Dune: pregi e difetti di un adattamento a metà strada tra blockbuster e cinema d’autore

Dune, il film di Denis Villeneuve, si propone come un primo capitolo di una saga cinematografica a metà strada tra blockbuster e cinema d'autore. Ecco una riflessione sui pregi e i difetti di questa scelta.

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Dune: Zendaya in un primo piano

Un film a lungo atteso è finalmente arrivato nelle sale italiane, a quasi un mese di anticipo rispetto all'uscita americana. Un evento più unico che raro per il Dune di Denis Villeneuve, nuovo adattamento cinematografico del celebre romanzo di Frank Herbert, già portato sul grande schermo da David Lynch in un film sfortunato e non completamente riuscito. Sarà riuscito il regista canadese, capace di un mezzo miracolo nel dare un degno sequel a quella pietra miliare che risponde al nome di Blade Runner, ad adattare con successo una storia complicata come quella di Paul Atreides? Va detto che l'obiettivo, in questo caso, è davvero complicato, vuoi per la materia da trattare, vuoi per la scelta di non rinunciare a una visione autoriale cercando, allo stesso tempo, di galvanizzare il grande pubblico. Ecco quindi una riflessione sui pregi e i difetti di Dune, approfondendo ciò che sembra funzionare al meglio e le criticità dell'intera operazione. Attenzione: i paragrafi seguenti contengono spoiler.

Il sapore della spezia

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Dune: Zendaya e Timothee Chalamet in una scena

"L'inizio di un viaggio straordinario". Così recita il poster italiano del film e va detto che, durante le prime sequenze del film, la sensazione è proprio quella di essere catapultati in un universo nuovo, denso, ricco. Anche magico. Il personaggio di Chani, interpretato da Zendaya, inizia a raccontare la storia del pianeta Arrakis, mostrando allo spettatore un immaginario sicuramente affascinante. Si percepisce subito la portata epica del racconto, sottolineata più volte dalla maestosità delle musiche di Hans Zimmer e dalla spettacolare messa in scena. Il regista canadese dimostra ancora una volta di essere in grado di gestire, per tutte le due ore e mezza di durata, un immaginario fantascientifico vasto: basti notare la cura per i costumi, capaci di raccontare casate e caratteri dei personaggi; le scenografie che descrivono nel migliore dei modi il mondo in cui si svolge la storia; la quantità di oggetti e il loro design. Soprattutto, in Dune è presente un ottimo lavoro sull'atmosfera generale. Sono tutti elementi che rendono il film di Villeneuve qualcosa che ha il sapore di nuovo, nonostante il romanzo sia stato, in qualche modo, fonte d'ispirazione per altre saghe cinematografiche famosissime (Star Wars in primis). Dune è una Spezia cinematografica di cui sentivamo il bisogno, qualcosa dal sapore così diverso e a suo modo unico che si distacca dal resto del panorama dei blockbuster a cui, negli ultimi anni, ci siamo abituati. Poco umorismo, un ritmo disteso, una palette cromatica più cupa e oscura, un senso di gigantismo nella messa in scena, un senso di racconto epico di importante caratura filosofica. Ma nell'universo di Dune la Spezia è anche una droga, e come tale nasconde alcuni malefici.

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Raccontare un universo, adattare un romanzo

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Dune: Charlotte Rampling in un primo piano

Dune è un romanzo complicato da adattare per la forma di un lungometraggio. Tanti personaggi, molti rapporti, diversi pianeti, una mitologia complessa da raccontare, spiritualità e tecnologia sono solo alcuni degli elementi che fanno capolino nelle prime pagine del romanzo di Herbert, che si aiuta attraverso monologhi interiori che approfondiscono la psicologia e il carattere dei personaggi. Parte come un diesel, il primo libro, lasciando che sia il lettore a entrare poco per volta nell'universo complesso inventato dallo scrittore, così complesso da lasciare appendici e glossario nelle ultime pagine. Al di là dei conflitti in sede di produzione, vogliamo ricordare quando nel 1984 David Lynch provò a comprimere l'intera storia in un film di due ore circa costringendo lo spettatore ad assistere a lunghi monologhi sussurrati, a una sequenza di spiegazioni e definizioni che, a lungo andare, stancavano eccessivamente la visione. Villeneuve, forte della divisione in più parti della storia, decide di rimanere fedele al romanzo e adattare in queste prime due ore e mezza più o meno la metà del libro. Il risultato, però, è un film che ha il sapore di una lunghissima introduzione alle vere vicende della storia, un prologo che, se affascina per la bellezza delle suggestive immagini, rischia di non catturare a dovere lo spettatore e finire sul più bello. Si potrebbe dire che non si tratta di un problema di Denis Villeneuve: il regista non ha che seguito fedelmente la storia di Frank Herbert. A parere di chi scrive, però, risulta troppo semplice accettare passivamente questa scelta, dimenticandosi che scopo dell'adattamento è proprio quello di trasporre il contenuto di un medium nel linguaggio di un altro, facendo sì che possa funzionare sulle proprie gambe entro i confini stabiliti. Forse, come nelle traduzioni linguistiche (e adattare dalla parola scritta all'immagine è quasi la stessa cosa), essere il più fedele possibile equivale anche a un po' tradire.

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Il grosso sotto la sabbia

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Dune: Sharon Duncan-Brewster in una scena del film

La versione originale del film lo presenta in maniera chiara e netta: Dune - Part One (titolo scomparso nell'edizione italiana che si trova in sala, dando vita a un errore di comunicazione secondo noi importante). Infatti, come abbiamo già fatto notare, il film assomiglia a una lunga introduzione del mondo e dell'universo in cui è ambientata la storia prima di interrompersi in quella che finalmente, nel canonico viaggio dell'eroe vogleriano, corrisponde alla fine del primo atto. Attenzione, però: il problema non sta nella presenza di un finale aperto (presente in molte opere, ormai sdoganato verso il pubblico che sa come interpretarlo), quanto in una mancanza di un vero e proprio arco narrativo importante che riesca, in qualche modo, a sorreggere l'indipendenza del film. Una volta arrivati ai titoli di coda di Dune si ha la sensazione che, al di là delle immagini incredibili e dell'esperienza in sala, manchi davvero una storia coinvolgente dove gli eventi accadono per cause e conseguenze (e non perché sono cose che devono accadere), un trasporto emotivo, un legame con i personaggi che crei l'hype per il seguito (che, al momento, ufficialmente, non è ancora confermato: si dovrà aspettare la ricezione del pubblico prima di dare via libera alla produzione di un sequel). Dalla proiezione in anteprima al Festival di Venezia 2021 si è spesso paragonato Dune con altri primi capitoli di varie saghe letterarie, come Il Signore degli Anelli, ma non considerando le varie differenze che separano i due titoli. Anche prendendo in considerazione un adattamento non particolarmente riuscito come quello de Lo Hobbit, che condivide con il film di Villeneuve la divisione in più film di un singolo libro, non possiamo fare a meno di notare come la trilogia di Peter Jackson si rivolgeva in maniera più schietta al grande pubblico e poteva farsi forza sulla già avvenuta conferma dei sequel girati back-to-back. Dune, invece, è più interessato a spiegare come funziona l'universo, a introdurre lo spettatore nelle vicende, che a dare modo di appassionarsi davvero. Alla pari di un Verme delle Sabbie, grosso e imponente, ma nascosto nel deserto e poco visibile, Dune sembra troppo convinto del suo successo e della sua importanza per mostrarsi di più.

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Dune: Zendaya e Timothee Chalamet in una scena

Per non essere male interpretati è giusto rassicurare: siamo i primi a voler sperare in un seguito e in una saga lunga, ben sviluppata e avvincente dedicata a Dune e auguriamo un grande successo al botteghino per il film di Denis Villeneuve, regista che ha dimostrato tutto il suo talento nel prendersi dei rischi e dare vita a esperienze cinematografiche che pochi sarebbero in grado di costruire. Non possiamo che rimanere affascinati e ammaliati proprio da come Dune si discosti da terreni più consolidati e canonici, risultando un film che si distingue, quasi unico nel suo genere. Eppure proprio questo suo essere a metà strada tra un blockbuster alla ricerca del grande pubblico e un film autoriale potrebbe risultare l'ostacolo più alto da superare. Il cast ricco di star, tra cui Timothée Chalamet e Zendaya Coleman veri e propri idoli di un target adolescenziale, è di grande richiamo, ma come reagiranno gli spettatori così eterogenei di fronte a un film simile? Gli adolescenti abituati ad altri ritmi resteranno coinvolti da un film che propone queste soluzioni narrative? Il pubblico si sentirà tradito dalle aspettative e dalla scarsa presenza di certi attori (è il caso di Zendaya) che, invece, sembravano co-protagonisti? I più cinici potranno rispondere che Dune deve trovare forza su una nicchia di appassionati (come d'altro canto accade con il romanzo che è sì uno dei libri di fantascienza più celebrati, ma distante anni luce da altri fenomeni letterari), ma il futuro della saga è legato a un passaparola vasto e positivo, capace di coinvolgere proprio quel pubblico eterogeneo che sembra allontanare. Troppe vie di mezzo in questo inizio di saga: una comunicazione non totalmente sincera in fase di marketing, un film che vuole essere commerciale e allo stesso tempo autoriale (e, per quanto ci spiace ammetterlo, si tratta di un equilibrio davvero complesso da raggiungere), un primo capitolo che in realtà è più un "Primo tempo" della storia, un racconto più interessato a descrivere che a narrare, un'opera che si basa troppo su ciò che verrà e che faticosamente si sorregge sulle proprie gambe. Il film ci accompagna fuori dalla sala proprio quando la storia sembrava finalmente iniziare. Abbiamo visto "solo l'inizio", come pronuncia il personaggio di Chani. Sarà stato abbastanza per convincere lo spettatore a tornare tra le dune di Arrakis? O sarà stata l'aridità del deserto ad aver avuto la meglio sul pubblico? Nel frattempo, il futuro scalpita, in attesa di mostrarsi.