Può sembrare banale, ma Dogman nasce dall'amore profondo che nutre Luc Besson verso i cani, tanto che la tagline, impressa sulla locandina, aprendo poi il film, non lascia dubbi sulle intenzioni del regista francese: "Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane". Parola del poeta Alphonse de Lamartin. Un amore scambiato, di conseguenza, con il protagonista, Caleb Landry Jones. Un punto focale, che è stato fondamentale per la realizzazione e l'ideazione del film, basandosi su una domanda chiara e diretta, rivolta dal regista al formidabile attore. Una domanda, in verità, arrivata solo al terzo incontro tra i due, nel pieno delle pre-produzione. Chiacchierate professionali, e un confronto diretto "sulla vita e sul cinema", come ha rivelato Besson alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, dove il film è stato presentato in Concorso (ma al cinema dal 12 ottobre).
Solo al terzo appuntamento è arrivata la domanda fatidica: "ti piacciono i cani?". La lunghezza tra Luc Besson e Caleb Landry Jones toccava le stesse frequenze, in quanto l'attore raccontò al regista di quando, da ragazzo, aveva un cane a cui era particolarmente legato, condividendo con lui la crescita e, anche, una certa solitudine. A guardar bene, la stessa - meravigliosa e drammatica - chiave dietro lo script di Dogman. Come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione (la potete leggere qui), il film è una dolorosa digressione sul dolore, sulla guarigione, sulla dignità, per una storia che porta in scena un uomo a pezzi salvato dall'amore incondizionato dei suoi cani. Approccio pop, pulp, quasi fumettistico, ma un cuore dolente, che alterna poesia e disgrazia.
Dogman, da dove nasce la storia
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Luc Besson, nasce infatti con la figura irregolare di Douglas, liberamente e solo ipoteticamente ispirata ad un ragazzino francese chiuso in gabbia, e salvato dalla polizia. Uno spunto che ha riacceso nel regista la voglia di tornare a disegnare personaggi struggenti, inseriti in un mondo oscuro e spietato, nel quale solo l'amore - dei cani, in questo caso - riesce a portarli verso una simbolica salvezza. Un fatto di cronaca come base, e il focus che genera un quesito: che futuro potrebbe avere un bambino così traumatizzato? Chi o cosa potrebbe diventare?
In DogMan, il regista, che torna ai fasti di Léon, sceglie quindi una strada sfumata per Douglas, abbagliante nella sua irregolarità e nelle sue ombre. Un film di pensiero e di sentimenti, ma anche un film di fisicità: la scelta di Caleb Landry Jones (che avrebbe meritato la Coppa Volpi) non è stata casuale, e la sua applicazione ha dato alla pellicola una forte spinta. L'attore, che ha debuttato, pensate un po', nel 2007, in una fugace comparsata in Non è un paese per vecchi dei Fratelli Coen, recita per tutto il film con un busto strettissimo, reggendosi sulle stampelle o deambulando sulla sedia a rotelle. Per entrare nel ruolo si è "allenato" per sei mesi con un il supporto di un medico.
Il talento di Caleb Landry Jones e un set decisamente affollato!
Metodo, fisico, emotività. Dogman frulla sostanza ed estetica, senza perdere mai di vista i veri protagonisti: i cani. Tanti, cani. Se c'è un motto che dice "mai recitare con cani e bambini, perché vivono il presente" (e quindi sono più bravi degli attori!), sul set di Dogman c'erano oltre 110 dieci esemplari, di razze tutte diverse, di cui 80 quasi sempre in scena, recitando a turno. Sia Luc Besson che Caleb Landry Jones andavano al parco, al mattino, sdraiandosi sull'erba, in modo tale che sul set ci fosse uno scambio olfattivo dei cani verso il regista e il protagonista. Fiducia, odore e montagne di... croccantini. Un confronto attivo, e un'organizzazione tanto meticolosa quanto inaspettata: la direzione, più che da Besson, arrivava dagli esperti trainer che, rispettivamente, seguivano un ristretto gruppo di cani (sì, c'è anche un Corgi!), che reagivano solo agli input dati dagli addestratori, nascosti dietro gli elementi della scenografia, anche nel bel mezzo dei ciak.
Durante le riprese si sono instaurati veri e propri rapporti tra la troupe e i numerosi cani. Uno, però, era il punto di centrale: il lupo irlandese che vedete in Dogman è il cane della mamma di Luc Besson. Inutile dire che con lui era tutto più facile. Sfida complessa, invece, l'approccio di Caleb Landry Jones al francese, essendoci in Dogman un emozionante omaggio ad Edith Piaf. Per cantare Je ne regrette rien, in una delle scene più forti viste al cinema di recente, l'attore si è preparato con una cantante francese, Isabelle Geoffroy alias Zaz, la stessa che aveva assistito Marion Cotillard per La Vie en Rose. "Non parlava una parola di francese durante le riprese, e alla fine ce l'ha fatta il giorno in cui abbiamo girato quella scena", scherzava Luc Besson a Venezia, facendosi poi serio: "Ogni volta che vedo quella scena mi emoziono". E noi, ripensandoci, non possiamo che essere sulla sua stessa lunghezza emotiva.