Non era così artisticamente in forma da anni: con Dolor y gloria, in concorso a Cannes 2019 e nelle sale italiane dal 17 maggio, Pedro Almodóvar firma uno dei suoi film più belli ed emozionanti. La pellicola è il viaggio nei ricordi di un uomo che, come dice il suo alter ego Antonio Banderas, che nel film interpreta Salvador, regista ispirato allo stesso Almodóvar, ha contribuito in modo determinante alla cultura della Spagna: "Sono sicuro che per capire la cultura spagnola degli ultimi 40 anni in futuro non potremo non guardare al cinema di Pedro Almodovar. Così come identifichiamo la cultura spagnola con Picasso, Dalì e Federico García Lorca, lo stesso faremo con i film di Pedro, a cui sono orgoglioso di aver partecipato".
In Dolor Y Gloria c'è anche Penelope Cruz, che ha il ruolo di Jacinta, madre di Salvador e quindi modellata su quella del regista. Il trio di glorie spagnole si è presentato commosso alla conferenza stampa del Festival di Cannes, dopo una proiezione trionfale nella sala Lumière. È stato lo stesso regista ad ammetterlo: "Sono molto contento, anche se piove, perché credo di non aver mai visto una pioggia più felice. Non dimenticherò mai l'altra sera: non ho mai avuto un'accoglienza così bella". Antonio Banderas ha confermato: "Abbiamo passato una notte molto bella. è stato quasi imbarazzante, non sapevamo come reagire: questo festival e questo paese hanno sempre amato moltissimo Pedro. Lavoriamo insieme da 40 anni e in questo film abbiamo messo tutto ciò che abbiamo: non soltanto noi stessi, ma la storia del nostro paese".
Il regista è felice non solo dell'accoglienza calorosa del pubblico, ma anche di essere tornato al Festival francese: "Visto che siamo a Cannes dico che sono francese: è una patria che ti adotta completamente, il pubblico francese è fedele per la vita. Mi sento di dire che sono un regista franco-spagnolo". Nel film si esplorano diversi temi, tra cui la malattia e la dipendenza (dalla droga, dal passato, dalle persone che amiamo). Oggi Almodovar può dire con serenità di averne soltanto una: "In questo momento della mia vita la mia unica dipendenza è dormire otto ore a notte e sapere che farò un nuovo film. Proprio come succede al mio personaggio, che soffre all'idea di non essere in grado di gestire fisicamente il set. La mia dipendenza è il cinema, sia come spettatore che come regista".
Antonio Banderas ha dovuto uccidere Antonio Banderas
Antonio Banderas nel ruolo di Salvador è straordinario - ne abbiamo parlato nella nostra recensione di Dolor y Gloria - l'attore ha completamente abbandonato se stesso per portare sullo schermo la propria versione dell'amico e regista: "Ho avuto un infarto e adesso la mia dipendenza è ritrovare me stesso: questo film mi ha aiutato molto. Durante le prove ho scoperto che in me c'era qualcosa di diverso, che volevo si vedesse nel personaggio. Voglio ritrovare me stesso e magari diventare un nuovo Antonio Banderas. Non credo però che la pellicola parli solo di dipendenza, parla soprattutto di riconciliazione: bisogna fare pace con gli spazi rimasti vuoti della nostra vita, che dobbiamo chiudere, con la nostra famiglia, le persone che amiamo, con il cinema. Forse è questo il motivo per cui le persone si rispecchiano così tanto in questo film: tutti abbiamo provato dolore".
Per riuscire a rendere giustizia al ruolo, Banderas ha dovuto dimenticare quanto appreso in 40 anni di carriera: "Per costruire questo personaggio ho dovuto uccidere Antonio Banderas: non vuol dire che mi sono suicidato il primo giorno di set, ma c'erano delle cose di me che non potevo usare. È un riflesso che è apparso 9 anni fa, quando sono tornato a lavorare con Pedro dopo 22 anni: abbiamo mantenuto la nostra amicizia, ci siamo visti a Los Angeles ma qualcosa era cambiato. Ci siamo ritrovati per La pelle che abito e il primo giorno di set sono stato così ingenuo da pensare di essere cresciuto professionalmente, di avere un peso da poter dare a Pedro. Lui mi ha detto però che non gli interessava: voleva trovare me in mezzo a tutta quella confusione. In quel momento non me ne sono reso conto: le riprese di La pelle che abito sono state conflittuali. Solo al Toronto Film Festival mi sono reso conto che Pedro era stato in grado di tirarmi fuori un personaggio che non pensavo di avere dentro di me. Non so come sia possibile: è stata una lezione di umiltà. Speravo di poter avere l'opportunità di fare un altro film con lui, questa volta senza pesi, per mostrarmi come sono. I mesi passati a girare questo film sono stati i più felici della mia vita di attore: è qualcosa che nessuno potrà mai portarmi via".
Dolor y Gloria, intervista a Penelope Cruz: "Un onore interpretare la madre di Almódovar"
Penelope Cruz è la madre di Pedro Almodóvar
Nel ruolo della madre di Salvador, e quindi di Almodóvar, non poteva che esserci il premio Oscar Penelope Cruz, musa del regista, onorata di poter far rivivere sul grande schermo sua madre: "Al personaggio di Jacinta, che è ispirato alla madre di Pedro, ho avuto una reazione di pudore che mi ha stupito: di solito quando Pedro mi propone un personaggio gli faccio mille domande, chiedo un sacco di cose, mentre questa volta non ho avuto il coraggio di farlo. Ho conosciuto la madre di Pedro, Francisca: piangeva perché il re stava consegnando un premio al figlio. Mi ha detto che era spaventata quando il figlio le ha detto che avrebbe smesso di lavorare per una compagnia telefonica per fare il regista, era così preoccupata. Per Pedro le figure femminili con cui è cresciuto sono state fondamentali, ha un grande amore e rispetto per le donne in generale, quindi per me quel momento è stato cruciale, anche se non sapevo che un giorno avrei interpretato un personaggio ispirato a sua madre".
Il ruolo di Jacinta è perfetto per l'attrice, che dopo essere diventata madre è ancora più legata al valore della famiglia: "Sono sempre stata dipendente dalla mia famiglia, ancora di più da quando sono diventata madre. La mia famiglia mi tiene con i piedi per terra. Ho cominciato a recitare a 17 anni e mi ricordo la sensazione alla fine delle riprese: pensavo che non avrei mai più un fatto un film, mi sentivo completamente persa, non sapevo cosa avrei fatto con la mia vita. Mi sono resa conto che il cinema era diventata la mia dipendenza: è la mia vita fin da allora. Sono stata fortunata: ogni film è come una nuova avventura. Come attori siamo sempre studenti: non sappiamo mai cosa succederà e questo mi fa sentire sempre giovane".
La gloria può essere un ostacolo
In Dolor y gloria Salvador è un regista acclamato, ma il successo non gli ha impedito di soffrire: "La gloria può essere molte cose" ha detto Almodóvar in conferenza stampa, proseguendo: "Nel film la gloria è evidente perché, nonostante i suoi dolori, il personaggio vive in un bell'appartamento, circondato da opere d'arte. Il dolore che prova questa persona non ha niente a che vedere con quello che provano molti altri. Anche il dottore gli dice che tante persone soffrono molto più di lui. Il dolore è relativo. La gloria può essere un ostacolo: per alcuni di più. La mia ambizione è sempre stata quella di raccontare storie nel modo più personale possibile, voglio che mi rispecchino in ogni dettaglio. È una cosa molto rischiosa, ma per me il successo si misura in base a se riesco a fare il film che ho in mente, nel bene e nel male: gli errori che ho fatto sono miei. Sono il padrone della mia carriera: per me questo è il successo. Bisogna rimanere lucidi e con i piedi per terra. Ieri abbiamo avuto un'accoglienza straordinaria, ma non significa niente di meno o di più: nella vita dobbiamo affrontare tutti dei problemi, che anche una notte straordinaria come quella qui a Cannes non può cancellare. Bisogna quindi sapersi godere questi momenti".
Non pensiate però che il regista spagnolo sia pronto a mollare la presa: "Anche se questo film crea l'illusione che sia il mio ultimo, ho già cominciato a scriverne un altro. Per me la vera paura non è quella di non poter gestire il set fisicamente, ma di non essere più in grado di affrontarlo con passione. Se una storia non ti appassiona devi avere il coraggio di rinunciarci. Il miglior modo per combattere questo fantasma è trovare sempre storie che ti appassionano e ti interessano".
La necessità di raccontare se stessi
A chi gli chiede quanto di autobiografico ci sia nel film, il regista risponde sicuro: "Ho proiettato me stesso nel film, ma non racconto la mia vita in modo letterale. Racconto temi a cui tengo, come il desiderio, la famiglia, la creazione, ma sarei terrorizzato dal dover raccontare la vita reale, sopratutto quella di altre persone. Non so dare una percentuale di quanto sia vero e quanto finzione, ciò che importa è come le due cose si mescolano. La scena in cui la madre dice a Salvador che non è stato un bravo figlio è stata improvvisata, l'ho scritta la sera prima. È una frase brutale: il figlio si scusa per non essere stato quello che la madre avrebbe voluto e lei rimane in silenzio. Non ho mai avuto questa conversazione con mia madre, ma quando stavamo girando il film ho sentito che dovevo inserirla. Durante le riprese un film è ancora vivo, non finisce mai di evolvere e con lui la scrittura. Un film è finito solo quando chiudi il montaggio. Alla fine mi sono accorto che avevo bisogno di questa scena in più. Fin da piccolo ho guardato il mondo con occhi diversi e quando sei piccolo vedere in tua madre un sentimento di rifiuto, quasi come fossi un estraneo, è qualcosa di davvero crudele. Questa scena mi commuove tanto perché racconta il senso di estraneità che a volte c'è tra genitori e figli".
"Quando il bimbo sente la prima pulsione sessuale è un momento delicatissimo: c'è un bambino in scena e doveva essere molto discreta. Ci sono tanti elementi di finzione: alcune cose mi sono accadute davvero, altre no, ma avrebbero potuto. Quando cominci a scrivere, il primo getto di parole è legato alle tue emozioni e ai ricordi, poi devi affidarti alla finzione. Deve essere credibile ma non la realtà. Il bacio è una delle mie scene preferite, non ho mai baciato nessuno in modo così intenso, sia come regista che come uomo. Trovo molto bello vedere questi due uomini di 50 anni baciarsi in modo così passionale, non si vede spesso. Separarti da chi ami è come perdere un braccio, qualcosa che molti hanno provato almeno una volta. Vorrei aver provato anche io una riconciliazione del genere: vorrei stare in mezzo a Leonardo Sbaraglia e Antonio Banderas e baciarli entrambi con quella passione".