Dogman, la recensione: cani, amore e pallottole nel grande film di Luc Besson

La recensione di Dogman: Luc Besson scrive e dirige un grande film sul dolore, sulla dignità e sulla guarigione, portando in scena la storia di un uomo distrutto salvato dall'amore dei suoi (molti) cani. Perché, "I cani non mentono quando parlano d'amore".

Dogman, la recensione: cani, amore e pallottole nel grande film di Luc Besson

Sì, ci siamo emozionati. E sì, siamo stati in trepidante ansia per quasi tutto il tempo. Stretti e seduti sulla poltrona della sala, smaniando e sperando che il dolore messo in scena, ficcante quanto propedeutico alla narrazione, fosse poi sviluppato in modo tale da creare la giusta empatia tra le parti, senza che il dolore stesso sbattesse verso i protagonisti (assoluti) del film. Sì, fin dal titolo, è chiaro: Dogman, scritto e diretto da Luc Besson è un film che ha come personaggi principali i cani. Molti, cani. Decine e decine. Di tutte le razze, di tutte le dimensioni. In fondo, i cani, nelle difficoltà, "superano le differenze, facendo gruppo". Un gruppo folto, una squadra. Anzi, una squadra di soccorso. Perché, "Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane.", recita la tagline di Luc Besson, che cita il poeta Alphonse de Lamartine per introdurre quello che, secondo la nostra recensione, è la sua miglior pellicola dai tempi di Léon.

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Dogman: Caleb Landry Jones in una sequenza

E guarda caso, come Jean Reno e Natalie Portman nel 1994, anche questa è una storia di randagi, di ultimi, di dimenticati. Di amore condiviso, e di inaspettate guarigioni. Una storia di dignità, di amicizia, di dolorosa dolcezza, che accende un dramma dalle venature pulp (non mancano i colpi di fucile), rifacendosi per estetica alle tavole di una graphic novel. Invece, Dogman, presentato in Concorso a Venezia 2023, è materia originale, organica, ispirata solo in parte da un articolo di giornale che raccontava di un bambino chiuso in gabbia quando aveva cinque anni. Attorno a questa esperienza, allargando il campo e facendoci sentire ogni sequenza, Luc Besson mette in piedi la struttura di un film genuino, che se ne frega delle imperfezioni e dell'incredibilità, facendoci fare il tifo per un eroe incompiuto che, come fosse una favola, legge Romeo e Giulietta ad una platea di spelacchiati e irresistibili trovatelli. Nemmeno a dirlo, una scena che vale il film.

Dogman: l'eroe di cui avevamo bisogno

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Dogman: Caleb Landry Jones in una foto

Già, un eroe incompiuto. Un eroe a metà, che abbracciamo e teniamo per mano, dall'inizio alla fine. Prendiamo le sue parti, sempre e comunque. Un personaggio scritto per restare, per essere tanto controverso quanto lucido nella sua ragionata visione. Attorno al suo mondo, attorno al mondo di Douglas (Caleb Landry Jones, semplicemente pazzesco), ci sono le appiccicose e orrorifiche ombre del suo violento padre e del suo gretto fratello, timorati da un Dio che li ha resi codardi e spregevoli. Individui malati, incapaci di provare amore, riversando la violenza addosso a lui, addosso a sua madre, addosso ad un branco di cani chiusi in gabbia, e tenuti a digiuno per renderli cattivi e famelici. Se non fosse che "i cani sono migliori degli uomini. Hanno tutte le loro virtù, e nessuno dei loro difetti. Tranne uno: fidarsi troppo".

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Dogman: una scena del film

Tranquilli, però: in Dogman, per chiara e nobile scelta stilistica, non è mai mostrata una violenza diretta verso i cani, costantemente tenuti in scena dal racconto incrociato di Douglas, che da ragazzino viene sbattuto da suo padre nella gabbia dei cani, per aver mostrato loro compassione e affetto, ritrovandolo poi cresciuto, a bordo di un furgone, truccato come fosse Marilyn Monroe, ferito e sporco di sangue. Cosa sarà successo? Ecco, partendo dal citato stralcio di articolo di giornale, Luc Besson immagina la vita futura del ragazzo, curato dall'amore dei cani. Un ragazzo interrotto, letteralmente spezzato (da grande sarà su una sedia a rotelle, ma non vi riveliamo il motivo), che ha somatizzato l'orrore e la violenza per tramutarla in empatia verso i randagi come lui. Verso i più deboli, contro i ricchi e contro il potere. Convinto che il mondo necessiti di più equità, più equilibrio, più redistribuzione.

"I cani non mentono quando parlano d'amore"

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Dogman: Caleb Landry Jones in una scena

A proposito di favola, Dogman è di quelle nere, nerissime. Una favola di emarginati, in cui la tristezza si fonde con le radici di un albero dal passato segnato, e cresciuto nel bel mezzo della tempesta. Quello messo in scena da Luc Besson, allora, è cinema di genere postmoderno che strizza l'occhio agli Anni Novanta. È cinema di formazione, è cinema pop e è cinema di sentimenti. Perché, dietro la fitta coltre crepuscolare, il valore del racconto è da trovare negli sguardi di fiducia tra Douglas e i suoi fedeli cani, che lo capiscono alla sola occhiata. Lui è uno di loro. Un irregolare, uno che all'apparenza preferisce la sostanza, prendendosi gioco del mondo (e di sé stesso) truccandosi da Edith Piaf, e cantando il venerdì in un night club. Sguardi e dettagli, intanto che la regia di Besson trasuda odori, colori, suggestioni.

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Dogman: Caleb Landry Jones in un primo piano

Conscio del tema, nonché della responsabilità nell'accendere il ritmo e il tono che non scendono mai, il regista francese coglie in pieno l'enfasi della sua sceneggiatura e del personaggio, reso meraviglioso dalla schizofrenica e sincopata interpretazione di Caleb Landry Jones, amalgamando la disgrazia perpetua ad un corroborante e confortevole calore, tanto umano quanto canino (lo ammettiamo, un po' più canino...). Per questo, anche se l'abbiamo scritto all'inizio, ci torniamo: Dogman, nella semplicità di opera pura, marcatamente emotiva e ingenua nella sua svagatezza, supera ogni tipo di incertezza trovando forza nell'evoluzione di Douglas, di pari passo alla simpatica e genuina truppa di fedeli compagni. Dopotutto, tra le increspature scure e il jazz di Miles Davis, per non rinunciare ad uno spassionato accenno di eclettico umorismo, Dogman è un film sulla salvezza, e sul lato puro dell'anima. Una salvezza che passa attraverso la cura e la protezione data e sorretta dall'amore che non chiede nulla in cambio, e perciò divino nella sua più alta forma emozionale ed espressiva. Del, resto "i cani non mentono quando parlano d'amore".

Conclusioni

Il talento di Caleb Landry Jones, un gruppo di meravigliosi cani, Edith Piaf e una storia di salvezza e dolore. Un po' pulp, un po' graphic novel, Luc Besson centra il punto con il poetico Dogman, storia di un emarginato curato dall'amore dei suoi fedeli amici a quattro zampe. E lo abbiamo scritto nella nostra recensione: il film, emozionante e ben girato, è un manifesto all'amore puro e nobile, salvifico e determinante.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.4/5

Perché ci piace

  • I cani!
  • Il talento di Caleb Landry Jones.
  • La storia.
  • Il finale.

Cosa non va

  • Alcune ingenuità abbastanza palesi.