Cupellini e Servillo parlano di Una vita tranquilla a Roma

Presentato alla stampa romana il noir in concorso del regista padovano, opera originale e interessante sulla camorra, la 'monnezza' e una paternità da tragedia greca. Sorprendenti rivelazioni i giovani coprotagonisti Marco D'Amore e Francesco Di Leva.

Ultima giornata festivaliera per gli italiani: presentato stamattina il terzo e ultimo film italiano in concorso al 5° Festival internazionale del film di Roma. Dopo La scuola è finita e Gangor è la volta di uno straordinario thriller dalle atmosfere lunari e gelide, Una vita tranquilla, coproduzione europea che vede la collaborazione di Germania, Francia e Italia. Il film è diretto da Claudio Cupellini, padovano di origine, romano di adozione, che si era già fatto apprezzare con la commedia brillante Lezioni di cioccolato. Ambizioso e talentuoso, Cupellini cambia completamente genere e firma insieme ai bravi Guido Iuculiano e Filippo Gravino, premio Solinas nel 2003, una sceneggiatura strepitosa in cui primeggiano i dialoghi, in italiano, in dialetto napoletano e in tedesco, notevoli protesi linguistiche di personaggi eccezionali dagli interessanti profili psicologici. Nei ruoli dei protagonisti un impeccabile Toni Servillo, qui nei panni di un cuoco napoletano che in Germania ha cercato di rifarsi una vita dopo un passato criminale, Marco D'Amore, giovane promessa del cinema italiano, nella parte di Diego, figlio abbandonato dallo sguardo feroce e malinconico e servo della camorra insieme all'amico d'infanzia Eduardo, interpretato dall'intenso Francesco Di Leva. Abbiamo incontrato stamattina, al riparo dalle nuvole gravide che non mancano mai di calcare i cieli romani in tempo di festival, gli interpreti, il regista, gli sceneggiatori e i produttori di un progetto che non passerà inosservato al grande pubblico e che ha subito conquistato il favore della critica.

Una vita tranquilla è un noir particolarmente duro, un genere poco amato dal pubblico italiano. Signor Cupellini da dove nasce l'idea di lanciarsi in una sfida così rischiosa, passando dalla commedia a un genere completamente diverso?

Claudio Cupellini: Credo che si passa da un genere all'altro con l'amore per il lavoro che si fa e con l'impegno. Avevo iniziato a scrivere questa sceneggiatura nel 2005, dopo che Gravino aveva vinto nel 2003 il premio Solinas. La sua era una storia che ho amato subito e volevo portare sullo schermo. Ho lavorato sul soggetto come se lo dovessi cuocere a fuoco lento. Non vedevo l'ora che uscisse in sala, anche perché c'è stato dietro un bellissimo lavoro di squadra.

Però pur avendo iniziato a lavorare tanto tempo prima a questo film, ha portato in sala prima Lezioni di cioccolato... Claudio Cupellini: La possibilità di esordire con una commedia, che poi è stata anche molto fortunata, mi ha dato poi la chance di poter girare questo film al quale tenevo moltissimo.

Avete dovuto affrontare difficoltà economiche per realizzarlo? Fabrizio Mosca, produttore: E' una fortuna per un produttore trovare una storia di cui innamorarsi e io l'ho avuta. Sono un produttore indipendente, ma grazie alla forza che viene dai progetti come questo insieme a Rai Cinema ho potuto affrontare questa sfida. La storia si svolgeva in Germania, dove abbiamo trovato dei partner come Eos e Beta. La collaborazione tra italiani, francesi e tedeschi è stata interessante e ricca di complicità, affetto ed entusiasmo. Credo che anche questi fattori abbiano contribuito al risultato. Mi è dispiaciuto non avere l'appoggio del nostro Ministero per i beni e le attività culturali!
Paolo Del Brocco, produttore per Rai Cinema: La sceneggiatura era fortissima e quest'elemento ha contato molto nella nostra scelta. Questo è un prodotto europeo e segue la volontà di realizzare un cinema sempre più internazionale. Sono stato colpito dalla facilità e dall'agilità con cui Cupellini è passato da un genere all'altro con grande nonchalance. Il cinema italiano ha bisogno di registi di questo tipo.

Come sono stati scelti gli attori protagonisti del film? Claudio Cupellini: Fin dall'inizio pensavamo che Toni Servillo dovesse essere il nostro protagonista, ma eravamo preoccupati che lui non accettasse. Invece poi si è innamorato subito del copione e ha voluto partecipare. Il casting è stato bello ed eccitante, ma avevamo molti dubbi sulla scelta degli attori giovani. Quando poi si trovano due attori talentuosi e così giusti per la parte come Marco D'Amore e Francesco Di Leva, dopo non resta che essere felici.

Nel film è centrale il tema della paternità, una tematica sempre più ricorrente nel cinema italiano. Ci parlate di questa scelta?

Toni Servillo: Tra i tanti temi del film al centro c'è la relazione complessa, che io ho trovato molto emozionante già in sede di sceneggiatura, tra un padre e un figlio. E' la storia di un uomo che cerca di fuggire dal passato per redimersi, si costruisce una nuova identità ma il suo passato torna sotto l'aspetto del figlio e fa in modo che per un uomo che ha commesso un crimine non ci sia redenzione. E' uno schema classico e tragico importante.
Claudio Cupellini: Ci sono molti livelli di lettura, come la cornice di genere, noir, all'interno dei quali abbiamo potuto parlare di tante cose, come il rapporto padre-figlio. Abbiamo cercato di raccontare il tragico destino di un uomo che deve fare i conti col proprio passato.

Pensando alla personalità di Rosario, il personaggio di Toni Servillo, sembra che sia stato scritto apposta per l'attore. A tale proposito viene in mente Titta Fiore de Le conseguenze dell'amore. Cosa accomuna o distingue i due personaggi? Claudio Cupellini: La mia generazione ha amato tantissimo Le conseguenze dell'amore, una ventata di aria fresca nel cinema italiano. Quando abbiamo scritto questa storia, pensavamo già a lui per quel personaggio. Ma abbiamo anche pensato a raccontare una storia a modo nostro. Io credo che il personaggio interpretato da Toni abbia qualche sfumatura e somiglianza con Titta, ma essendo molto emotivo e carnale, se ne allontani totalmente.

Quello che colpisce del film è anche l'incredibile rapporto tra Diego e il fratellastro minore creato attraverso i soli sguardi, davvero impressionanti. Come avete lavorato a questa relazione? Claudio Cupellini. Questi gesti si ripetono anche tra Rosario e il figlio Diego. La fortuna di avere degli attori così bravi, che vengono dal teatro, ha fatto sì che ogni gesto fosse pensato. Il merito va quindi a Marco D'Amore, che ricalcava i gesti di Toni in scena. I loro sguardi raccontano a volte più dei dialoghi stessi.
Marco D'Amore: Ho costruito molto del personaggio in questo rapporto col bambino, che dura poco rispetto al tempo del film. E' stato curioso poi instaurare un rapporto anche fuori dal set col piccolo Leonardo, bravissimo secondo me. All'inizio eravamo entrambi distanti e diffidenti, ma poi siamo riusciti a conquistare un piccolo rapporto basato su una complicità quasi inconsapevole.

Per te questo film ha segnato l'esordio cinematografico. Ci racconti quest'esperienza?

Marco D'Amore: E' stata un'esperienza bellissima e sono stato fortunato a trovare nel cast anche Toni, che conosco e col quale lavoro a teatro da tempo: la sua presenza è stata rassicurante per me. Se il risultato è buono è merito di Claudio e di Francesco perché abbiamo lavorato come una coppia molto affiatata.

Guardandovi sul grande schermo si ha l'impressione che voi siate realmente amici e vi conosciate da anni. E' così? Marco D'Amore: No, lo siamo diventati dopo il film.
Claudio Cupellini: Francesco e Marco hanno vissuto in simbiosi durante le riprese in Germania e le prove in Italia. La cosa importante era anche intuire all'inizio l'alchimia che si sarebbe creata tra loro. Si parte sempre dagli attori, che entrano in gioco dopo il personaggio su carta! Loro sono stati estremamente bravi nel cedere ai loro personaggi dimostrando una chimica eccezionale.

Francesco ti avevamo già visto al cinema, il tuo volto lo ricordiamo da Pater Familias... Francesco Di Leva: Quel ruolo era completamente diverso da Eduardo, più completo e più interessante per me da interpretare. La visione del mio personaggio in Pater Familias era più spicciola, questa in Una vita tranquilla molto più intensa e profonda. La presenza di Toni poi ha aiutato molto di riverbero il mio personaggio a essere così incattivito!

Come avete lavorato sul linguaggio, che caratterizza così tanto i dialoghi?

Toni Servillo: In questo film il mio personaggio vive in un costante regime di terrore e i tre livelli linguistici rappresentano per lui delle tane in cui nascondersi. L'alternanza dell'italiano, del napoletano, del tedesco arricchisce il film.
Claudio Cupellini: La sceneggiatura si è discostata poco dal nostro progetto iniziale, che era già precisa e puntuale, ed è figlia anche delle nostre amicizie, di aneddoti raccontati tra di noi e piccole suggestioni.
Marco D'Amore: Per noi il dialetto è stato un punto di forza, di verità. Toni in più di un'occasione ha detto: "Noi pensiamo in napoletano", qui l'abbiamo anche potuta dire in napoletano. Io e Francesco ci siamo inventati un linguaggio sul set...
Francesco Di Leva: L'orecchio padovano ci ha tenuto un po' a bada. Spesso sul set veniva fuori un istinto molto forte di recitare nel mio dialetto, ma lui ha lavorato molto per rendere tutto più equilibrato.
Juliane Kohler: La prima cosa che ho letto è stata la sceneggiatura e sono stata impressionata dai dialoghi. Io non parlo italiano e quindi mi ha lusingata questa proposta. Mi sono subito convinta che sarebbe stata una bella esperienza per me lavorare con un grande attore come Servillo e imparare delle parti in italiano. Tutti sono stati gentili e professionali e anche se tutti parlavano italiano mi sono sentita a casa: hanno cercato di aiutarmi ed è stata una bellissima esperienza.

In questo film c'è un contenuto molto attuale, si accenna alla strage di Duisburg, allo scandalo della monnezza... Come avete lavorato su questi contenuti? Claudio Cupellini: Spero che venga fuori il nucleo della storia per gli spettatori. E' compito nostro annusare la realtà e catturarne i segnali. Quando abbiamo scritto di Duisburg non era ancora avvenuto nulla, quindi c'è un lieve richiamo, ma siamo orgogliosi di aver realizzato un film che possa essere letto in maniera più stratificata.
Filippo Gravino: Ho scritto questa sceneggiatura molto prima dello scandalo della monnezza, dopo aver letto un trafiletto su un treno che trasportava, a partire da Marcianise, rifiuti in Germana. Da lì ho immaginato quale sarebbe potuta essere la storia. L'idea originaria nasce dalla cronaca locale minima.
Guido Iuculano: Penso che abbiamo dimostrato che la cronaca possa essere raccontata in diversi modi.

L'episodio legato alla monnezza ricorda quello di Gomorra, Una vita tranquilla ne potrebbe rappresentare un sequel? Claudio Cupellini: Assolutamente no, né per lo stile né per la storia. Pur avendolo amato moltissimo, direi che siamo lontani anni luce.