"Blackbird singing in the death of night. Take these broken wings and learn to fly. All your life, you were only waiting for this moment to arise". E Kate poteva davvero essere come il piccolo merlo cantato dai Beatles. Poteva prendere quella sua anima ferita, e alzarsi in punta di piedi, vivere il momento, togliersi quelle soddisfazioni attese da una vita e imparare di nuovo a volare, volteggiare, sul palco dell'esistenza. Eppure, come cercheremo di sottolineare nella nostra recensione di Birds of Paradise, qualcosa è andato storto. Un passo sbagliato, una piroetta incompleta e questo coming of age tinto di incubi e angoscia, non prende e non colpisce. Esibizione compiuta a metà, il film diretto da Sarah Adina Smith - e disponibile sulla piattaforma Prime Video dal 24 settembre 2021 - chiede la mano dello spettatore, gli fa pagare il biglietto promettendogli un viaggio nell'inferno personale di giovani sognatrici già colpite dalla vita, offrendogli in cambio un'opera che sa di dejà-vu, replica in sordina e depotenziata negli intenti (e nella resa spettacolare), di altri spettacoli già proposti con più coraggio, sui cartelloni della storia del cinema.
BIRDS OF PARADISE: VOLARE TRA INFERNO E PARADISO
Ha talento Kate Sanders (Diana Silvers). In ogni passo di danza che compie con eleganza e spirito di sacrificio, si nasconde la voglia di farcela, di ritagliarsi uno spazio del tutto proprio nel grande firmamento delle étoile. Un viaggio personale compiuto con la forza dell'ambizione che la porta, grazie a una borsa di studio, dalla Virginia a Parigi per frequentare una delle scuole di danza classica più prestigiose della capitale francese. Ma non è tutto oro quel che luccica, e la strada per il successo è lastricata da incontri misteriosi, come quello con la enigmatica compagna di corso Marine Durand (Kristine Froseth), e la gelida direttrice interpretata da Jaqueline Bassett, denominata "le Diable". Cuore pulsante di un'opera che si impone di raccontare l'evolversi di una discesa di un'ingenua ragazza in un mondo di tentazioni, è il rapporto con la sua nemesi e complice, Marine. Per quanto conflittuale possa essere la relazione tra le due all'inizio, questo si evolverà in un legame competitivo carico di emozioni e minacciato da bugie, risvegli sessuali e rivelazioni emozionanti.
LA DANZA DEGLI INCUBI
C'è qualcosa di magico e a tratti apotropaico nell'atto del danzare. Muoviamo le braccia, le gambe, quasi per scrollarci di dosso paure, timori, pensieri, che altrimenti rimarrebbero lì, ancorati sulla nostra pelle e incastonati tra le cellule del nostro cervello. Affidiamo alla danza il ruolo di contenitore e portatrice di sentimenti, emozioni, traumi tenuti altrimenti nascosti negli inframezzi di continui e perpetrati non detti. Un transfert emotivo che il cinema ha saputo ben cogliere e tradurre in immagini in movimento. Danzando i personaggi sullo schermo si innamorano, si tradiscono, si confessano, si annullano. Birds of Paradise non è però Anna Karenina, o I passi dell'amore. Vive di retaggi angosciosi, di significati inquietanti e umori fragili, portati sul palcoscenico da opere introspettive e psicologicamente destabilizzanti come Il cigno nero, Suspiria, o perfino Red Sparrow. Ma in questo patchwork di omaggi e collegamenti ipertestuali (gli stessi titoli di testa strizzano l'occhio a Sofia Coppola), il film diretto da Sarah Adina Smith compie un passo sbagliato, facendo crollare tutta quella struttura messa in piedi con solo apparente attenzione da una narrazione che unisce il genere Young Adult a quello del thriller psicologico.
Suspiria: la spiegazione del finale e dei misteri del film
L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DEL NON ESSERE
Guardiamo Birds of Paradise e seguiamo lo scorrere degli eventi come sprazzi di una vita che non vuole farsi prendere, cogliere, comprendere, immedesimare. Il montaggio gioca sull'intento di consegnare al proprio pubblico un'esistenza frastagliata, curiosa, ma incompresa, insicura, frammentata, capace di ritrovare un equilibrio solo nel momento in cui danza, e lo fa alternando inquadrature brevi e raccordate con rapidità, con altre più distese. Ciò che ne consegue è piuttosto un corollario di momenti poco raccordati dal punto di vista logico, suggeriti, ma mai indagati, ponendo maggior attenzione su intervalli danzati e dilatati in maniera ingiustificata dall'occhio della regista. Il passaggio dal conflitto tra le due protagoniste e la nascita di una complicità che le porterà nelle profondità dei propri inferni personali, avviene in maniera troppo rapida, e per questo irrealistica. Non viene fornito il tempo necessario di conoscere, inquadrare e stabilire un qualsiasi tipo di legame affettivo con le due ragazze, che già passiamo al momento successivo di questa involuzione personale travestita da evoluzione dei sentimenti. Come Kate il film non cresce, ma indietreggia. Danza, ma non coinvolge. Compie passi avanti nella linea temporale della propria esistenza, ma innumerevoli passi indietro in quelli dell'immedesimazione spettatoriale.
DANCING WITH THE DEVIL
Cè un principio di ribaltamento e contrasti dicotomici al centro di Birds of Paradise. Ce ne accorgiamo subito, dal momento in cui le due protagoniste fanno capolino sullo schermo e vengono affiancate l'una vicino all'altra. Ancor prima delle parole lanciate come fendenti pronti a colpire, o di braccia che colpiscono il corpo della rivale, sono i vestiti a suggerire al pubblico l'anima dicotomica di un film che partendo dal duale, si congiungerà in uno sguardo unico, per poi dividersi ancora. Completo bianco per Marine, tuta scura per Kate. Il cigno bianco nel corpo del nero, che incontra la sua perfetta nemesi. Eppure, come ci ha insegnato Darren Aronofsky, bastano dei passi di danza tinti di ambizione ed ecco che il cigno bianco potrà lasciar spazio alla sua natura più ombrosa, istintiva, alimentata da lasciti animaleschi di un'indole pronta a ritrovare la luce delle tenebre. La stessa ripresa frontale, che coglie in maniera perfettamente centrata i corpi in movimento dei protagonisti, stride con l'essenza più profonda di esistenze colte sul baratro del vivere. Marine e Kate, sono vite poste ai limiti della razionalità e della realtà, un cuore che batte "on the edge", alimentate dalla propria ambizione e lasciatesi sedurre dal lato più oscuro della ribellione giovanile. Ma se a uno strato più teorico questo arco di trasformazione poteva rivelarsi interessante e coinvolgente, offrendo una versione più adolescenziale a precedenti più macabri, nella pratica lo sviluppo di Birds of Paradise è frenato da gambe che non riescono a danzare come vorrebbero e stop imposti da una resa registica elementare che non riesce a prendere per mano il proprio pubblico e lanciarlo con la giusta forza nella spirale discendente delle proprie protagoniste. Ci prova la regista a restituire quel senso di angoscia, paura, insostenibile pesantezza del non essere attraverso grandangoli che distorcono un'interiorità che perde il proprio equilibrio, e primi piani capaci di comunicare un malessere che silente si fa spazio nell'anima di Kate. Ma tutto è frenato in potenza. Nel momento in cui la costruzione visiva raggiunge il proprio apice, ricongiungendosi con quella emotiva, tutto si trattiene, rimanendo in bilico senza la paura di lanciarsi. Ci suggerisce senza veramente spiegare il mostro che si insinua nelle ragazze, la Smith. Vediamo solo l'aspetto ribelle, fatto di club, droghe, ma senza percepire ciò che le anima dentro.
Let's dance: le 25 migliori scene di ballo del cinema (+1 bonus)
DANZARE FRENATI AI BLOCCHI DI PARTENZA
A depotenziare il tutto è anche la mancanza di un plot-twist sconvolgente, dalla carica angosciante e piena di terrore. La sceneggiatura si limita a svelare gli archetipi basici del materiale di partenza (sia letterario che cinematografico) senza dar vita a esseri umani pronti a uscire fuori dalla pagina e rendersi umani, uomini e donne capaci di simpatizzare a fondo (nel bene e nel male) con il proprio pubblico. "Greatness has a price" si afferma nel corso del film. E Birds of Paradise non è riuscito appieno a trovare quella giusta dose di coraggio con cui osare e vincere il proprio posto nella memoria dello spettatore. Il film si ferma ai posti di blocco di una sceneggiatura composta di apatiche frasi e emozioni sospirate, ma mai urlate.
LO SGUARDO DEL CIGNO NERO
È nelle mani e nello sguardo di Diana Silvers (già vista e apprezzata nell'ormai cult di Olivia Wilde, La rivincita delle sfigate e nella divertente serie Netflix Space Force) e di Kristine Froseth, che si scorge e percepisce il cuore che batte - seppur a fatica - di Birds of Paradise. Basta scrutare attentamente il mutare delle proprie espressioni nel corso dell'opera, lo sguardo di un cigno nero in quello bianco, per ritrovare l'essenza di un cambiamento personale e interiore che a parole non riesce a compiersi. Si muovono sullo schermo in punta di piedi, con eleganza, le due attrici, facendo rumore ma solo a livello empatico. Seppur in maniera embrionale, riescono a stabilire quel legame affettivo che unisce il mondo dentro allo schermo con quello che ne vive al di fuori. Eppure, un'ottima performance non basta a supplire una mancanza che blocca, come un muro invisibile, l'avvicinamento del pubblico tra i meandri di questo microuniverso.
Ballano i personaggi di Birds of Paradise, ma noi non balliamo con loro. Il che significa che, nella danza delle emozioni, noi siamo relegati allo spazio che ci è stato affidato sin dall'inizio: quello di spettatore passivo. Vuole essere sovversivo, impietoso, angosciante, rivoluzionario, con un occhio di riguardo alla rappresentazione femminile, Birds of Paradise. Un passo a due compiuto seguendo un percorso fatto di istinto feroce, e liberazione apotropaica, di rabbia giovanile e silenzi carichi di solitudine. Un incubo in scena illuminato dalle luci di una ribalta che però si spengono presto, lasciando solo il buio di un ricordo che presto svanirà.
Conclusioni
Concludiamo questa nostra recensione di Birds of Paradise sottolineando quanto il lascito precedente di opere di matrice angosciante poteva essere d'aiuto per questo coming of age tinto di onirismo e psicologia destabilizzante se solo si fosse osato di più. La danza è un materiale che se sfruttato a dovere può fornire significati nascosti davvero accattivanti. Tutto qua è lasciato invece in potenza.
Perché ci piace
- Le performance delle giovani attrici.
- La fotografia ombrosa.
- Parigi spenta e piena di angoscia.
- I rimandi a opere precedenti.
Cosa non va
- La regia elementare.
- La mancanza di coraggio nell'osare di più.
- Il non dare spazio alla comprensione dei personaggi.