In tutto quante volte ci siamo visti? Quante volte siamo stati insieme in vent'anni, quanto mi sono dovuto adattare alle tue paure?
Quando, il 9 dicembre 2005, Brokeback Mountain fa il suo debutto nelle sale americane, in cinque cinema degli Stati Uniti, l'attenzione nei confronti della pellicola di Ang Lee è già altissima: tre mesi prima il film era stato presentato trionfalmente alla Mostra del Cinema di Venezia, dove una giuria entusiasta gli aveva attribuito il Leone d'Oro, e da allora la pioggia di elogi non si era più fermata. Ma per la Focus Features, che lo ha prodotto e distribuito, Brokeback Mountain è una scommessa dall'esito tutt'altro che certo: al di là di critici e appassionati, un film del genere può riuscire a raggiungere un pubblico davvero ampio?
A distanza di quindici anni, la risposta è ovviamente scontata: I segreti di Brokeback Mountain è ormai entrato a pieno titolo nell'immaginario cinematografico, ha ricevuto tre premi Oscar, quattro Golden Globe e dozzine di altri premi, è considerato nel novero dei capolavori di inizio millennio e nel 2014 ha ispirato addirittura un'opera lirica. Eppure, la sua enorme fortuna 'popolare' è un elemento da non sottostimare; così come non va sottostimata l'importanza culturale di una pellicola che, forse più di qualunque altra, ha contribuito a dimostrare l'esistenza di un autentico e diffuso interesse verso una storia d'amore fra due uomini.
Gli amanti del Wyoming e il regista di Taiwan
Il progetto di Brokeback Mountain, del resto, era rimasto in un limbo per almeno cinque anni. La sceneggiatura scritta da Diana Ossana e dal grande romanziere Larry McMurtry sulla base dell'omonimo racconto di Annie Proulx, pubblicato sul New Yorker nel 1997, circola per diverso tempo alla Focus Features, passa fra le mani di Gus Van Sant (che però finirà per rinunciare) e alla fine arriva in quelle di Ang Lee. La storia di Ennis Del Mar e Jack Twist, due ragazzi ingaggiati nell'estate del 1963 come guardiani di un gregge da condurre al pascolo fra le montagne del Wyoming, a prima vista può apparire lontana dall'esperienza del regista, nato a Taiwan e formatosi fra l'Illinois e New York, ma al di là dell'ambientazione rurale offre invece numerose analogie con il resto della produzione di Lee.
A partire dal suo primo film a tematica omosessuale, Il banchetto di nozze del 1993 (l'opera che l'aveva fatto conoscere alle platee mondiali), gran parte del cinema di Ang Lee si era focalizzata proprio su questo aspetto: il conflitto fra pulsioni e aspirazioni individuali e le barriere imposte da un contesto familiare e sociale spesso percepito come limitante o perfino opprimente. È un leitmotiv che unisce Il banchetto di nozze, imperniato sulla dicotomia fra le secolari tradizioni di Taiwan e la libertà della vita newyorkese, a Ragione e sentimento, trasposizione di Jane Austen curata nel 1995 da Emma Thompson, in cui la cornice è la borghesia inglese del primo Ottocento; fino a La tigre e il dragone, il cult wuxia del 2000, le cui avventure di cappa e spada si intrecciano a una riflessione sui ruoli di genere nella Cina del diciottesimo secolo.
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Un mondo fuori dal tempo
Se in film quali Il banchetto di nozze e Tempesta di ghiaccio Ang Lee aveva illustrato la quotidianità familiare della middle class della East Coast, fra New York e il Connecticut, si era già immerso però anche nelle atmosfere del West americano nel 1999, con il suo affresco della Guerra di Secessione Cavalcando con il diavolo, affossato da un'accoglienza disastrosa al box office. Brokeback Mountain si apre nel 1963 e, dopo una prima parte circoscritta al luogo del titolo, si sviluppa nell'arco di vent'anni fra la provincia del Wyoming, l'area in cui è nato e cresciuto l'Ennis di Heath Ledger, e il Texas, dove il Jack interpretato da Jake Gyllenhaal mette su famiglia insieme a Laureen Newsome (Anne Hathaway). Quei due decenni, tuttavia, sembrano appartenere a una dimensione fuori dal tempo; come fuori del tempo è la realtà sociale dipinta nel film, impantanata in una sorta di perenne immobilità a cui neppure i due protagonisti sono in grado di sottrarsi.
Intorno a Ennis e Jack, del resto, cosa cambia fra il primo atto della storia e la sua conclusione? Pressoché nulla. Lee esclude dal racconto qualunque riferimento alla politica o alla cronaca, nonché alla cultura di massa; le camicie a quadri, i jeans e gli stivali da cowboy, così come l'abbigliamento tipico dei personaggi femminili, trascendono totalmente l'alternarsi delle mode; e le musiche del compositore argentino Gustavo Santaolalla, premiato con l'Oscar, scorrono nel solco di una classicità senza tempo, ricollegabile alle sonorità country che di tanto in tanto si affacciano dalle frequenze di una radio: King of the Road di Roger Miller, It's So Easy di Linda Ronstadt, il brano originale di Bernie Taupin A Love That Will Never Grow Old, cantato da Emmylou Harris, o l'incisione di Willie Nelson di He Was a Friend of Mine sui titoli di coda.
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La tragedia del rimpianto
È un tratto essenziale di Brokeback Mountain, volto a ribadire tanto l'universalità della vicenda di Ennis e Jack, quanto l'immenso ostacolo posto di fronte al loro rapporto: un mondo paralizzato, la cui l'immutabilità ci risulta ancora più dolorosa rispetto alle rigide tradizioni familiari de Il banchetto di nozze. Ed è Ennis in particolare, con il suo atteggiamento chiuso e diffidente, la prima vittima di tale immutabilità: dalla sua omofobia introiettata, fin dall'atroce flashback dell'infanzia al cospetto di un cadavere mutilato, al rifiuto di concepire un altro modello di vita, di credere anche solo per un minuto alla prospettiva di felicità che Jack si ostina ad offrirgli, per rifugiarsi invece in una spirale di conformismo e negazione. La tragedia di Ennis, espressa da Heath Ledger con una performance magnifica e quasi tutta in sottrazione, risiede nella sua intima debolezza, nell'incapacità di guardare oltre la realtà in cui ha sempre vissuto.
Il successo di Brokeback Mountain, pertanto, è sorprendente non solo in virtù della relazione omosessuale di Ennis e Jack, in un periodo in cui l'omosessualità trovava spazio nel circuito mainstream solo se declinata in chiave di commedia (Piume di struzzo di Mike Nichols) o di cinema di denuncia (Philadelphia di Jonathan Demme), ma anche per la natura stessa di una relazione che non percorre i sentieri canonici del melodramma, né adotta appieno le convenzioni della love story hollywoodiana. Il sentimento fra i due cowboy non attraverserà una fase di riscatto, un momento di rivendicazione orgogliosa a dispetto delle difficoltà; al contrario, il loro ultimo incontro è segnato dall'ennesimo rifiuto di Ennis alla prospettiva di una vita insieme e dalla rabbia impotente di Jack ("I wish I knew how to quit you", è la frase che sintetizza la sua rassegnazione).
Il coraggio del film, di Ang Lee e dei suoi sceneggiatori risiede pure in questo: una fedeltà al realismo che non cede mai a facili concessioni agli spettatori, che fa uscire di scena Jack con l'asciutta rapidità di un timbro su una cartolina, e in cui l'unica traccia di catarsi (ma è una vera catarsi?) consiste nella visita di Ennis ai genitori di Jack dopo la morte del figlio. Brokeback Mountain è in definitiva un sommesso, struggente dramma del rimpianto, suggellato come meglio non si potrebbe dall'immagine finale: due camicie appese sulla stessa stampella, accanto alla foto di un paradiso perduto.
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