Da quando Matteo Garrone ha iniziato a pensare alla possibilità di portare al cinema la truce storia del Canaro della Magliana sono passati più di tredici anni. Nel frattempo il regista ha anteposto altri progetti in attesa del momento opportuno. Momento che finalmente è arrivato. Dogman, dramma di periferia lucido e rigoroso, ha ricevuto una calorosa accoglienza a Cannes e la sua presenza in competizione potrebbe garantirgli un posto nel palmares. Amatissimo dal festival francese, Garrone ha già conquistato due Gran Premi della Giuria, nel 2008 con Gomorra e nel 2012 con Reality, ma il regista romano non ama adagiarsi sugli allori e ha cercato un'evoluzione che, in questo caso, passa attraverso un intelligente lavoro di sottrazione.
Parlando della genesi di Dogman, Garrone racconta: "Il film è ispirato a un fatto di cronaca cruento che a Roma conoscono tutti molto bene. Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura tredici anni fa con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso. Nel corso degli anni la storia è cambiata, siamo cambiati anche noi e il nostro rapporto con essa. Così per lungo tempo mi avvicinavo e mi allontanavo dal progetto". Garrone confessa che a trattenerlo da andare fino in fondo era l'attrazione morbosa del pubblico per i dettagli cruenti della vicenda, ma tutto è cambiato dall'incontro con l'eccezionale Marcello Fonte, protagonista del film. "Grazie all'incontro con Marcello sono diventati subito chiari certi aspetti della storia che ci hanno allontanato dal fatto di cronaca portandoci, su un'altra dimensione più umana. Abbiamo trasformato il delitto in una storia che può accadere a chiunque tra noi".
Leggi anche: Moretti, Garrone, Sorrentino: i "tre moschettieri" di Cannes a confronto
Restare umani, oltre la violenza
Con il suo candore, Marcello Fonte è l'anima di Dogman. La scelta di un interprete come lui è stata fondamentale per Matteo Garrone per evitare che il protagonista della storia nera si trasformasse in un mostro agli occhi del pubblico. "Marcello ha dimostrato di possedere una grande umanità che gli permette di non rimanere incastrato nei meccanismi di violenza che non gli appartengono" precisa Matteo Garrone. "Non si trasforma in un mostro, è una vittima lui stesso. Agisce per paura di perdere quel poco che si è costruito, lotta per essere un buon padre e dare alla figlia ciò che desidera. E' una figura tipica del cinema italiano, applica l'arte di arrangiarsi che nel suo caso è lo spaccio di cocaina e le frequentazioni di piccoli delinquenti, ma in fondo rimane un buono. Vuole essere amato da tutti". Marcello Fonte interviene con una delicata metafora che riassume la natura del suo personaggio: "Marcello è come un fiore che cresce in mezzo al fango, inevitabilmente un po' si sporca, ma riesce a rimanere puro".
Leggi anche: Dogman, la madre di Giancarlo Ricci contro Garrone: "Ha ucciso mio figlio una seconda volta"
Il felice incontro tra Matteo Garrone e Marcello Fonte è avvenuto in modo fortuito. Garrone racconta di essere stato portato a uno spettacolo teatrale di detenuti. Fonte lavorava come custode dello spazio in cui i detenuti provavano e dopo la morte di uno di essi ha preso il suo posto nello spettacolo finendo per essere notato da Garrone. "Marcello Fonte mi ricorda un mio mito, Buster Keaton. Ha portato un candore e una comicità fondamentali al film, abbiamo completamente reinventato il personaggio. La storia del Canaro è così famosa per via delle torture, al cinema ho visto tanti film che mostrano quest'aspetto. L'idea dell'uomo che si trasforma in mostro era ciò che rendeva più famosa questa storia, ma era anche ciò che mi bloccava. A noi sembrava una stortura evidente che lui finisse in quel modo lì. Marcello non è capace di usare la violenza se non è costretto, mi interessava di più la sua umanità, il suo conflitto interiore, è un personaggio affascinante perché è pieno di contraddizioni. Il mio è un film sulla violenza, ma soprattutto su quella psicologica". Come è essere diretti da Matteo Garrone? Marcello Fonte svela: "Si è creato le sue sicurezze. Vuole andare a fondo nella psiche, non ama restare in superficie. E' una persona che ascolta, cerca di analizzare le situazioni, di ascoltare le persone".
Leggi anche: Dogman, er Canaro a Cannes: Garrone e Benigni sul red carpet del film (FOTO)
Una location magica
Come gli altri lavori di Matteo Garrone, anche Dogman è stato girato in sequenza, processo che ha favorito la crescita del personaggio di Marcello fonte e del resto del cast. Anche la location suggestiva e archetipica del film è un posto che Garrone ben conosce avendo già lavorato lì in precedenza, si tratta del Villaggio Coppola, nei pressi di Caserta. "Per me è un luogo familiare" spiega Garrone. "Nel 2001 ho girato lì L'imbalsamatore, nel 2007 ci ho girato una parte di Gomorra e adesso Dogman. E' un luogo che mi vuole bene, la luce è sempre magica. Non credo sia un caso torno sempre lì e ogni volta trovo la luce giusta e l'atmosfera giusta. Nella seconda parte del film la luce diventa plumbea, grigia e quando ho girato pioveva quindi il meteo ci ha favorito. La ragione che ci ha spinto a girare lì era che volevo un luogo che richiamasse certe atmosfere western, un villaggio di frontiera, metafora della società in cui viviamo. E poi Marcello doveva avere un legame diretto con la comunità, questa diventa importante nelle sue scelte e nel rapporto con Simone. Non era una storia che poteva svilupparsi all'interno di una metropoli".
Dogman non racconta solo un fatto di cronaca locale. Nello sguardo di Matteo Garrone gli eventi assumono un valore archetipico e la periferia squallida in cui Marcello vive riflette echi del presente, ma il regista ci tiene a mettere in chiaro di non aver voluto mette in scena riferimenti politici precisi: "Vedo Dogman più come un dramma sacro, un allegoria sul nostro paese. In tredici anni il paesaggio politico è cambiato molto, ma il tema della paura è centrale nella storia oggi come ieri. Cerco di lavorare su personaggi che riflettano temi e conflitti universali. Può darsi che il film contenga una componente politica, ma involontaria. Il mio approccio è più umanistico". Prima di concludere il regista aggiunge: "Chi pensa di andare a vedere un film morboso o sanguinolento rimarrà deluso, questo è un film che parla di altro, parla di un percorso".