Philadelphia, e una vita privata difficile con un matrimonio in crisi. È sempre triste, perché non sa quale sia il suo posto nel mondo. Fino a che non si ritrova come unico superstite di un incidente ferroviario. Il dubbio glielo instilla Elijah Price (Samuel L. Jackson), gallerista ed esperto di fumetti: sostiene che entrambi siano speciali, e se esiste qualcuno come lui, l'Uomo di vetro, dalle ossa fragilissime, esiste anche qualcuno di indistruttibile, come Dunn.
Unbreakable - Il predestinato ha il pregio di portare sul grande schermo un supereroe inedito, e di raccontare un lato importante dell'essere un predestinato: saper cogliere i segnali, costruire dentro di sé la consapevolezza, accettare il proprio destino e la vita che ne consegue, convivere con il dubbio, fino a fugarlo. E, infine, decidere di scendere in campo, mettersi in gioco, dedicare la propria vita agli altri. David Dunn ha dei poteri semplici ma essenziali per essere un eroe: è indistruttibile, ha una forza superiore, e ha un "sesto senso" che gli permette di leggere nella vita degli altri e quindi di capire chi stia dalla parte del crimine. Come molti eroi, ha anche un tallone d'Achille, la sua kryptonite, e anche questa è molto semplice: è l'acqua. Non ha ancora una divisa, ma la troverà in un poncho impermeabile con cappuccio e cappello con visiera, che diventerà il suo aspetto iconico. Solo nel terzo film ci verrà rivelato il suo nome: The Overseer, il Sorvegliante. E ha la sua nemesi, il suo arcinemico: Mr. Glass.
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Hancock (2008)
Hancock, il protagonista dell'omonimo film di Peter Berg, interpretato da Will Smith, è un altro supereroe che non abbiamo imparato ad amare leggendo fumetti o crescendo con i suoi cartoni animati, ma è un personaggio nato espressamente per il grande schermo, e, come gli altri di questa rassegna, è davvero particolare. Hancock è un supereroe incompreso e poco amato dalla gente. È trasandato e alcolizzato, ne combina di tutti i colori, per ogni grande impresa fa altrettanti danni.
Fino a che incontra Ray (Jason Bateman), "il Bono Vox delle pubbliche relazioni", i suoi consigli rimettono Hancock in carreggiata. Ma fanno sì che Hancock incontri anche la moglie di Ray (Charlize Theron), che sembra essere davvero speciale, e non solo per la sua bellezza. Esperimento non del tutto riuscito, Hancock ha però il pregio di puntare su un altro aspetto dell'essere eroe: la reputazione, la percezione da parte degli altri, il modo in cui l'opinione pubblica accoglie e giudica le azioni dell'eroe. È un discorso al centro anche del Batman di Nolan, in particolare de Il cavaliere oscuro. Ed è un aspetto chiave anche di Glass.
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Chronicle (2012)
"Pensi di farci di più con i poteri?" "No". È un dialogo illuminante di quello che è Chronicle, uno dei film più interessanti ed irriverenti mai visti sul mondo dei supereroi. Anche qui non c'è nessun fumetto storico a ispirare la storia, e i supereroi non hanno alcun nome né alcuna divisa. E vi diremo di più: non vogliono neanche essere degli eroi. Josh Trank, che poi si sposterà nel mondo dei supereroi classici dirigendo uno sfortunato adattamento de I Fantastici 4, gioca con la moda del film found footage per farne un cinecomic senza eroi e senza gloria.
Tre ragazzi, Andrew, Matt e Steve, entrano in contatto con un meteorite, e arrivano così a possedere poteri fuori dal comune: spostare gli oggetti, volare e così via. Se due di loro sembrano gestirli in maniera responsabile, Andrew (Dane DeHaan, che rivedremo nel cinecomic The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro), è un ragazzo pieno di problemi, con la madre in fin di vita e il padre violento, e i poteri così finiscono per diventare uno sfogo per le proprie frustrazioni. Chronicle è una delle migliori riflessioni sull'assunto marvelliano "Da grandi poteri derivano grandi responsabilità": ogni nascita di un supereroe passa per la scoperta dei poteri per arrivare a una missione in cui usarli finalmente per un buon fine. Ma qui gli (anti)eroi finiscono per perdersi nelle loro storie personali, e non mettere mai quei poteri al servizio di qualcosa di più grande. La loro lotta non è contro qualcuno, ma contro se stessi. Quelli di Chronicle (sceneggiato da Max Landis, figlio di John) sono super uomini con super poteri ma senza super vestiti, senza quell'aura colorata e gloriosa a cui ci hanno abituato i supereroi dei fumetti classici, ma persone che accanto alla loro natura speciale devono pur sempre fare i conti con quella umana.
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Il ragazzo invisibile (2014)
Il tentativo di dare vita a nuovi supereroi direttamente su grande schermo, anche senza passare per la carta dei fumetti, ha visto esperimenti interessanti anche in Italia. Il ragazzo invisibile, che ha anche un sequel (Il ragazzo invisibile - Seconda generazione) vede alla produzione Indigo Film, alla regia Gabriele Salvatores e alla scrittura il trio Sardo/Rampoldi/Fabbri. È un film che nasce dalla voglia di provare a fare un film per famiglie, nel territorio del fantasy, anche in Italia: il protagonista è un ragazzo giovanissimo, Michele, che grazie a un vecchio costume scopre di poter diventare invisibile, ma capisce che i suoi poteri vengono da lontano.
È un romanzo di formazione e, proprio come nei film di cui sopra, ha un protagonista che si interroga sul senso del proprio dono e sull'uso da farne. La saga de Il ragazzo invisibile vorrebbe essere un po' un Unbreakable europeo, per come vuole scandagliare l'animo, la formazione e le motivazioni di un supereroe, e per come lo avvolge in una luce oscura e malinconica invece che sgargiante e pop. Ma tocca anche i temi cari agli X-Men, come il dilemma del supereroe, che in fondo è un diverso: essere un pericolo o un'opportunità per il mondo? Lo sceneggiatore Stefano Sardo, in un'intervista, ci aveva raccontato che l'idea di un ragazzo invisibile era nata perché si pensava che costasse di meno a livello di effetti visivi, ma non è stato proprio così. C'era invece un'idea forte, quella di fare un film per ragazzi, che avesse quell'incanto e quella innocenza de I Goonies e dei film Amblin.
Lo chiamavano Jeeg Robot (2015)
E un'operazione simile ma anche opposta, invece, Lo chiamavano Jeeg Robot, diretto da Gabriele Mainetti e scritto da Nicola Guaglianone: è un cinecomic all'italiana, ma calato nel mondo del crime, in una certa romanità e, soprattutto, nel mondo delle periferie. Se parliamo di superpoteri usati per fini personali, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) batte tutti: una volta capito di avere una forza sovraumana, dopo essere entrato in contatto con il contenuto di alcuni bidoni lasciati in fondo al Tevere, decide di scardinare a mani nude un bancomat per prenderne il contenuto. Solo dopo aver conosciuto Alessia (Ilenia Pastorelli) e la sua sofferenza, decide di accettare il suo destino, quello di essere un supereroe.
Lo chiamavano Jeeg Robot è grande cinema di genere, una storia d'amore e di soprusi, un gangster movie e un cinecomic, cinema dal taglio americano ma pieno di cultura pop all'italiana. Uno dei segreti del film è proprio la conoscenza del territorio che racconta (l'idea di ambientare la storia a Tor Bella Monaca nasce dall'esperienza di servizio civile di Guaglianone) e il saper entrare in empatia con i personaggi che racconta, perché nascono da storie vere. Quelli di Mainetti sono personaggi iperbolici eppure credibilissimi grazie alle interpretazioni degli attori, Claudio Santamaria e Luca Marinelli su tutti. È un film che mescola i generi e i toni: c'è l'azione, c'è tanta ironia, ma anche il dramma della violenza domestica, legata al personaggio di Alessia. La sua maschera diventerà proprio quella di Jeeg che lei gli ha fatto all'uncinetto. L'assunto Marvel "Da grandi poteri derivano grandi responsabilità" con Enzo Ceccotti assume significati ancora diversi, calato com'è nella realtà delle nostre periferie. "In Italia, per le persone che hanno realmente bisogno d'aiuto, un potere di questo tipo diventa una sorta di privilegio" ci aveva raccontato Mainetti. "Ci piaceva l'idea di prendere questi poteri e metterli in mano a una persona che avesse tutte le ragioni del mondo per utilizzarli per i propri fini personali invece che aiutare gli altri. Questa idea ci permette di guardarci tutti quanti in faccia. Se lo può fare lui, che è quanto di più lontano dall'altruismo, lo possiamo fare anche noi".