A quanto pare in fase di produzione il regista Stefano Lodovichi fa molti esempi appartenenti alla cultura cinematografica e nerd per definire personaggi e situazioni ma quasi tutti i suoi collaboratori si limitano ad annuire senza capire di cosa stia davvero parlando. In effetti leggendo la trama di Christian, serie originale Sky in cui un criminale (interpretato da Edoardo Pesce) scopre di avere poteri divini con tanto di comparsa di stigmate, sembra lontanissima da Star Wars o Batman.
Eppure Stefano Lodovichi ci ha detto che aveva proprio Anakin Skywalker in mente mentre costruiva il personaggio. Per quello di Matteo invece, prete che si accerta se sia un impostore o meno, ha pensato a Batman. Non è forse quindi un caso che per interpretarlo sia stato scelto Claudio Santamaria, che ha doppiato Christian Bale nella trilogia di Christopher Nolan sul Cavaliere Oscuro.
Scritta insieme a Roberto Saku Cinardi, Christian vede nel cast anche Silvia D'Amico: ha il ruolo di Rachele, tossicodipendente che viene guarita dal protagonista e lo aiuta a fare del bene ad altre persone. Abbiamo incontrato il regista, l'attrice e lo sceneggiatore Valerio Clelio su Zoom: stanno già lavorando alla seconda stagione.
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Christian e il segreto della vita
Il segreto della vita è davvero nella carbonara?
Stefano Lodovichi: Senza dubbio. Senza panna però. Il mio dramma personale è che ormai è senza carne: non la mangio più e la faccio con le zucchine.
Valerio Clelio: È nel passaggio dalla carbonara, alla gricia, all'amatriciana. In quella triade c'è il segreto della vita. Nella fluidità, nel non essere rigidi, in una ricetta semplice.
Christian e la speranza
Tra i tanti temi toccati da Christian c'è quello della speranza: solo chi immagina nuovi mondi possibili ce la può dare. Quindi in questo senso scrittori, registi, attori sono un po' dei messia della nostra epoca?
Valerio Clelio: Diciamo che è uno che cerca di evadere, che cerca di creare un mondo un po' più lieve di quello che sia nella realtà. È ciò che abbiamo dato alla visione dei personaggi: Christian, ma anche Rachele, che è portatrice di questo assunto. Questa cosa del messia è interessante comunque: lo dirò ai produttori nei prossimi step.
Silvia D'Amico: Dico la verità: prendo sempre il mio lavoro un po' come una missione. Non mi approccio con quella serietà di alcuni, però penso che siamo in qualche modo portatori di un messaggio di speranza.
Stefano Lodovichi: Secondo me è proprio insito nel ruolo creativo: come creatori di un qualcosa, di un'identità di un personaggio, di una scrittura di un immaginario, è come se soffrissimo del complesso di Dio. Nel senso che se io voglio che Rachele muoia, se mi metto a convincere un po' di persone Rachele muore. Poi Rachele non la voglio far morire perché le voglio molto bene, e voglio bene a Silvia, e nella storia sta bene. Però abbiamo un potere enorme e questo potere, secondo me, se usato nel modo giusto, se seguiamo il lato buono della Forza, ci può condurre verso un dare speranza. Sono tutte parole chiave che ci portano a Star Wars: non si scappa, gli schemi narrativi sono sempre quelli di Lucas.
Christian come Anakin quindi?
Stefano Lodovichi: È vera questa cosa: quando scrivevamo la serie il riferimento era proprio Anakin. E Batman per il personaggio di Matteo.
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Christian e il perdono
Tra gli altri temi su cui la serie si interroga c'è il perdono. Diciamo che per i protagonisti è la parte più difficile. Come avete lavorato su questo aspetto?
Stefano Lodovichi: Christian si comporta, secondo me, come qualunque essere umano nato e cresciuto in un certo contesto che a un certo punto viene toccato dalla speranza. La speranza è un modo per tradurre il superpotere, se vogliamo, che arriva a Christian. Come diceva il buon Spider-Man, da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Magari Rachele riuscirà ad aiutarlo.
Valerio Clelio: Per ogni passaggio narrativo di Christian ci siamo chiesti se potevamo fare in un altro modo cento volte. È un progetto che ha una lunga codificazione, un lungo sviluppo negli anni. Quindi abbiamo cambiato idea mille volte. Una delle cose che è rimasta come base era proprio la difficoltà del perdono come passo ultimo. Ci sembrava che il perdono fosse un concetto che si sposa bene con un'idea di complessità che volevamo dare alla storia. Sempre nella forma più divertente possibile.