Si nasce incendiari, si muore pompieri. Viene naturale pensarlo, vedendo quanta curiosità si sta generando nei confronti di Better Man, il biopic su Robbie Williams diretto da Michael Gracey in uscita il primo gennaio del 2025 nelle sale con Lucky Red. Quante persone fra quelle che, auspicabilmente, faranno la fila alle casse dei cinema sono state adolescenti negli anni novanta e, magari, pubblicamente si davano un tono girando con addosso t-shirt dei Nine Inch Nails, degli Stone Temple Pilots o dei Pearl Jam e poi, di nascosto, non disdegnavano indulgere nell'ascolto di qualche hit dei Take That prima e di Robbie Williams poi.
Un po' come nell'immaginario classico di un'epoca andata in cui c'era chi andava in edicola ad acquistare una rivista pornografica nascondendola fra le pagine del Corriere della sera. Better Man raccolta gli alti, i bassi e la rinascita di Williams senza ipocrisia o peli sulla lingua e, per farlo, percorre una strada atipica: la star non viene impersonata, sul grande schermo, da un altro attore. A fare le veci di Robbie Williams c'è uno scimpanzé.
I movimenti sono quelli di Jonno Davies, catturati con la motion capture, ma la voce (e gli occhi) sono quelli autentici dell'ex Take That. Un progetto il cui andamento commerciale sarà interessantissimo da seguire tenendo conto di come la popolarità del cantante sia così fortemente sbilanciata sul versante europeo dell'Atlantico. Con la scusa dell'arrivo nei cinema del nuovo lungometraggio di Michael Gracey abbiamo colto l'occasione per viaggiare attraverso cinque biopic musicali da vedere in preparazione a Better Man.
Quando l'amore brucia l'anima - Walk the line (2005, di James Mangold)
Fuori dagli Stati Uniti il mito di Johnny Cash, coevo a quello di Elvis Presley, è sicuramente meno forte che negli Stati Uniti, seguendo un percorso opposto a quello della notorietà di Robbie Williams. Eppure, al netto di una struttura un po' formulaica e di sano manierismo che a volte non guasta, Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line s'inserisce perfettamente nella filmografia di un regista come James Mangold, sempre interessato a personaggi con un vissuto emotivo e un passato mediamente traumatici.
Che si tratti del Man in black del country /rockabilly statunitense o di un mutante con gli artigli di adamantio poco cambia. Joaquin Phoenix e Reese Witherspoon ci mettono anima e corpo nel dare vita alle loro versioni di Johnny e June Cash. Ma è proprio la Witherspoon a rubare la scena al collega spesso e volentieri. Non a caso, delle cinque nomination agli Oscar ricevute dal lungometraggio, l'unica divenuta realtà, fu proprio la statuetta per la Migliore attrice attribuita a Reese Witherspoon.
Rocketman (2019, di Dexter Fletcher)
Voleva ripetere l'exploit commerciale del banalissimo e piatto Bohemian Rhapsody, le cui riprese erano state ultimate proprio da Dexter Fletcher dopo l'estromissione di un Bryan Singer travolto dal ciclone #MeToo.
Alla fine, pur risultando profittevole (40 milioni di budget per quasi 200 d'incasso) Rocketman sì è dovuto accontentare di una lista pressoché sterminata di apprezzamento positivo. Del tutto dovuto perché, oltre a regalarci un Taron Egerton nel proverbiale "stato di grazia" nei pazzi di Reginald Kenneth Dwight AKA Elton John con quella che potrebbe tranquillamente essere la performance della vita, il film è ricco d'inventiva dall'inizio alla fine e non si vergogna di calcare la mano sugli eccessi, personali ed estetici, di uno degli artisti più influenti del panorama musicale britannico e mondiale con soluzioni di regia sempre azzeccate e frizzanti.
24 Hour party people (2002, Michael Winterbottom)
Permetteteci una seppur minima variazione dal tema che abbiamo scelto. 24 Hour Party People people non è un biopic musicale in senso stretto perché non racconta la storia specifica di un gruppo musicale o di un cantante. È uno spaccato su una temperie artistica irripetibile nella storia della musica inglese, quella della Manchester degli anni settanta.
Quella dei free party (o rave se preferite), quella che ha permeato la città proletaria inglese per eccellenza e che, rispetto a quella Liverpool universalmente nota per aver partorito i Fab Four, è meno celebrata a livello planetario. Ma che, con un percorso cominciato dal conduttore televisivo musicale trasformatosi in proprietario di un'etichetta musicale leggendaria, Tony Wilson con la sua Factory Records, ha intessuto un fil rouge che va dai Joy Division agli Oasis passando per gli Stone Roses, gli Smith di Morrissey e anche gli stessi Take That di Robbie Williams and co.
The Dirt (2019, di Jeff Tremaine)
The Dirt: Mötley Crüe è un film ca°°one. Anzi, è un più ca°°onissimo dall'inizio alla fine e non poteva essere altrimenti. È diretto da quel Jeff Tremaine che, insieme a Spike Jonze e Johnny Knoxville, ha creato Jackass e racconta la storia di una delle band più emblematiche ed eccessive del glam rock statunitense, i Mötley Crüe.
Non a caso, il lungometraggio si apre con una panoramica in una festa del gruppo insieme a fan e groupie di ogni sorta e ci mostra Colson Baker (più noto come Machine Gun Kelly) nei panni del batterista Tommy Lee intento a praticare il cunnilingus a una ragazza che poi ha una esplosiva reazione dalle parti basse, per così dire. Una pellicola troppo superficiale secondo molti e meno profonda, con meno chiaro scuri del libro omonimo su cui si basa, ma bisogna anche essere così onesti nell'ammettere che l'approccio ca°°one che abbiamo citato poco fa risulta perfetto per raccontare la storia di rockstar che non sono e non hanno neanche mai voluto essere dei paladini del Salviamo il pianeta. Se qualcuno è interessato a della profondità aggiuntiva, può recuperare la serie Tv Pam & Tommy su Disney+. Ma questa è un'altra storia.
Amadeus (1984, di Milos Forman)
160 minuti di film che diventano 180 nella director's cut. Otto Oscar vinti su undici candidature ricevute. Il duetto leggendario fra il Mozart di Tom Hulce e il Salieri di F. Murray Abraham (che venne anche premiato con la statuetta per il Miglior attore protagonista battendo il collega).
Una serie d'inesattezze storiche notevolissime di cui, giustamente, non è mai fregato nulla né a Peter Schaffer, autore dell'opera teatrale alla base, che a Milos Forman perché Amadeus nasceva come fantasia sul tema Mozart e Salieri. Un biopic monumentale come le figure che racconta, un film figlio di un'epoca cinematografica che non esiste più, di registi larger than life. Amadeus è il biopic che racconta la vita sregolata di un genio che era una rockstar due secoli prima che il rock stesso nascesse.