Freaks, il capolavoro di Tod Browining del 1932, è molto più di un film. È un modo di essere, un modo di pensare. Un modo di guardare alla diversità con empatia che oggi è una tendenza evidente, ma che, se pensiamo agli anni Trenta del secolo scorso, è qualcosa di davvero rivoluzionario. È un film che ha aperto la strada a tanti cineasti che sarebbero arrivati svariati decenni dopo, che in qualche modo ha instillato, poco alla volta, un nuovo modo di pensare e di intendere quella che fino a oggi abbiamo chiamato diversità, e che solo ora abbiamo capito sia meglio chiamare unicità. Freaks usciva il 20 febbraio del 1932. Negli anni Trenta, Tod Browing, che era un saltimbanco e veniva proprio da quel mondo, decise di raccontare la storia di un circo e della svariata umanità che lo componeva. Erano quelli che si era soliti chiamare i "fenomeni da baraccone". La sua idea, geniale e dirompente per quegli anni, era quella di far interpretare dei personaggi a dei veri freaks, delle persone con delle deformità fisiche. Ma come ebbe inizio la storia di Freaks? Irving Thaller, il numero uno della Metro Goldwin Mayer, la MGM, era stato colpito dal successo degli horror della Universal e decise di produrre un horror che fosse "più orribile di tutti gli altri". La sceneggiatura fu commissionata a Willis Golbeck ed Elliot Clawson. A dirigere il film sarebbe stato Tod Browning, il regista di Dracula. Ma il film non sarebbe stato affatto l'horror che sperava.
Sarebbe stato, come sappiamo, qualcosa di molto diverso, e così fu rinnegato dalla stessa produzione. All'uscita fu anche censurato, e in alcuni paesi non si riuscì a vederlo per anni. Tutto questo contribuì a creare attorno a Freaks l'aura di "film maledetto": Freaks, in realtà, era qualcosa di mai visto prima. Non è un film scandalo, non è un film di denuncia, non è qualcosa che vuole mostrare in maniera impietosa la condizione di queste persone. È piuttosto un'allegoria amara sulla diversità, e vuole suggerire che sia proprio la normalità a celare spesso la vera mostruosità, quella dell'animo. La bella trapezista del circo che, per denaro, sposa un nano e progetta di avvelenarlo è il vero mostro, è avida e senza scrupoli. È un ribaltamento del punto di vista, qualcosa che avremmo poi visto, a distanza di anni, in tanti grandi autori, in grado di raccontarci il "mostro" in modo completamente diverso rispetto a come si faceva un tempo. Parliamo di Tim Burton, Guillermo Del Toro, Gabriele Mainetti, ma anche di saghe come gli X-Men. Mentre un grande come Bernardo Bertolucci ha fatto il suo omaggio a Freaks, mettendolo tra i grandi film della Storia del cinema. Freaks è considerato un ibrido tra melodramma, giallo e horror. E ha una forza particolare, quel sentimento di sincera pietas per il mondo dei diversi. Sono rimasti nella storia il coro del banchetto nuziale "noi la accettiamo una di noi" con cui accettano, ancora ignari, la bella trapezista. E soprattutto l'agghiacciante finale in cui l'avida artista, scoperta e ritenuta colpevole, diventa l'ultima e la più terribile dei freaks che disprezzava.
Tim Burton, i freaks trovano il loro posto nel mondo
Tra gli artisti che hanno raccolto l'eredità di Freaks e di Tod Browning c'è prima di tutto Tim Burton, che sui "freaks", intesi non proprio come esseri mostruosi, ma come anime disadattate, fuori tempo e fuori luogo, ha fondato tutta la sua poetica. Tim Burton è sempre stato un cantore del diverso. "Mi piacciono le persone che hanno un aspetto strano, non so perché" ha dichiarato. Forse perché si è sempre sentito uno di loro, e ha portato tutto questo nei suoi film. Quando, negli anni Ottanta, lavorava ai film d'animazione della Disney, se ne andò perché il suo lavoro non era in linea con le direttive, perché i suoi personaggi erano troppo poco rassicuranti. Burton ha fatto della sua diversità una bandiera, e dell'empatia con il diverso la sua poetica, facendoci sentire vicini al "mostro" come mai era successo al cinema da Freaks di Tod Browning. Lo sguardo sconsolato di Johnny Depp in Edward mani di forbice, quando dice "non mi ha finito", mostrando le cesoie che ha al posto delle mani, soffrendo per la sua imperfezione, potrebbe essere il suo. Essere dalla parte dei diversi vuol dire essere dalla parte degli ultimi: come il peggior regista di tutti i tempi, Ed Wood. Anche quando si è confrontato con i blockbuster Burton è riuscito a imprimere la sua impronta: i veri protagonisti di Batman - il ritorno erano i nemici, il deforme Pinguino, abbandonato dai genitori per il suo aspetto, e la schizofrenica Catwoman. Burton è riuscito a farcire con un ripieno agrodolce anche La fabbrica di cioccolato, per cui ha capovolto il punto di vista: non gli interessa il bambino che visita la fabbrica, ma il cioccolatiere Willy Wonka, a suo tempo bambino infelice a causa di un padre dentista che gli vietava i dolci, e cresciuto disadattato e diffidente. Ma tutto è ancora più chiaro se pensiamo a Big fish - Le storie di una vita incredibile, galleria di freak circensi che sembrano inventati e invece esistono davvero e, come in ogni storia di Burton, trovano il proprio posto nel mondo.
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Guillermo Del Toro, il mostro si fa amare
Quando si parla di "mostruoso" si pensa subito anche a Guillermo del Toro, che non a caso ha appena ambientato la prima parte del suo ultimo film, La Fiera delle Illusioni - Nightmare Alley, in un circo, tra fenomeni di tutti i tipi. Se l'idea di freak di Tim Burton è quella del disadattato, del diverso, quella di Del Toro è proprio quella di mostro in senso più stretto. Guillermo Del Toro da bambino aveva paura dell'Inferno a causa delle storie che gli raccontava la nonna, che era una fervente cattolica. Già allora il piccolo Guillermo collezionava mostri. Non ne aveva paura, probabilmente. Una volta diventato grande, ha cominciato a fare il make up designer perché nessuno realizzava quello che aveva in mente. Il film che più di tutti ci fa venire in mente la lezione di Freaks è La forma dell'acqua - The Shape of Water, una storia in cu una creatura anfibia, simile a quella de Il mostro della laguna nera, viene portata di nascosto in un laboratorio governativo. In quel laboratorio fa le pulizie Elisa, che è muta, ma con gli occhi e con il cuore si fa capire benissimo. Tra lei e il "mostro" si crea un legame molto particolare. Un po' come accade ne La bella e la bestia. Il "mostro" di Del Toro è qualcosa di molto particolare. Nei film i mostri sono stati mostrati in molti modi, ma mai in maniera così audace: Del Toro lo fa ballare, gli fa fare l'amore. Il tocco di Del Toro, l'empatia con le sue creature sta tutta nel riuscire a fare tutto questo senza sfiorare mai il ridicolo. Il maestro messicano prova addirittura a rendere sexy il suo mostro: addominali e pettorali scolpiti, spalle larghe, e una certa dolcezza nel volto.
Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone, al di là della lezione di Freaks
L'influenza di un film come Freaks sul cinema di Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone, lo sceneggiatore dei suoi film, è evidente sin dal titolo del loro ultimo film, Freaks Out. L'ambientazione e i personaggi riprendono in qualche modo il mondo di Tod Browning, anche se sono disegnati in tutt'altro modo, e sono pensati come dei supereroi. Anche qui siamo in un circo, dove si esibiscono quattro persone molto particolari. Matilde emana elettricità e accende le lampadine, Cencio riesce ad ammaestrare tutti gli insetti, Fulvio è una sorta di uomo lupo dalla forza sovraumana e Mario attira il ferro come un magnete. Dentro quel circo si sentono al sicuro, sono le star, fanno il loro show. Fuori si sentono solo dei mostri. I quattro "freaks" hanno un problema con la loro identità, con il loro aspetto fisico e con un dono che sentono come una maledizione. In tutte le opere scritte da Nicola Guaglianone (vedi anche Indivisibili) c'è questo approccio alla diversità, qualcosa che va ulteriormente al di là del ribaltamento dei ruoli: perché non c'è niente da ribaltare, il diverso è come noi, perché diversi siamo noi, diversi siamo tutti. "Se ti ripetono per tutta la vita che tu sei un diverso, che sei un mostro, anche se non lo sei finisci per crederci" ha raccontato Guaglianone. "Fulvio dice "noi senza circo siamo solo una banda di mostri", come se la loro identità fosse soltanto in pista. Questo li porta a mettere in dubbio le loro identità, le loro capacità. Loro riusciranno a trovare quella forza dentro loro stessi, a capire il valore e il potere che hanno, solo nel momento in cui anche loro uccideranno quel pregiudizio di credere che senza il padre, senza il circo, siano solo dei mostri". In Freaks Out c'è un ulteriore discorso sulla diversità, quando vengono disegnati i partigiani i Diavoli Storpi, dei disabili che hanno deciso di vendere cara la pelle. "L'ho fatto perché c'è sempre un modo con cui vengono trattati i disabili, una sorta di rispetto, di reverenza, che ha sempre a che fare con il non conoscere, ed è una discriminazione al contrario, è la pacca sulla spalla" ha spiegato Guaglianone. "Per me non esiste altro modo di raccontarli: puoi essere un violento, un esistenzialista, puoi essere chiunque, ma non sei uno sulla sedia a rotelle, sei una persona con il suo carattere, con pregi e difetti. La sedia a rotelle non è la prima cosa che vedo. Vedo le persone". Nel cinema di Guaglianone e Mainetti, allora, la lezione di Freaks non solo è raccolta, ma è anche superata.
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Bernardo Bertolucci, l'omaggio in The Dreamers
C'è Freaks anche in un film di un grandissimo artista di casa nostra, uno dei più grandi. Ma in questo caso il discorso è diverso. Bernardo Bertolucci, in The dreamers - I sognatori racconta la storia di tre ragazzi affamati di vita, di amore e di cinema, che, a ogni loro passo, fanno riferimento ai grandi film che hanno caratterizzato il cinema fino a quel momento (siamo nel 1968). E c'è anche Freaks, e la famosa frase "La accettiamo, una di noi!", che diventa "Lo accettiamo, uno di noi!" quando i due fratelli accolgono il loro nuovo amico, il personaggio di Michael Pitt, nella loro banda. Anche Bertolucci, a suo modo, ha reso omaggio a Freaks. Per la cronaca, e la Storia, Freaks era qualcosa per cui il mondo, negli anni Trenta, non era pronto. Al botteghino fu un disastro, e Tod Browning chiuse con quel film la sua carriera di regista. In qualche modo anche lui era diventato un freak, un reietto. Eppure è stato un precursore. Qualcuno che, decenni prima di tutti gli altri, ha lanciato non solo un modo di fare cinema, ma un modo di pensare.