La perdita di Gigi Proietti è una perdita grave, lacerante per la cultura italiana. Nel giorno del suo 80esimo compleanno, ci lascia un artista che si è dimostrato capace di spaziare in ogni direzione, di essere innovativo, ardito, di coniugare la sperimentazione più coerente, con una capacità unica di arrivare al pubblico, di essere immediato, universale, di unire da Nord a Sud un paese che (sovente) ha fatto del regionalismo una bandiera. Romano e romanista, attore di teatro, televisione e cinema, cantante, cabarettista, regista, conduttore televisivo, doppiatore, comico, direttore artistico, insegnante... Gigi Proietti è stato tutto questo ma anche molto di più. Ha rappresentato il vero e proprio mattatore della porta accanto, l'artista popolare nell'accezione più alta del termine.
C'era una volta un ragazzo di Roma
Gigi Proietti in più di mezzo secolo di carriera, fu capace di diventare un personaggio accattivante, armato di una cinica e malinconica ironia molto "romana", popolare nella sua arte anche nelle sue performance più dissacranti e giocose, ma anche straordinario nel confrontarsi con i grandi autori, con i testi più impegnativi. E dire che per lui, agli inizi, non fu facile capire se fare l'artista era la sua strada. In famiglia ci tenevano molto che si laureasse in Giurisprudenza, nonostante egli poi le sue energie le riversasse in ambito musicale, esibendosi nei night club per pagarsi gli studi universitari. Il teatro arrivò dopo, quando frequentò il Centro Ateneo ed ebbe come maestri personaggi del calibro di Arnoldo Foà e Giancarlo Sbragia. Fu lì che decise di fare la sua scelta di vita, abbandonando gli studi a soli sei esami dalla laurea ed abbracciando in pieno la sua vocazione. Di lì a poco conobbe il palcoscenico dell'avanguardia, grazie a quel Giancarlo Cobelli, che oltre ad averlo come allievo nel suo Centro Teatrale, vide in lui quelle qualità che lo rendevano perfetto per il suo Can, Can degli italiani. Era il 1964 e quel ragazzo avrebbe cambiato tutto su quel palco.
Tra piccolo e grande schermo
Più o meno nello stesso periodo cominciò anche la sua avventura sul piccolo e grande schermo, per quanto poi fosse il palco il suo ambiente più congeniale, visto che sul palcoscenico del teatro l'Aquila, fu protagonista di spettacoli scritti nientemeno che da Moravia e Gombrowicz. Al cinema dovette aspettare il Tinto Brass di prima maniera per avere un ruolo centrale in L'urlo che a Cannes ebbe critiche contrastanti. Di base si può in realtà tranquillamente dire che il rapporto con la settima arte di Proietti, sia stato sovente complicato e non così idilliaco quanto il suo sconfinato talento avrebbe meritato. Lui, che nel giro di pochi anni fu indicato come il solo, vero, grande erede del mitico Petrolini (riprendendone moltissimi lavori), ebbe modo di stupire con la sua incredibile adattabilità nei generi più disparati: commedie (anche di tipo erotico), film grotteschi, drammatici o impegnati.
Se all'inizio fu soprattutto relegato in ruoli di caratterista o di contorno, in La Virtù Sdraiata, Lo scatenato, La matriarca, o Brancaleone alle crociate (dove ritrovò il grande amico Vittorio Gassman), fu poi con commedie dissacranti come Meo Patacca, Languidi baci... perfide carezze o Conviene far bene l'amore, che riuscì a ricoprire il ruolo di protagonista. Convinse anche registi del calibro di Petri, Lumet, Altman o Kotcheff ad averlo per ruoli importanti in numerosi film ben più seri ed impegnati, ma la vera consacrazione, il personaggio che ancora oggi lo rende iconico, fu il celeberrimo Mandrake nel divertentissimo (ma all'epoca incompreso) Febbre da cavallo. Il suo Bruno Fioretti, assunse a simbolo dell'italiano scaltro, fanfarone ma ingegnoso, ed è ancora oggi una delle maschere cinematografiche più popolari. Tuttavia gli insuccessi commerciali di fine anni 70, lo costrinsero a poche, sporadiche partecipazioni e a dirottarsi più sul teatro e soprattutto sul piccolo schermo, dove diventò popolarissimo.
Attraverso i miei occhi, Gigi Proietti: "Io saggio? Non sono un maestro di vita"
Un artista teatrale rivoluzionario
Il teatro ha avuto infatti in Gigi Proietti un interprete in grado di prestarsi a testi di grande importanza, ad autori quali Shakespeare, Moliere, Brecht, Goldoni o Apollinaire dove offrì interpretazioni davvero uniche ed interessanti, in quel panorama culturale che in Italia, all'epoca era veramente fiorente e ricco di novità. Importantissima fu la collaborazione con Rascel per Alleluja Brava Gente fu tra le tappe fondamentali della sua carriera. Chiamato a sostituire nientemeno che Domenico Modugno, per la prima volta ebbe modo di liberare completamente la sua verve, la sua capacità, come egli stesso disse, di "coniugare il teatro lucido con la qualità artistica". Il pubblico ebbe lì il primo vero assaggio di quella dimensione del teatro popolare, di cui fu da allora portabandiera ineguagliato.
In spettacoli come il mitico A Me gli Occhi Please, nato dalla collaborazione con l'autore Roberto Lerici, Proietti stregò il pubblico con la sua capacità di reggere il palco in modo instancabile, unico, con monologhi diventati leggenda, mettendo in mostra la sua espressività e verve musicale, il suo trasformismo, che gli permetteva di creare personaggi universali e allo stesso tempo quotidiani, di facile comprensione.
Il re della televisione italiana
Ma fu la televisione a dargli la possibilità di arrivare al grande pubblico, quella televisione che (grazie alle reti private) rese Febbre da Cavallo da tonfo per la sua carriera, a trionfo di pubblico e cult di genere.
Negli anni 80 Proietti sarà l'ospite per eccellenza degli show e delle trasmissioni più popolari, entrerà nelle case degli italiani con sketch diventati leggendari, porterà anche i suoi lavori teatrali, cambiando per sempre il concetto di tempo comico televisivo, imprimendo una rivoluzione non da nulla nel contesto della conduzione televisiva e dell'improvvisazione per il pubblico italiano.
Prima di lui, fare comicità in televisione, era altro. Il varietà riuscì a dargli quel qualcosa che lo sceneggiato invece non era stato capace di regalargli in termini di libertà artistica, successo, nonostante avesse partecipato a produzioni importanti come Sabato Sera alle nove e dieci, Fatti e Fattacci o L'Amaro caso della Baronessa Carini.
Nel 1983, come conduttore e non più ospite, legò il suo nome a Fantastico 4, dove il suo charme, la sua simpatia e incredibile verve lo fecero diventare simbolo culturale di ciò che del buon gusto e della cultura sopravviveva nell'Italia "da bere" di quegli anni 80.
Io a Modo Mio, Di che Vizio Sei?, Club '92 sono ancora oggi pilastri della televisione italiana, in cui Proietti si dimostrò capace di portare nelle case degli italiani storie, personaggi ed eventi di enorme impatto.
Gigi Proietti, santo in Rai con Preferisco il Paradiso
Un Maresciallo per compagno di avventure
Il mondo della serialità televisiva italiana, a Gigi Proietti deve tantissimo. In quei primi, fantastici anni 90 del tubo catodico italiano, Il Maresciallo Rocca diventò un fenomeno con pochi pari nella storia del nostro paese. Partita in sordina su Rai 2, quasi come un prodotto minore, la serie colse un successo incredibile grazie alla grande performance di Proietti, che ci regalò un Maresciallo autoironico, ligio al dovere ma imperfetto in modo squisito, calato però in iter narrativi sovente drammatici e dove la morte era comunque presente. Ad oggi, la televisione a questo carabiniere deve davvero tanto, anzi si può dire che senza Rocca, non avremmo avuto il rinnovamento di quel genere poliziesco, che anche grazie a Proietti si dimostrò capace di sfumature inedite, di abbracciare di episodio in episodio, personaggi, atmosfere, molto diverse tra di loro, senza per forza limitarsi a scopiazzare le mode di Oltreoceano. Il teatro però rimase il suo grande amore, il suo più grande impegno, quasi una missione, che già nel 1978 lo aveva portato a ricoprire il ruolo di Direttore Artistico del Brancaccio, facendo debuttare un'intera generazione di futuri protagonisti del cinema e della televisione italiana.
La voce della settima arte
Si dedicò alla regia e alla produzione, ma un altro piccolo regno in cui Proietti ha colto successi incredibili è stato anche quello del doppiaggio. Sua fu la voce del mitico Gatto Silvestro, ma anche di divi immortali come Stallone nel famosissimo primo episodio diRocky, per il grande pubblico fu anche Marlon Brando, Dustin Hoffman o Charlton Heston. Per chi tra i millennian era bambino, sarà però sempre e solamente colui che fu il Genio di Aladdin o il fiero Draco di Dragonheart. In tempi recenti, prestò la sua maestosa voce al Gandalf della trilogia de Lo Hobbit di Peter Jackson. Il questo nuovo millennio Gigi Proietti è sempre stato infaticabile, capace di essere un punto di riferimento per il pubblico e la cultura italiani, a dispetto di cambiamenti tecnologici o generazionali dell'età, così come delle difficoltà del settore nel nostro paese. Fondò il Globe Theater nel 2003, si dedicò ancora sempre con successo alla conduzione televisiva, al varietà, alla fiction, al cinema con numerose partecipazioni in tante commedie. La sua ultima performance sul grande schermo fu curiosamente un uomo di "teatro", il Mangiafuoco nel Pinocchio di Matteo Garrone, lui che ogni volta che poteva, voleva esserci su un palco, magari con i suoi intramontabili "Cavalli di Battaglia".
Gigi Proietti è Mangiafoco: "Pinocchio piace sempre perché racconta la vita"
In tutti questi anni, Proietti non è stato solo il "veicolo" di una cultura alta diretta verso il grande pubblico, simbolo del teatro popolare o della televisione come intrattenimento intelligente, non è stato solo un artista universale in senso assoluto, ma anche un modello di stile, umiltà e comportamento, un uomo capace sempre di scommettere e mettersi alla prova. Il mattatore che tutti avremmo voluto come vicino di casa, l'antidivo che ci mancherà tantissimo.