In quel dell'Hotel de la Ville di Roma è andato in scena l'incontro stampa con protagonisti Luca Guadagnino e Timothée Chalamet, in questi giorni nella capitale insieme a Taylor Russell per la promozione di Bones and All, ultima fatica del cineasta siciliano e pellicola vincitrice del Leone d'argento per la miglior regia all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e in arrivo sale italiane dal 23 novembre per Vision Distribution.
Si tratta del primo film americano di Guadagnino e non poteva che essere un racconto di formazione, stavolta tratto dal complesso romanzo omonimo di Camille DeAngelis, adattato per il grande schermo da David Kajganich (sceneggiatore che ha già collaborato con il regista in A Bigger Splash e Suspiria). Complesso perché gioca ad intrecciare la struttura canonica del genere con quella di un road movie a forte tinte horror. Una storia che parla di isolamento, emarginazione, scontro generazionale, ma anche della scoperta di se stessi e della necessità di trovare amore e tenerezza, specialmente in un mondo ostile come quello in cui si muovono i protagonisti. O come ha la ha definito il regista stesso: "Una fiaba sulla solitudine dell'esistere e contemporaneamente su come spezzare questa solitudine attraverso l'essere guardati da un altro. Tra tutti i miei lavori quello che affronta in maniera più diretta la solitudine come può essere quella di una figura che si staglia nella vastità di un vuoto."
Volti, corpi e prove d'attore
Uno dei punti di forza di Bones and All sono i suoi personaggi, messi in scena da attori straordinari. Uno fra tutti molto atteso, in primis perché vecchia conoscenza di Luca Guadagnino: "Ho letto la sceneggiatura nel settembre del 2020. A pagina 45 appare il personaggio di Lee e a pagina 47 avevo capito che l'unico Lee possibile era Timothée. Tant'è che ho detto allo sceneggiatore 'se lo fa Timothée lo faccio anche io'." Un amore totalmente corrisposto dal giovane interprete newyokrese, che riconosce nel regista italiano un merito che va oltre la semplice felice collaborazione professionale: "Non sarei qui senza Luca. Senza di lui non sarei stato in grado di fare tutti i progetti che ho realizzato. Mi ha regalato una carriera, ha scommesso su di me. Per me è stato un mentore e continua a esserlo. Come dice lui: 'c'è una partnership tra di noi'. È un uomo fantastico, un amico e mi auguro che potremmo lavorare tanto assieme. È una figura molto importante nella mia vita ed è un vero artista. Mi piace che non ci sono grossi interessi dietro questo film, che non è né una saga né un franchise. È un film che esiste perché Luca gli ha voluto dare vita, sono queste le produzioni che ci servono."
Bones and All, la recensione: amore cannibale
A condividere la scena con Chalamet ci sono però altri due attori fautori di prove straordinarie. Una, quella della Russell, premiata dalla giuria del Lido anche con il Premio Mastroianni. Così si è espresso Guadagnino sul casting: "Quando ho visto Taylor in Waves sono rimasto completamente colpito dalla sua precisione interpretativa. L'ho conosciuta via Zoom e ho trovato una giovane donna che mi incuriosiva molto e con cui ho avuto il piacere e il desiderio di continuare a chiacchierare. E diciamo che il modo per farlo era fare un film insieme. Le ho offerto il ruolo senza che lei mi dovesse dimostrare nulla, non le ho chiesto di leggere una scena o di fare un provino, men che meno un test chemistry con Timothée. Taylor ha dato a questo film 100 volte in più delle mie più rosee aspettative. Mark Rylance lo vidi in Intimacy di Patrice Chéreau, rimanendo completamente travolto. Per me gli attori sono soggetti in grado di esporre ogni aspetto della natura umana, incluso quello più radicalmente nudo, in senso letterale e figurato, e vedere questo grande interprete farlo in quel modo mi ha sconvolto e ho sempre pensato a lui da allora. Devo dire che sono molto viziato perché l'intero cast di questo film è composto da attori superbi e molto generosi."
Romance e cannibalismo
Tra i motivi del fascino magnetico di Bones and All c'è senza dubbio il modo con cui riesce a trattare la tematica dell'emarginazione e a mischiarla con quella del film romantico nella sua forma più tenera, senza abbandonare il filtro horror. Un trittico di difficile coniugazione, ma il cui equilibrio è fondamentale. La domanda è: "Da dove cominciare?". Guadagnino pare non essersi neanche posto troppo il quesito: "Più che altro non pensando a un film come un horror, ma un film di personaggi che sono mossi da un comportamento che non possono interrompere perché nella loro natura e guardando a quei comportamenti nella maniera più oggettiva e non compiaciuta possibile. In generale comunque tutti i film dell'orrore sono film teneri alla fine, penso."
Chalamet ha invece individuato un punto di partenza più preciso: "Abbiamo trattato il film come una storia d'amore, concentrandoci su questi personaggi che sono isolati nel mezzo dell'America degli anni '80, durante il reaganismo. Un periodo in cui era stata disattesa la promessa fatta agli americani. Tante persone sono state lasciate indietro e ne vediamo ancora oggi le cicatrici. Questi giovani lottano per trovare se stessi, nonostante questa condizione di cannibali li separa ancora di più dalla società, rendendo questa storia d'amore ancora più potente. Probabilmente questa sensazione di isolamento è qualcosa che tutti i presenti hanno percepito durante il lockdown. Questi due personaggi lottano per capire chi sono e rappresentano le persone che si sentono di non appartenere a niente. Marchiati dal fatto che il mondo starebbe meglio senza di loro. Siamo in un'era in cui i giovani si sentono diversi. La minaccia esistenziale del riscaldamento globale, i governi nazionalisti che emergono qua e là, questa sorta di ritorno al passato e al pensiero autoritario, dove l'individualismo viene celebrato invece di essere condannato. Per loro l'individualismo non è una scelta perché la loro diversità viene vista come una minaccia mortale.".
Bones and All, Timothée Chalamet: "In questi anni abbiamo provato tutti un isolamento profondo"
Una minaccia mortale che li porta ad un continuo vagabondare, a non avere una fissa dimora, nonostante anche loro appartengano ad una comunità, per quanto sfilacciata. Una sorta di mutanti, diversi dagli uomini normali, che al contrario dei film Marvel non hanno un punto di ritrovo: "Loro non possono avere lo statuto un posto. Sono condannati ad un vagabondaggio ed una solitudine inesorabile. Il problema dei personaggi Marvel è che riproducono in una chiave pop - fantasmagorica le griglie interpretative del reale come date dal mainstream, quindi devono avere un luogo in cui raccogliersi, secondo delle regole che si sono dati. Sarebbe bello fare un X Men radicalmente vocato alla profonda differenza dei mutanti, anche se devo dire che l'ha fatto James Mangold con il suo bellissimo Logan.".
L'America su strada
In conferenza si è parlato molto dell'America, del road movie, e dell'approccio che un regista italiano poteva avere ad un continente, o meglio, ad una dimensione così diversa rispetto a quella dove si è formato al punto di rischiare di essere quasi incomprensibile.
Un aspetto dove molti cineasti hanno fallito, soprattutto perché hanno cercato un approccio che ha infine edulcorato il ritratto del luogo che erano chiamati a dipingere. Questo il pensiero di Luca Guadagnino sul suo modo di affrontare tale sfida: "La nostra missione era quella di cercare con tutte le forze di non essere sopra quei luoghi, ma accanto, vicino ad essi, alla loro stessa altezza. Una delle cose che ho sempre trovato fastidiose in un certo tipo di cinema è il mondo in cui i cineasti, specialmente gli europei che vanno in America, cercano di tradurre quella vastità e complessità attraverso una sorta di vernacolo grottesco che rassicura tutti noi rispetto alla nostra idea degli Americani.".