Recensione La terra degli uomini rossi - Birdwatchers (2008)

Bello e importante, il film usa un linguaggio cinematografico scarno e minimalista, con poche concessioni all'abbellimento, per narrare il dramma della tribù dei Guarani-Kiowà, uno dei tanti gruppi indios del Sudamerica a grave rischio di estinzione.

Cuore indio

La prima vera sorpresa del concorso veneziano è l'ultimo lavoro di Marco Bechis, La terra degli uomini rossi - Birdwatchers. Bello e importante, il film usa un linguaggio cinematografico scarno e minimalista, con poche concessioni all'abbellimento (tra cui un commento musicale che a tratti torna a sottolineare i punti topici del film), per narrare il dramma della tribù dei Guarani-Kiowà, uno dei tanti gruppi indios del Sudamerica a grave rischio di estinzione. La maggior parte degli episodi mostrati nel film sono accaduti realmente là dove Marco Bechis ha scelto di ambientare la sua pellicola, nella regione del Mato Grosso du Sul, terra di confine tra Brasile e Paraguay, dove i Guarani-Kiowà lottano quotidianamente per la sopravvivenza. Le terre degli nativi americani depredate dai conquistadores sono oggi nelle mani di potenti fazendeiri che le disboscano per vendere il legname e trasformare gli appezzamenti in piantagioni di the, canna da zucchero (usata non come prodotto alimentare, ma per trarne l'etanolo da esportare in Europa e Stati Uniti) e soia transgenica. Le alternative che restano alle tribù sono poche: chinare la testa piegandosi alla situazione attuale e trasferirsi nei fazzoletti di terra trasformati dalla carità dei bianchi in poverissime riserve, impiegarsi come moderni schiavi sottopagati e privi di diritti nelle piantagioni o continuare a combattere per il riconoscimento dei propri diritti. E' quest'ultima la storia che Marco Bechis ha scelto di raccontare.

La terra degli uomini rossi - Birdwatchers capovolge la prospettiva presente in altre pellicole dedicate allo sterminio dei nativi del Sudamerica quali Mission o Fitzcarraldo. Qui gli attori indios non sono ritratti sullo sfondo del film come comparse mute, ma diventano protagonisti assoluti, portatori del proprio sguardo sugli eventi narrati. Nei pochi momenti in cui la focalizzazione si sposta sui bianchi troviamo la coppia di fazendeiri composta da Leonardo Medeiros e Chiara Caselli, concentrati sulla difesa dei propri interessi economici tanto da non comprendere la ribellione che si trovano costretti, loro malgrado, a dover fronteggiare. Il convincente Claudio Santamaria si ritaglia, invece. il piccolo ruolo del guardiano-spaventapasseri vivente, rozzo mandriano al servizio dei ricchi latifondisti. Bechis non è particolarmente interessato a fornire saggi di bravura né in campo registico né tantomeno nella costruzione del racconto. Proseguendo coerentemente nel suo cammino cinematografico di impegno civile, non abbandona il suo Sudamerica, ma dopo aver concluso con Garage Olimpo e Figli - Hijos la parentesi autobiografica sulla dittatura argentina e sulle sue tragiche conseguenze, si sposta nel Brasile indigeno. La storia narrata in Birdwatchers fluisce in maniera naturale, liberamente. Pochi sono gli snodi essenziali del racconto, compresi all'interno di una narrazione piana della vita quotidiana della tribù. La svolta principale è rappresentata dal tentativo di affrancarsi dalla povertà e dalla schiavitù rinunciando al denaro dei bianchi per portare avanti la lotta per un futuro possibile, svolta che apre a conseguenze impreviste.
Le stesse relazioni tra bianchi e indios vengono fotografate con coerente realismo. Così come il personaggio interpretato da Claudio Santamaria o Maria, la figlia dei fazendeiri, provano ad avvicinarsi per curiosità, o per dovere, alla comunità dei nativi che vive a pochi passi da loro, così il gruppo di Guarani-Kiowà che abbandona la riserva per ritrovare l'orgoglio perduto non è eroicamente compatto come ci si potrebbe utopisticamente attendere. La penetrazione della cultura e dei modi occidentali ormai permea anche la regione brasiliana del Mato Grosso e i beni di consumo rappresentano un desiderio anche per i giovani Guarani combattuti tra fedeltà alla tradizione e richiami del benessere (rappresentati nel film da telefonini e scarpe firmate, ma anche dal sesso che distrae il giovane sciamano dal suo cammino spirituale verso la saggezza). Per un orgoglioso capotribù che lotta coraggiosamente per il bene del suo popolo troviamo indios disposti a scendere a compromessi, a passare dalla parte dei bianchi e ad accettare il loro denaro per godere di un benessere momentaneo. L'emozione di vedere sullo schermo interpreti totalmente digiuni di cinema, come i Guarani-Kiowà, accostarsi al mezzo con candore e trasporto rappresenta indubbiamente il più grande successo ottenuto da Bechis con questo lavoro. Probabilmente una pellicola sulla carta così poco commerciale, in quanto priva di nomi di grande richiamo (tolto forse l'ottimo Santamaria), e caratterizzata da un taglio documentaristico che lascia poco spazio all'intrattenimento nel mercato cinematografico italiano farà storcere il naso a molti, ma chi scrive si augura che il film sia accolto adeguatamente sia per la bellezza e l'autenticità delle immagini che per il peso della denuncia contenuta in esso.

Movieplayer.it

4.0/5