Forte, la recensione: la ricerca di sé a passo di pole-dance

La recensione di Forte, la nuova commedia francese in arrivo su Prime Video: una quest simpatica a passo di pole-dance.

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Forte: una scena del film

"Ma essere donna è difficile." Poteva essere questa la tagline del film Forte, disponibile su Amazon Prime Video, un monito che dalla piccola realtà di una pellicola francese si può estendere alla realtà di mille e più esistenze nel mondo. Perché è vero, essere donne non è facile. In questo gioco di sguardi, attese, speranze e ambizioni, sussiste un senso di indipendenza e auto-accettazione che fa a pugni con la paura di non essere abbastanza: non abbastanza belle, non abbastanza magre, non abbastanza forti. Come cercheremo di sottolineare in questa recensione di Forte, la voglia di rinascere, di uscire dal proprio scafandro sotto forma di farfalle può ritrovarsi in un gesto, una parola, o un palo di pole-dance. Roteare su se stessi, camminare sul fuoco della sensualità con passo impacciato e imbranato è un'aspirazione a lasciare libero lo spirito tenuto a freno lungo la discesa della vita. Eppure c'è un'aura di incoerenza ad avvolgere il mondo di Nour. Il volersi sentire libera è frenato da uno sviluppo narrativo che non osa mai veramente. Tutto è lasciato sospeso come le pole-dancer durante le loro performance, e a malapena accennato come le mosse della protagonista sul palcoscenico del club.

FORTE: LA SINOSSI

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Forte: un momento del film

Nour è una ragazza semplice di vent'anni. Figlia unica, divertente, lavora come receptionist in una palestra. Al contrario di quello che può sembrare all'apparenza, Nour ha difficoltà ad accettare il proprio aspetto. I suoi più cari amici cercano di consigliarla, ma senza successo, soprattutto per quanto riguarda la vita amorosa. Ma quando un'istruttrice di pole-dance della sua palestra si offre di darle delle lezioni, decide di provare.

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LO STRUMENTO DELLA RINASCITA SOTTO FORMA DI PALO

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Forte: una scena

C'è un qualcosa di perpetuamente attuale che scorre nelle arterie del cinema francese. Uno sguardo attento sul mondo che corre, inchioda, sbanda intorno alla galassia della Settima Arte. I registi affondano a piene mani in questa contemporaneità per filtrarla con la lente del proprio stile autoriale, oppure per ritoccarla - fino a deformarla - secondo la visione imposta dal genere prescelto, commedia, dramma, o thriller che sia. Così è stato per Una classe per i ribelli (qui la nostra recensione di Una classe per i ribelli) e la delicata questione del pregiudizio razziale, per The Horde e gli scontri nel contesto delle banlieu, per La belle époque e il sentimento nostalgico di tempi andati, o, come in questo caso, il tema della rivendicazione femminile. Sospinto da una giostra di personaggi ben tratteggiati e a loro modo irresistibili, Forte si pone il compito e l'obiettivo di rendere visibile un mondo interiore che parla di universalità, perché chiunque si può ritrovare in quell'atteggiamento a prima vista forte, duro, di Nour, pronto a cedere sotto il peso di un cambiamento lasciando fuoriuscire una voglia di mostrarsi per come si è, e non per come ci vogliono gli altri. Anche per questo motivo tutto vige sul concetto di semplicità.

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Forte: una foto del film

Nessuna fotografia particolare, nessun contrasto di luci e ombre, nessun montaggio dinamico, o serrato, o scenografie costruite per distrarre il pubblico: tutto in scena è chiamato a rispondere a un concetto puro di verosimiglianza tale da eliminare le distanze tra spettatori e personaggi. Ciononostante, la liberazione vantata a parole e rinchiusa su un foglio di sceneggiatura, non sembra ritrovare spesso una propria controparte visiva; la teoria, cioè, non si incarna divenendo pratica. Una lacuna di certo non da ritrovarsi nella performance degli interpreti, bravi a dare anima e corpo a uomini e donne assolutamente ordinari, sebbene impossibilitati a concludere il proprio arco narrativo. Rimangono sospesi, incompleti; le loro sottotrame non ottengono la compiutezza che spetterebbe loro. Più approfondito è ovviamente il personaggio di Nour, figlia di un mondo che spinge le donne a essere se stesse, per poi soffocarle con sguardi indagatori, o servizi al telegiornali pronti a mettere in allarme il proprio nucleo domestico. Il palo portato per la città si fa dunque simbolo di un'accettazione sempre più dilagante e sentita. Come uno scettro in una rappresentazione mitologica, per Nour lo stingere la sbarra tra le mani, o avvinghiarsi ad essa, fa di questo oggetto uno strumento ipertrofico di una femminilità solo apparentemente perduta, o semplicemente ignorata. Eppure, il loro, rimane un affiatamento momentaneo, effimero. Lo si intuisce nel modo in cui la macchina da presa immortala la ragazza danzare attorno al palo con inquadrature lunghe, mai ristrette e per questo volte a isolarli entrambi dal mondo. Quel palo per Nour è da interpretarsi allora come la miccia che accenderà il fuoco della rivoluzione interiore, e con essa dell'accettazione della sua femminilità. Dove brilla Forte è nella sua efficacia. Le situazioni si incatenano, in un viaggio dell'eroe da compiersi tra le onde della propria femminilità che non ha bisogno di trucchi, o vestiti succinti, ma nella messa in scena della bellezza della propria anima.

UN DRIPPING DI EVENTI SOSPESI

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Forte: un'immagine del film

È un tesoro falsato quello rinchiuso nell'ideale proposto da Forte, dove non sempre migliorare il proprio aspetto esteriore combacia perfettamente con il migliorare la propria interiorità. Togliersi il rossetto sulle labbra diviene dunque il gesto sintomatico di un'identità non da migliorare attraverso l'aspetto fisico, ma lavorando sulla propria sicurezza, superando i paletti mentali impostici silenziosamente dalla società dell'immagine. Il problema è che tutto rimane accennato, sospinto da un'onda carica di ironia che non si alza mai in un climax evolutivo. A colmare tale lacuna narrativa, andando a ricercare o anche sottolineare gli indizi di un cambiamento più psicologico che fisico, ci pensa la regia di Lewkowicz, poco interessata al desiderio voyeuristico di indugiare sui corpi perfetti delle donne che circondano Nour, perché maggiormente desiderosa di concentrarsi con primissimi piani sugli occhi della protagonista, specchi di un'anima in tribolazione tra il voler osare e il rimanere piantata nella propria comfort-zone. Sta bene nel mondo che si è creata, Nour. Lo dimostrano i campi lunghi e le riprese ampie con cui la ragazza si ritrova a condividere i limiti della cornice cinematografica con amici, parenti e gli ambienti di casa e lavoro. Con la sua ironia Nour spara battute al vetriolo per attaccare ed esorcizzare i propri timori e dolorose, indicibili, verità. Portavoce di una sceneggiatura brillante e ad alto tasso di sarcasmo, il personaggio interpretato da Melha Bedia non sfrutta l'arte della pole-dance come strumento di rivalsa economica, tutt'altro.

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Forte: una sequenza del film

Lontano da quello mostrato in Le ragazze di Wall Street - Business I$ Business, il mondo sconosciuto che si apre dinnanzi a lei è solo uno specchio per le allodole, compare in scena per poi essere messo da parte al fine di concentrare il discorso su ciò che vive dietro quella danza: la sicurezza di sé, di piacersi e piacere senza per questo annullarsi. Si sentono i richiami de Il diavolo veste Prada, e la stessa regista, insieme al montatore e al restante comparto tecnico-visivo, prende tra le mani questa tematica per elaborarla nella maniera più semplice e accessibile possibile al proprio pubblico. Ciononostante qualcosa non funziona perfettamente in questo meccanismo ben congegnato, ma non sempre compiutosi in pratica. La presentazione dei personaggi, l'individuazione dei loro obiettivi sono chiarissimi e ben studiati, ma mano a mano che l'opera giunge al suo epilogo tutto è chiamato a rispondere a una rapidità di risoluzione che impedisce di toccare il cuore delle difficoltà incontrati da ogni personaggio. C'è un pennello tinto di edulcorazione e superficialità che tocca magicamente, come un ritocco su una foto in post-produzione, anime confuse, e interiorità incapaci a volte di accettare la propria realtà. Divertente e ben diretto, questo valzer di archetipi portati all'estremo a volte manca di sottigliezza. Il messaggio veicolato - rivendicare la propria versione della femminilità piuttosto che una femminilità di massa imposta dalla società - rischia di cadere a vuoto. Un dripping su tela cinematografica fatto di tanti eventi ed emozioni che nell'immediato fanno sorridere e divertire, ma una volta visti da lontano perdono di completezza, rimanendo perennemente sospesi, come corpi attorno a un palo.

Conclusioni

Concludiamo questa nostra recensione di Forte sottolineando quanto il film diretto da Katia Lewkowicz abbia tentato di strappare un sorriso trattando la tematica della rivendicazione personale e ricerca della propria femminilità con umorismo ma poca ostinazione nel concludere tutte le sottorrame ed eventi affrontati.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
1.2/5

Perché ci piace

  • La performance di Melha Bedia.
  • L'umorismo trascinante.

Cosa non va

  • La sceneggiatura altalenante.
  • La frettolosità con cui vengono conclusi gli eventi.
  • Le sottotrame tenute sospese.