C'è un fil rouge che collega le fila di mistero lasciate da ogni omicidio che regola il film cult di David Fincher, Se7en: sono la riproposizione in chiave orrorifica dei sette vizi capitali. Ogni vittima si fa, cioè, testimone e presta-corpo tangibile di una riproduzione in scala umana di un contrappasso dantesco per peccati commessi, reati consumati, pensieri o azioni perpetrati.
Eppure, basta indagare a fondo la caratterizzazione psicologica di ogni cattivo che ha abitato le cornici di pagine scritte, o inquadrature cine-televisive, per comprendere che in ognuno di essi vive e batte il rimasuglio di un peccato capitale da estirpare, lo stesso che si annidava nei corpi senza vita delle vittime fincheriane. Invidiosi, avari, pigri, famelici di successo tanto quanto di famelica ingordigia, i villain che attraversano lo spazio di uno schermo sono ombre in movimento di vizi e crimini, misfatti e peccati da condannare sullo schermo, per liberasene catarticamente nel privato.
Un discorso, questo, facilmente estendibile anche a quel mondo fatto di principi e sogni, principesse e speranze, tipico dell'universo uscito dalla fucina di casa Disney. Affinché la morale possa trovare il suo punto di accesso, il mondo delle fiabe ha bisogno di una controparte vile, discutibile, di antagonisti talmente complessi da risultare a tratti irresistibili e/o talmente iconici da imporsi nella memoria collettiva con una forza ben maggiore rispetto a quella dei loro dicotomici rivali etici, morali e narrativi. Se vive negli spazi profondi di questi villain disneyani un tratto comune tale da renderli esseri da annientare, pensieri da distruggere, è interessante constatare quanto ognuno di essi possa anche elevarsi a massimo rappresentante di un peccato capitale. In occasione dei 100 anni della The Walt Disney Company, scopriamo allora insieme i sette peccati capitali rappresentati dai più grandi cattivi del mondo di Walt Disney.
1. Invidia: Scar (Il re leone) e Grimilde (Biancaneve e i sette nani)
Difficile eleggere solo due degli antagonisti Disney come massimi rappresentanti di un sentimento come l'invidia. Quello che è da molti considerato come uno dei principali tra i sette vizi capitali, è infatti un tratto distintivo di quasi tutti i villain disneyani e non; subalterni di re e potenti, secondi in bellezza e ricchezza, eleganza e ammirazione, in questi personaggi inizia ben presto a bruciare un fuoco malefico, alimentato da una sete di ambizione e potere tale che li spinge a progettare il proprio piano di golpe personale, un ribaltamento dei sistemi al potere, un colpo di stato interiore che arriva all'azione finale, quella di un omicidio premeditato, e spesso compiuto. Insignito di quella stessa invidia che bruciava nel cuore corroso del Claudio di Amleto (e con un rimando a un altro fratello, sempre regale, sempre di stampo Shakespeariano, come Riccardo III) Scar vive della forza di un cuore vuoto, che pulsa da un sangue fatto di ambizione, gelosia, invidia per l'appunto. Stanco di essere il fratello lasciato nell'ombra, Scar decide di farsi protagonista della propria tragedia, rovesciando il regno a proprio favore, eliminando prima il fratello Mufasa e poi - senza riuscirci - il nipote Simba. Marchiato tanto nell'anima, come sul viso, da una cicatrice profonda di un animo corrotto, Scar è a tutti gli effetti il villain disneyano per antonomasia, compensatore di tutti i peccati di un animo marcio, indebolito di virtù e affamato di vizi.
Ma non si può parlare di invidia senza citare un altro villain, classico nel tempo e nella storia, come quello di Grimilde in Biancaneve e i sette nani. La regina ossessionata dalla propria bellezza, Lady Macbeth dell'importanza estetica, non può accettare che all'interno del suo regno vi sia qualcuna più dolce, bella dentro e fuori di lei come la figliastra Biancaneve. La realtà dei fatti è un coltello che colpisce a fondo la propria vanità, spingendo la donna a togliere il respiro vitale a quel corpo fatto di una pelle bianca come la neve, le guance rosse come il sangue, e i capelli neri come l'ebano. Un epilogo fatale che nel mondo del "vissero felici e contenti" le si rivolterà contro, guidato da una giustizia divina in cui non vi è spazio per l'invidia, e da una lotta compiuta da sette piccoli uomini - come sette sono i vizi capitali da combattere nella quotidianità terrena - come i sette nani.
Il Re Leone: Scar, quando un villain diventa mito
2. Avarizia: Il Principe Giovanni (Robin Hood)
Un po' come l'invidia, anche l'avarizia, nella sua accezione più disumana e umanamente ingiusta, è un'avversione comune a numerosi personaggi usciti dalla fucina Disneyana. Escludendo il suo massimo rappresentante, ossia quell'Ebenezer Scrooge preso in prestito dalle pagine del Canto di Natale di Charles Dickens, a rivestire il ruolo di ulteriore rappresentante di questo vizio capitale vi è Il principe Giovanni di Robin Hood. Non solo avido di ricchezza e potere (un tratto, questo, che lo accomuna a tanti altri villain disneyani, come il Governatore Ratcliffe di Pocahontas, o al Jafar, di Aladdin) a rendere tale personaggio anche avido è soprattutto quella malefica propensione a impoverire sempre più il proprio popolo, senza per questo ridistribuire tale ricchezza, investendola in servizi a favore dell'intera comunità. Tutto ciò che depreda Giovanni lo custodisce gelosamente e avidamente per sé, fino a quando la freccia scoccata da Robin Hood - colui che "ruba ai ricchi per dare ai poveri" - svuoterà i suoi bottini, in un ritorno alla ridistribuzione economica colmo di significato e di quell'uguaglianza che nel regno del sovrano reggente era andata perdutasi.
3. Lussuria: Frollo (Il gobbo di Notre Dame)
"Sei pronta, Esmeralda? Le fiamme oppure mia". Basta un verso come quello di una canzone così sentita, di una lotta interna di un uomo che cerca di spegnere il fuoco del desiderio per poi chiamare la morte di vendetta per un eventuale rifiuto, per comprendere la potenza di un sentimento come quello della lussuria che investe, fino a dominarlo, il personaggio di Frollo. E così, con la potenza della musica, e la forza visiva di una scena caravaggesca, un sentimento così complesso e adulto, come la lussuria, viene spiegato e inconsciamente recepito anche da sguardi innocenti come quelli dei bambini. È un ardore che brucia offuscando un'anima già corrotta dal pregiudizio e dall'odio come quello di Frollo, il desiderio di Esmeralda. Un'ossessione per un corpo da possedere, ma ostacolato non solo dal ruolo svolto all'interno della società (Frollo è un uomo di chiesa, sebbene ogni sua azione e/o atteggiamento pare smentirlo) ma anche da un costante timore di Dio che lo rende ipocritamente un fanatico religioso rinchiuso nel corpo e nella mente di un'anima bruciata e dannata.
Il Gobbo di Notre Dame: i 25 anni di un film incredibilmente coraggioso
4. Accidia: Genoveffa e Anastasia (Cenerentola)
C'è un proverbio che recita, "i pigri hanno tutte le settimane sette giorni di festa, ma nessun santo"; parliamoci chiaro, tutti noi ci siamo riservati qualche giorno di festa, lontani da tutto e tutti, accantonando gli impegni e rifugiandoci nel caldo abbraccio della pigrizia. Alle consegne, alle chiamate, alle richieste, abbiamo preferito la facile procrastinazione. Ma chi nel mondo della Disney proprio non riesce a staccarsi da quell'ambiente di confortevole inettitudine nei confronti dei propri, possibili, compiti sono Anastasia e Genoveffa, ovvero le sorellastra di Cenerentola. Supportate dalla madre, le due ragazze approfittano del ruolo di tuttofare della propria sorellastra, aumentandone il già pesante (e pressante) carico di lavoro, affidandole vestiti da cucire, stanze da lavare, pavimenti da lucidare. La loro è una pigrizia costante, di chi si crogiola sui propri privilegi, svegliandosi e attivandosi magicamente solo all'idea di una festa a cui partecipare, o un marito/principe da conquistare. Ma nel mondo simbolico delle fiabe, ecco che la pigrizia dell'anima intacca ben presto anche quella estetica, dipingendo le due sorelle come ragazze poco aggraziate, imbranate, poco armoniose nel fisico, e ancor meno nel cuore.
5. Gola: Mangiafuoco (Pinocchio) e Madre Gote (Rapunzel)
Tralasciando il lupo cattivo della fiaba dei Tre Porcellini, risulta alquanto difficile trovare nella galleria disneyana un villain che possa veramente macchiarsi del peccato dell'ingordigia. Il cibo è un elemento presente e costante nei lungometraggi di animazione, ma non si fa mai veramente carico di un vizio famelico da parte di un dato personaggio. E allora ecco che la gola può essere riletta e interpretata sotto un altro punto di vista, ossia quello di una costante e imperitura sete di ricchezza tale da annebbiare la ragione, alimentare le fauci e rinsecchire l'anima. Basta un cambiamento di rotta, una nuova rilettura che ecco comparire davanti agli occhi una sequela di possibili villain golosi della tradizione disneyana. Ma ve ne sono due in particolari che più di molti altri paiono mostrarsi sullo schermo rivestendosi di tale vizio, come Mangiafuoco e la sua fame di ricchezza, e Madre Gothel per quella dell'eterna e infinita bellezza. Se nel romanzo di Collodi Mangiafuoco si fa personaggio tanto indulgente, comprensivo e generoso (prima di liberare Pinocchio regalerà infatti al piccolo burattino cinque monete d'oro da portare al disperato Geppetto), quanto burbero e suscettibile, nel classico Disney l'uomo si macchierà solo di caratteri negativi, sfruttando il piccolo burattino per arricchirsi sempre più.
E nel gioco dello sfruttamento altrui, dove il talento o le virtù di uno sono alimenti da cibarsi con fare bulimico dell'altro, anche l'atteggiamento di Madre Gothel in Rapunzel rientra perfettamente in questa frangia del discorso. Ossessionata dalla giovinezza eterna, la donna sfrutta il potere del fiore della giovinezza trasferitosi nei capelli di Rapunzel, servendosi delle sue proprietà con fare famelico e continuo. Proprio come un goloso incapace di resistere al richiamo delle prelibatezze di cui va ghiotto, così Madre Gothel diventa totalmente dipendente dal potere di Rapunzel, fino a sottrarre la giovane alla propria libertà e alla sua indipendenza. Malvagia, narcisista, ingannevole, ma soprattutto egoista, Madre Gothel nasconde dietro la facciata del genitore amorevole una natura infida, autoreferenziale, dove la privazione dell'essere passa per una ciocca di capelli.
I 21 migliori cattivi Disney di sempre
6. Superbia: Maga Magò (La spada nella roccia)
Superbia: radicata convinzione della propria superiorità (reale o presunta) che si traduce in atteggiamenti di orgoglioso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri. E allora non vi è personaggio migliore di Maga Magò, e di quella sua inesauribile convinzione di essere la migliore, la più brava, la maga più imbattibile di sempre, per rappresentare in forma bidimensionale e pseudo-antropomorfa un fattore caratteriale come la superbia. È proprio tale sentimento a guidarla, fino a dominarla, nell'iconico duello contro Mago Merlino ne La spada nella roccia. Adottando opposte strategie, Maga Magò lascia che la sua superbia, attaccata e insidiata dai colpi magici del rivale, prenda il sopravvento, trasformandola in creature sempre più grandi, sempre più enormi, proprio come la propria convinzione; ma è proprio in queste evoluzioni in esseri giganteschi che si ritroverà la causa della sua disfatta: trasformandosi in un essere microscopico come un virus, Merlino giocherà di astuzia, mostrando al contempo quanto non sia nella grandezza fisica, ma in quella intellettuale e interiore, che risiede la vera forza che porterà la vittoria; e così nemmeno un drago potrà nulla dinnanzi a un attacco secco, come un colpo di tosse, del Malacliptonopterosis.
7. Ira: Ade (Hercules)
Vi sono cattivi impossibili da amare; entrati nell'immaginario collettivo, visione dopo visione hanno saputo insidiarsi nel ricordo mediatico incanalando alla perfezione i tratti di anime corrotte, umanità rinsecchite, sensibilità impoverite e annullate. E poi ci sono villain come Ade, sarcastici, cinici, promotori di battute iconiche ("chi mia ha spento i capelli?") impossibili da odiare perché così facili da adorare, sebbene risulti comunque difficile simpatizzare con i loro pensieri e i loro piani machiavellici. Eppure, si muove silente nell'animo di tale personaggio una predisposizione alla rabbia incontrollabile, a quell'ira bruciante che ne smuove il carattere, definendone la natura. Relegato tra le ombre nefaste del regno dei morti, Ade colora di nero i propri abiti adattandoli all'oscurità della sua anima, lasciando a un barlume di colore quei capelli azzurri come fuochi fatui; ma basta un ordine non eseguito, una notizia allarmante, un piano non andato come previsto nella sua scalata all'Olimpo, che tutto ribolle in questa entità oscura, colorandosi di rosso e bruciando come fiamme di un vulcano in eruzione. Forte della sua condanna perenne a trattare con i morti, e per questo incapace di stabilire rapporti umani, Ade è privo di empatia, sensibilità, lasciando che la sua ira funesta si scateni in lui, anche quando si auto-convince del contrario, ripetendosi "Ok, sono calmo, sto bene". Eppure, ecco che quell'ira ritorna, la voce si alza, la rabbia ribolle, e tutto in Ade perde il controllo, soprattutto se davanti a lui ecco farsi avanti Hercules, e allora per lui sarà "davvero la fine".