Guardate attentamente quell'abito che Austin Butler indossa nella scena della prima esibizione significativa di Elvis Presley in Elvis, il monumentale film di Baz Luhrmann finalmente al cinema dal 22 giugno. È un abito di un rosa acceso, bordato di nero in alcuni punti. È un abito vistoso, come molti dei costumi che abbiamo visto sul corpo di Elvis Aaron Presley dall'inizio alla fine della sua carriera. Abiti che hanno contribuito a creare l'icona Elvis nelle varie fasi della sua carriera. Ma fate attenzione: in un'altra scena del film, vediamo Elvis Presley andare nel negozio in cui comprava gli abiti. Era un negozio dove andavano i neri, dove, non a caso, incontra B.B. King. Poco prima, avevamo assistito alla scena di un ragazzo che fa sentire agli altri un 45 giri, un disco di Elvis. E avevamo visto restare di stucco gli ascoltatori. No, quella musica non era fatta da un nero, ma da un bianco. Elvis Presley è stato questo: ha abbattuto le barriere, ha unito bianchi e neri, e questa cosa, nell'America degli anni Cinquanta, in certi stati di quell'America, non piaceva. La storia di Elvis è anche una storia di colori. Colori esteriori e colori interiori. Ed è anche in questo senso che va letto il film di Baz Luhrmann.
Elvis, musica nera che diventava bianca
I colori con cui inizia il film sono quelli seppiati, anticati, a cui siamo soliti abbinare un'America old style, quella degli anni Quaranta e Cinquanta, delle storie di blues. È dentro i tendoni in cui si suona il blues, quella musica dolente che, all'improvviso, era diventata elettrica, carica di fremiti, che Elvis comincia a sentire la sua musica. È dentro altri tendoni che ascolta il gospel, la musica sacra, e ne viene conquistato. Elvis, lo scopriamo durante il film, era cresciuto in un quartiere di neri, un quartiere povero, perché la famiglia non si poteva permettere un altro alloggio. Era quello il suo mondo, era quella la sua musica, e ci viveva benissimo. Non è un caso che, in un momento chiave del film, quello in cui, si sta cercando di limitare quei colori così sgargianti del suo look e della sua anima, prende la macchina - la sua famosa Cadillac rosa, non a caso - e va nel centro di Memphis, in un locale dove si ascolta la musica nera, dove ci sono B.B. King e Little Richard. La musica nera, la cultura afroamericana, era stata la sua formazione: Willie Mae "Big Mama" Thornton che cantava Hound Dog, che sarebbe diventato uno dei suoi più grandi successi. O Arthur "Big Boy" Crudup, che cantava That's All Right, Mama, che divenne il suo primo successo. In Elvis li vediamo, li ascoltiamo, perché sia chiaro che Elvis era questo, musica nera che diventava bianca, culture che si fondevano.
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Dal rosa al bianco e nero dello smoking
Perché era scappato in quella via a Memphis, quella sera? È ancora una volta questione di colori. Una volta apparso in tv, anche se la tivù era in bianco e nero, i colori di Elvis esplodevano e uscivano dallo schermo. Esplodevano con i suoi movimenti, con la sua danza. Erano movimenti da "nero" secondo alcuni sedicenti politici. Così il colonnello Parker, interpretato da Tom Hanks, decide di togliere quei colori, di togliere ogni peculiarità. Si inventa "the New Elvis", il "nuovo Elvis", gli fa indossare uno smoking, lo fa rimanere fermo. Lo smoking, ovverosia bianco e nero, non nel senso di due culture che si fondono, stavolta, ma intesi come "non colori", come la negazione di quel vestito rosa sgargiante e sfacciato che indossava agli esordi. Come la negazione delle sue radici, della sua anima. È il momento in cui, a un concerto in uno stadio vediamo due file per entrare, una per i bianchi e una per i neri. Elvis si ribellerà una prima volta, rischierà l'arresto. E ad aspettarlo ecco un altro colore che non gli appartiene, il verde scuro della divisa, quel servizio militare che è espiazione dei suoi peccati.
Marin Luther King e Bobby Kennedy nella storia di Elvis
Elvis di Baz Luhrmann è anche questo. Sono i colori di un'America che stava letteralmente esplodendo. In ogni senso. C'era nell'aria un sentimento di liberazione, di rivoluzione sessuale e sociale. Ma stava esplodendo anche perché erano arrivate al limite le tensioni politiche e razziali. Martin Luther King aveva portato il movimento per i diritti degli afroamericani a un punto in cui era impossibile ignorarlo. La sua morte, e quella di Bobby Kennedy, entrano prepotentemente nella storia di Elvis. Ed entrano in If I Can Dream, la prima canzone a sfondo sociale di Elvis, ispirata al discorso di Martin Luther King. È la canzone che chiuderà il famoso Comeback Special, del 1968, in tv. Il film, per questioni di climax e narrazione, fa avvenire l'assassinio di Kennedy proprio durante le riprese, mentre era avvenuto mesi prima. Ma è una licenzia poetica scelta proprio per far capire come la storia di Elvis sia anche questa, la storia dell'America. "È una tragedia, però non ha niente a che vedere con noi". "Ha tutto a che vedere con noi". È immaginario anche il dialogo tra il colonnello Parker di Tom Hanks ed Elvis, ma è probabile che sia andata così. "Un reverendo mi disse 'quando hai cose troppo pericolose da dire, canta'". Ed è questo che fa Elvis. If I Can Dream, e In The Ghetto sono canzoni che sgorgano da questa sensibilità.
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Il bianco e nero della tv diventa un colore carico
Elvis è questo, è un continuo scontro e incontro di colori. A volte contrastano, a volte si fondono. Ed è proprio sul colore, a livello di immagine, che Baz Luhrmann fa un lavoro interessante. Nella prima parte del film prende le immagini del primo Elvis, che erano quelle in bianco e nero dei programmi tv, come l'Ed Sullivan Show, con cui è arrivato in tutto il mondo, e le ricrea nella sua finzione, dipingendole con i colori più carichi possibile, per dare il senso di quello che era Elvis in quel momento storico, per far capire come avesse preso i colori del mondo dei neri per portarli a tutti, per raccontare la rivoluzione che stava vivendo l'America. E in qualche modo prende la bidimensionalità della tv, e le piccole dimensioni di quegli schermi che avevano portato Elvis al pubblico di tutto il mondo, e dona loro profondità, rotondità, tridimensionalità. Elvis era troppo grande per restare nel quadrato della tivù, aveva colori troppo forti per restare raffigurato in bianco e nero, Allo stesso modo, Luhrmann prende le immagini statiche dei giornali, quotidiani e riviste, che erano con la tivù i media principali dell'epoca, e fa prendere loro vita, le fa muovere. Fa letteralmente uscire Elvis da quelle pagine per farlo entrare nelle vite di tutti. Perché era questo che, allora, era Elvis, nella cultura dell'America e di tutto il mondo. Ed è quello che è ancora oggi.