Secondo la struttura canonica del coming of age, anche se si racconta la propria generazione si deve avere l'ambizione di parlare pure a chi non ne fa parte, nonostante il punto di vista sia, ovviamente, parziale. Quando si portano in scena queste storie si è giustamente "collusi" con ciò che si racconta, perché, per quanto possa essere oggettivo, il narratore di turno non può distaccarsi dalla propria generazione. In queste storie la cosa più importante è affermare la propria visione, persino a scapito della correttezza della forma. Non si può piacere a tutti, ma in ogni caso con tutti si deve cercare il confronto. Questi sono alcune regole basilari del racconto generazionale. Pietro Castellitto parte da qui in Enea, ma poi fa l'opposto.
Lui, "figlio nato ricco di un padre nato povero" (come dice Sergio Castellitto nel film), vuole rompere la formula. Non cerca nessun equilibrio e non vuole neanche proporre un dialogo. Lui, che ha avuto l'arroganza di affermare di capire i "primi giovani stronzi della Storia", è un cantore generazionale che vuole raccontare la guerra, dal suo punto di vista. Condizione cardine dei propri coetanei. Una guerra con loro stessi e una guerra con il resto del mondo. Per farlo decide di trasformare il confronto in scontro e ribaltare la struttura canonica del racconto di formazione, destrutturando personaggi e meccanismi narrativi.
La sovversione delle regole del gioco che Pietro Castellitto applica ad Enea si sposa infatti con l'idea del regista, che ritiene i trentenni impossibili da raccontare con formule classiche. Quelli di Roma Nord sono già falliti e il loro grande fallimento è sta nella totale incapacità di distaccarsi da un percorso clanistico che i loro genitori hanno portato avanti, imponendolo loro con la gentilezza e il calore di una cena di Natale. Un percorso in cui non si rispecchiano, ma a cui non sanno opporsi. Potremmo quasi dire che Enea sia il contrario di un racconto generazionale perché racconta il fallimento di una generazione intera.
Il mondo sconnesso dei trentenni
Sia in Enea che ne I predatori, Pietro Castellitto ci propone un mondo sconnesso, figlio di quello che la generazione passata si è divertiva a dividere. Borghesi democratici e fascisti, figli divisi in destra e sinistra, uomini che vogliono emanciparsi e uomini che non vogliono (distinzione spiegata in modo elegante dal personaggio di Giorgio Montanini). Divisioni da destrutturare per raccontare la generazione dei trentenni di oggi, abitanti di un mondo sconnesso, anche a livello visivo.
La forma del racconto del contemporaneo è, infatti, sfilacciata. Lo è a livello di cantautorato (non è un caso che il coprotagonista del film sia Giorgio Quarzo Guarascio, ovvero il Tutti fenomeni, che molto ha influenzato contenuto e forma del film con i suoi album), a livello di narrazione e a livello di immagini. Castellitto emula questo tipo di dialettica, cercando estetiche nuove; brutte perché parlano di bruttura, di accozzaglia e di bulimia immaginifica, ma anche di superfici e interfacce. Le immagini cinematografiche del regista sono quasi rivoltati, i tempi sono fuori fuoco (come quelli in cui siamo immersi oggi, d'altronde) e il montaggio è spesso aritmico. Linguaggio contemporaneo di una generazione fallita, mentre le canzoni che passano nel film sono Spiagge di Renato Zero e Maledetta Primavera di Loretta Goggi.
Questo lavoro di contrasti passa anche nel momento in cui il regista affronta il gangster movie, uno dei generi che più hanno raccontato la generazione millenials, raccogliendo l'eredità, in termini di archetipi, dal suo parente degli anni '70, che invece ha raccontato i boomer. Castellitto lega questo genere al dramma borghese (non una cosa particolarmente nuova) e lo svuota completamente, giocando sulla sottrazione, disattendendo ogni aspettativa e esasperando il concetto al punto da alienarsi lo spettatore. Torna ancora la guerra: il pensiero del regista è di raccontare qualcosa attaccandolo in continuazione.
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Come si racconta il fallimento?
C'è però una divisione che Pietro Castellitto rispetta e conserva gelosamente. Anzi, più che una divisione, una differenza, che è ciò che caratterizza una generazione rispetto all'altra. Il potere e la potenza tanto citati da Nietzsche. Nietzsche, lo stesso che Federico Pavone inseguiva ne I predatori e lo stesso che l'autore romano ha studiato durante i suoi anni di filosofia.
Ai "vecchi" appartiene il potere, che è reazionario e conservatore, che guarda verso il basso. Quasi parassitario tende a schiacciare chi ne è in possesso. La potenza (o, meglio, la volontà di potenza) appartiene invece ai trentenni. Essa è il senso dell'essere, una forza espansiva, la prova che la molla della vita che non sono i piaceri terreni. Non il clan, non i soldi o la droga, ma l'autoaffermazione e l'autopotenziamento. Essa, come dice Enea, "richiede integrità e generosità" e per questo costituisce l'elemento che fa dei suoi coetanei degli eroi romantici, ma non per questo vincenti o, ancor meno, martiri. Essi non sono delle vittime di un mondo costruito dai genitori cattivi, ma sono protagonisti di un mondo in guerra da cui non sono in grado di salvarsi. Lo dice, a suo modo, anche la Eva di Benedetta Porcaroli al suo amato, prima a parole e poi nello sguardo di un finale che non c'entra niente con la felicità e il senso di compiutezza che il suo personaggio dovrebbe vivere.
Nell'apice del loro fallimento il mondo cade sulla testa dei trentenni e ciò succede per colpa loro. Sono loro che hanno perseguito la volontà dei loro genitori senza trovare un'altra strada. Magari, una strada che potrebbe invece magari trovare chi è più piccolo di loro, come il fratello minore di Enea, Brenno (interpretato da Cesare Castellitto). Castellitto lega a doppio filo l'apice del fallimento del racconto generazionale al suo personaggio e quindi al film, togliendogli, infine, qualsiasi tipo di forza. A cosa può servire un Enea in grado di portare sulle spalle suo padre Anchise, in un mondo in cui quest'ultimo è in grado di volare? Forse il troiano di Omero qualcosa si sarebbe inventato, dopo tutto lui è riuscito a scappare da un mondo in fiamme per fondarne un altro. Quello che dà il titolo ad Enea, invece, è solo un millennial. Fallito.