Recensione Svalvolati on the road (2007)

Svalvolati on the road si posiziona in un generico limbo del comico che riunisce sguardo nostalgico al passato, gag slapstick e un sottofondo omofobico, fil rouge che unisce molte delle pellicole che spopolano attualmente negli USA.

Easy Rider non abita più qui

State raggiungendo la cinquantina e gli acciacchi dell'età cominciano a farsi sentire? E' vostra moglie quella che porta i pantaloni a casa mentre voi ve ne state lì vessato da suocera, figli e cane? Alla vostra età non avete ancora trovato la donna della vita oppure uscite da un disastroso divorzio? Sognate di prendervi una pausa da tutto e da tutti? Allora questo è il film che fa per voi. Forza, in sella alla moto e via verso nuove ed emozionanti avventure lungo le strade polverose del southwest seguendo le orme dei Wild Hogs, quattro sgangherati e improbabili motociclisti della domenica.

L'analisi degli incassi del box office di questi ultimi mesi conferma il postulato per cui in tempi di flessione economica a far la parte del leone sono le commedie e i film dell'orrore. Se per eventuali sommovimenti tellurici nel settore horror dobbiamo attendere le imminenti uscite dell'attesissimo Grindhouse e di Hostel: Part II, sono molte le commedie, più o meno riuscite, che da Natale ad oggi hanno dominato le vette del botteghino italiano (Manuale d'amore 2) e soprattutto di quello americano (Una notte al museo, Blades of glory). Ennesimo campione d'incasso negli USA, questo Svalvolati on the road si distanzia dal genere parodistico-demenziale alla Ben Stiller/Will Ferrell per posizionarsi in un generico limbo del comico che riunisce sguardo nostalgico al passato, gags fisiche tipiche dello slapstick e un sottofondo omosessual-omofobico, fil rouge che unisce molte delle pellicole che spopolano negli USA, non ultimo, appunto, lo scintillante Blades of glory.

Questo novello Scappo dalla città - la vita, l'amore e le vacche che al mito del selvaggio west sostituisce quello di Easy Rider, contiene un mix di ingredienti singolarmente interessanti: quattro attori di grande fama circondati da comprimari di lusso (Marisa Tomei, Ray Liotta), i topoi della voglia di libertà e della fuga dalla metropoli, il desiderio di riscatto sui prepotenti e sul grigiore quotidiano, Harley Davidson scintillanti e giubbetti di pelle, il tutto condito da ottima musica d'annata (dai Bon Jovi ai Beach Boys). Cosa manca in tutto ciò? Sicuramente uno script solido e una regia personale. I caratteri stereotipati e lo svolgimento prevedibile che più non si può non aiutano certo la pellicola a lasciare il segno, le gag sono poche, slegate tra di loro e spesso più patetiche che divertenti, tra i protagonisti solo William H. Macy lascia realmente il segno mentre Tim Allen e Martin Lawrence svolgono il loro compitino appena sufficiente e uno sbiadito John Travolta ci fa rimpiangere il suo alter ego tarantiniano. Il tutto manca della brillantezza e della vivacità necessaria a mantenere alto il ritmo del film e neppure il cameo di lusso di Peter Fonda, in veste di _deus ex machin_a, contribuisce a risollevare le sorti di questa pellicola che va alla deriva per le strade americane per poi essere dimenticata immediatamente.

Movieplayer.it

2.0/5