Se l'abbiamo chiamata mente, un motivo ci sarà. Il cervello umano assomiglia davvero a un labirinto in cui è più facile perdersi che ritrovarsi, una complessa matassa difficile da sbrogliare. Per rassicurarci abbiamo spesso associato alla mente la dimensione razionale dell'essere umano, ma spesso è proprio nella nostra testa che nascono zone oscure. Quelle in cui ci mentiamo da soli, creiamo mostri, sviluppiamo una distorta percezione delle cose. Ce lo hanno insegnato anche due film che si assomigliano tanto, ovvero Fight Club ed Enemy. I thriller psicologici di David Fincher e Denis Villeneuve, entrambi tratti da romanzi, parlano la stessa lingua, sono fatti della stessa pasta, e affondano le loro radici nel male di vivere dell'uomo moderno.
E allora, tra saponi sporchi e ragni inquietanti, scopriamo quali sono i punti di contatto tra due film impregnati di inquietudine e sociopatia.
1. Un mondo livido
Guardare Fight Club ed Enemy è come vedere il mondo attraverso un occhio tumefatto. Perché Fincher e Villenueve hanno deciso di fotografare il lato livido della realtà. Quello che fa male, quello attraversato dal dolore e dall'insofferenza. Entrambi i film sono immersi dentro atmosfere plumbee, oscure, in cui la luce naturale è alterata da filtri che virano verso il verde e il giallo. Lo stesso colore dei lividi, appunto. A livello visivo Fight Club immerge il suo protagonista smarrito in spazi senza mezze misure. O luoghi asettici, ordinati e impersonali, oppure sporchi, rancidi, marci. Il tutto dominato da un'atmosfera malsana e malata, perfetta per restituirci la dimensione mentale incrinata del personaggio interpretato da Edward Norton.
Enemy, invece, è immerso in una dimensione onirica e sospesa. I colori sono seppiati, gli spazi vuoti, gli ambienti sgombri. Sembra che Adam si muova in uno spazio personale, intimo, tutto suo. E forse quella città sospesa e ovattata non è altro che il suo subconscio. Forse quella città si riflette nella sua mente instabile e confusa. Ecco come sia Fight Club che Enemy hanno avuto la grande capacità di tuffarci nel malessere dei loro personaggi. Un malessere che ci tocca tutti da vicino.
2. Alienazione e malessere
Una vita normale può rivelarsi una trappola. La stessa in cui cadono i protagonisti di Fight Club ed Enemy. E non è un caso che Villeneuve si sia affidato a un ragno per raccontare la ragnatela che avvolge poco per volta il suo Adam. Attraverso una visione critica delle convenzioni borghesi, i due film non fanno altro che scoperchiare il Vaso di Pandora della normalità. Un vaso dentro il quale la società occidentale ha riversato regole, vincoli e obiettivi (avere un lavoro, sposarsi, seguire le mode, mettere al mondo dei figli). Come se ognuno di noi dovesse seguire lo stesso spartito imposto da ciò che considerato socialmente accettabile. Tutte cose che Fight Club ed Enemy guardano con profonda insofferenza. Nell'opera di Fincher il protagonista è sopraffatto da una vita dominata dalla routine e dell'abitudine. La sua esistenza standardizzata inizia a generare nausea per tutto quello che lo circonda: lavoro, relazioni, senso della vita.
Il protagonista di Fight Club è talmente insoddisfatto da frequentare malati terminali per sentirsi migliore di loro; talmente fagocitato dal consumismo occidentale da rigettare la massificazione dei gusti e la globalizzazione delle aspettative di vita. Così ha inizio un effetto domino di profonda alienazione che lo porterà a perdere la bussola. Dall'altra parte, in Enemy, Adam sembra aver soffocato ogni suo desiderio di libertà nell'illusione di una vita normale: un lavoro sicuro, nessun rischio, nessuna ambizione. È davvero tutto lì? Enemy ci racconta come prima o poi la frustrazione di chi ha bisogno di altro bussi alla sua porta. Adam la apre, la accoglie, la abbraccia, e sublima le sue insoddisfazioni in una visione distorta del reale. Il che ci porta al punto di contatto più esplicito di queste due storie così cervellotiche.
Fight Club, 20 anni di sociopatia: 10 cose che (forse) non sapete sul cult di David Fincher
3. Il tema del doppio
Desideri che pulsano, istinti che insistono. E dall'altra parte una facciata di normalità che reprime a oltranza. Ma quanto potrà durare questa resistenza? Poco, stando a quello che ci hanno raccontato Enemy e Fight Club. In entrambi i film lo sconforto di due uomini profondamente soli e insofferenti li porterà verso un'alienazione vera e propria. Nel senso che entrambi partoriranno due alter ego, due versioni immaginarie di sé. Sia Fight Club che Enemy danno vita a due versioni alternative dei protagonisti, due entità che sublimano e superano tutte le frustrazioni di chi li ha generati. In Fight Club, Tyler Durden è tutto ciò che il protagonista vorrebbe essere e non riesce a essere: forte, sicuro di sé, carismatico. Un leader da seguire e non una pecora del gregge come lui. In Enemy, invece, la questione è ancora più complicata. Adam scopre di avere gemello di nome Anthony. E col passare del tempo è facile accorgersi che l'uno è l'esatto opposto dell'altro. Se Adam ha un lavoro grigio, Anthony fa l'attore.
Adam vive da solo, Anthony ha una moglie incinta. Adam è bloccato e insicuro, mentre Anthony è libero, talmente libero da seguire ogni sua pulsione e desiderio. Curiosamente anche in Enemy appare un club, dove un gruppo di uomini assiste a strani rituali a sfondo sessuale. Ennesima conferma di quanto questi due film si assomiglino. Perché sia Enemy che Fight Club sono giochi di proiezioni, dove il dualismo dà libero sfogo alle castrazioni dell'uomo contemporaneo, rimasto imbrigliato in una società castrante. Due film che ci hanno ricordato che l'ossessiva ricerca della normalità può generare mostri, che le aspettative altrui sono trappole e che non esiste nemico più pericoloso di noi stessi.