Recensione La contessa bianca (2005)

Un film che vorrebbe essere umanamente toccante e offrire riflessioni sulla nostra storia bellica ma che scivola via senza lasciare traccia - tranne forse un po' di amarezza in chi si aspettava qualcosa di diverso.

Cuori in esilio

Il connubio tra il marchio Ivory-Merchant e lo scrittore britannico di origini giapponesi Kazuo Ishiguro aveva dato risultati tanto piacevoli in passato che era difficile non avere aspettative positive nei confronti di questo La contessa bianca, per il quale il raffinato narratrore di Quel che resta del giorno aveva offerto un soggetto e una sceneggiatura originale a James Ivory e al suo fidato produttore recentemente scomparso. Tanto più che gli elementi promettenti non finivano qui, perché c'era da aggiungere un protagonista del prestigio e del fascino di Ralph Fiennes, e una Shangai fotografata da Christopher Doyle.

A ciò si sommi il fatto che scrive ha divorato e amato i romanzi di Ishiguro, e ha apprezzato più o meno tutte le pellicole tragate Ivory-Merchant - con la debita esclusione di Le divorce. Possibile rimanere delusi? Purtroppo sì. Intendiamoci, tecnicamente La contessa bianca è ineccepibile. La ricostruzione della Shangai di metà anni '30 del ventesimo secolo toglie il fiato. Le atmosfere, gli ambienti, l'inquietudine di quegli anni sono palpabili, grazie a un notevole lavoro con costumi, musiche, scenografie e fotografia e allo sforzo di raffigurare l'incontro tra diverse nazionalità e tradizioni. Quello che manca sono i personaggi - ovvero fa difetto l'elemento fondamentale in una storia che racconta di persone, dei loro amori e delle loro ossessioni.

Ma proviamo ad inquadrare la vicenda: Jackson (Fiennes) è un ex-diplomatico americano con alle spalle una serie di disgrazie che gli hanno segnato l'esistenza, e sottratto la vista; vive a Shangai tra i circoli altolocati in cui ormai è considerato mentalmente instabile e nightclub di basso profilo dobe s'inebria di musica, di alcool e di conversazioni altrui. In uno di questi locali farà la conoscenza del misterioso giapponese Matsuda (Hiroyuki Sanada) e della bella contessa Sofia (Natasha Richardson), rifugiata russa costretta a fare la entreneuse per supportare la famiglia del marito morto. I due lo aiuteranno a realizzare il suo sogno, quello di aprire a Shangai "il perfetto bar", The White Countess.
Ovviamente tra lui e la contessa nasce l'amore inespresso, represso e platonico che è uno dei marchi di fabbrica della narrativa di Ishiguro. Ma prima che la loro situazione possa risolversi, ecco il concretizzarsi della minaccia dell'invasione giapponese...
Aye, there's the rub: purtroppo questo amore, questo povero cieco che e questa aristocratica ridotta a prostituirsi che hanno perso tutto ma hanno trovato l'un l'altro non ci fanno palpitare e tremare per il loro destino. La colpa è anche delle interpretazioni - la Richardson è dignitosa ma le manca il carisma che questo ruolo avrebbe richiesto, almeno a sentire il protagonista, secondo il quale Sofia è la "donna pefetta", in cui si fondono erotismo e tragedia; Fiennes, francamente, è l'ombra di sé stesso - ma soprattutto di una sceneggiatura squilibrata, che si sforza di caricare la storia di significati metaforici e finisce per calcare la mano dove non serve dimenticando di dare spessore agli aspetti più umani che dovrebbero avvincere ed emozionare lo spettatore. Il risultato è un film che vorrebbe essere umanamente toccante e offrire riflessioni sulla nostra storia bellica ma che scivola via senza lasciare traccia - tranne forse un po' di amarezza in chi si aspettava qualcosa di diverso.

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2.0/5