Ė in Francia per la prima volta e solo in veste di giurato d'eccezione della prima edizione di Canneseries, il nuovo festival dedicato alle serie TV. Ma anche se non ha nuovi lavori da presentare, l'occasione è troppo ghiotta perché Michael K. Williams non è solo un grande attore, uno che ha lavorato con grandissimi nomi di Hollywood, ma una vera e propria leggenda del piccolo schermo. Il suo Omar Little di The Wire è stato spesso definito come uno dei personaggi più belli della storia della TV e il calore del pubblico presente qui a Cannes, per la masterclass dell'attore, lo dimostra in pieno.
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Prima ancora di parlare del suo lavoro Williams ci racconta la sua gioventù, trascorsa in una zona poco raccomandabile di Brooklyn. "Non scambierei la mia vita e il mio passato con nessuno, sono molto orgoglioso delle mie radici anche se non sempre è stato facile. Sono nato e cresciuto in quei posti e i miei genitori ci vivevano prima ancora che io nascessi, ho un legame con questi luoghi e la gente che ci abita ancora oggi che è impossibile spezzare. Penso anzi che il vero successo non sia scappare e non guardarsi più indietro, ma tornare ed offrire qualcosa in cambio. Quando l'ho fatto ho visto tanta gratitudine e soprattutto orgoglio, ho visto gente che tifava per me e che credeva in me".
"Ho tante cicatrici sul mio viso e sul mio corpo, ma ancora di più sono quelle che ho dentro di me" continua l'attore parlando del suo passato burrascoso. "Non ero un tipo tosto, non ero uno popolare o un gangster ma timido e impacciato. Mia madre era dei Caraibi, una vera dura e aveva un sacco di regole, quindi molte cose che altri facevano a me non erano permesse e per questo a volte venivo bullizzato. A differenza di quel che si può pensare vedendo i miei personaggi, non ero il tipo tosto che comandava o incuteva timore, e anche con le ragazze non sapevo come comportarmi. Però forse proprio per questo sono riuscito ad evitare i guai e la prigione, cosa che invece non è riuscita a molti dei miei amici e parenti".
La salvezza nella musica... e in Martin Scorsese
Williams ricorda poi gli incontri che gli hanno cambiato la vita: "Ad un certo punto ho capito che il ballo era parte della mia vita ed è stato grazie a quello, e alle droghe, che ad un certo punto sono diventato un cool guy. Ma le droghe sono diventate troppe e a 22 anni ero in rehab per disintossicarmi. Dopo di quello ho lasciato tutto, sono andato al community college e ho trovato lavoro in una fabbrica. Poi però Janet Jackson con la sua canzone e il suo video Rhythm Nation mi ha ispirato a trovare il vero me stesso. E così ho lasciato quel lavoro che non faceva per me e ho cominciato a fare il ballerino di professione".
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"Poi una sera, solo per essere stato nel posto sbagliato con le compagnie sbagliate, fui coinvolto in un litigio terribile. Alla fine mi ritrovai con questa cicatrice che vedete sul mio volto ed un'altra ancora peggiore sul collo, vicino alla giugulare. Pensavo sarei morto o che sarei finito in carcere come tanti altri e che non avrei mai più potuto fare quello che amavo. Che avevo perso tutto. Ma un giorno David LaChapelle mi fermò per strada e mi chiese se poteva fotografarmi, ovviamente gli dissi di sì, non avevo nulla da perdere, e da lì in poi ripresi a fare il ballerino in video musicali. Il ballo fu una vera scoperta, perché fino ad allora nulla mi aveva veramente interessato così tanto."
L'attore ricorda anche il momento in cui decise che avrebbe fatto l'attore e basta: "Fu grazie a Scorsese. Anzi Marty, come vuole che lo si chiami sul set. Sì io posso chiamarlo così, per voi è sempre Scorsese. (ride ndr). Mi chiamò per fare un provino per Al di là della vita e fu talmente convinto dalla mia performance che mi disse che ero un attore nato e che potevo scegliere qualsiasi ruolo preferissi. Da allora appesi le scarpette da ballo al chiodo e cambiai per sempre la mia carriera e la mia vita."
The Wire e Boardwalk Empire, più cult che mai
La sua carriera da attore era cominciata alla grande ma Williams non poteva certo immaginare che col suo primo vero ruolo importante sarebbe entrato addirittura nella storia della TV: "Quando sono arrivato a fare The Wire ero giovane ed ignorante, non avevo capito la portata di quello che stavo facendo e in realtà all'inizio nemmeno mi interessava. Pensavo a dire bene le mie battute, a fare bene il mio lavoro e basta. Ero pagato bene, non avevo mai visto tanti soldi in tutta la mia vita, ed ero felice. Con la seconda stagione la serie cambiò, vennero introdotti tanti nuovi personaggi e cambiò anche la location della serie e io mi arrabbiai con David Simon perché mi sembrava che stesse rovinando tutto, togliendo spazio ad attori di colore e alle loro storie."
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Fu solo con la terza stagione che Williams capì il valore reale di The Wire e chiese scusa al suo autore: "Sono cresciuto moltissimo grazie a quella serie, lui mi aveva detto di fidarmi, si era messo a ridere quando io mi ero sfogato, e capii ben presto perché. La serie non parlava solo di noi neri o dei ghetti o di Baltimora. La serie riusciva a raccontare l'intero paese. Per esempio non sapevo nulla dei porti e non mi ero mai chiesto come la droga arrivasse nelle nostre città. Solo guardando la seconda stagione di The Wire ho capito che quello che Simon stava facendo era molto più importante che raccontare una storia."
Williams torna a lavorare con Scorsese in Boardwalk Empire - L'impero del crimine, quindici anni dopo il suo primo film. "Marty è la creme de la creme, un genio vero e non riesco ad esprimere a parole l'ammirazione e la gratitudine che provo nei suoi confronti. Quando mi chiamò per la serie fui colpito dal fatto che il mio personaggio, Chalky White, si esprimesse come un boss quando negli anni '20 non c'erano boss di colore. Ma lui mi disse che invece dovevo interpretarlo proprio così e quindi - hey, me l'ha detto Marty! - mi sono sentito libero di fare quello che mi sembrava meglio."
Impegno e attivismo
Per finire l'attore ha parlato del suo attivismo politico e sociale: "Per me vuol dire essere adulti e capire che questa è la normale evoluzione umana. Io ho avuto tanto e ora voglio dare indietro quel che posso, voglio aiutare le nuove generazioni a trovare la loro strada. E se posso aiutarli con la mia esperienza e il mio successo perché non farlo? Mi sembra la cosa più naturale del mondo. Per questo abbiamo realizzato con la HBO questa nuova serie di documentari che si chiama Raised in the System e che racconta dell'enorme problema che abbiamo negli USA relativo al carcere e ai giovani. Con la privatizzazione delle carceri c'è sempre più interesse a rinchiudere adolescenti che hanno sbagliato e togliere loro ogni speranza di rimediare e correggere i loro errori. Sono adolescenti, spesso hanno subito traumi di ogni tipo, e dovrebbero essere aiutati non puniti e basta. Se li mandiamo in prigioni dove non possono imparare nulla è ovvio che una volta usciti di carcere continueranno a commettere gli stessi errori. Da persona che ha vissuto da vicino, attraverso amici e parenti, problemi del genere ci tenevo molto a contribuire in qualche modo alla discussione e quindi con l'aiuto dei miei produttori sono molto fiero di esserci riuscito."