Bernardo Bertolucci, il suo cinema attraverso tre città del cuore

A un anno dalla sua scomparsa, ricordiamo Bernardo Bertolucci attraverso i suoi tre luoghi del cuore al cinema: Parma, Roma, Parigi.

Bernardo Bertolucci
Bernardo Bertolucci

"Non si può mica vivere senza Rossellini" diceva un amico a Fabrizio in Prima della rivoluzione. E da quel 26 novembre del 2018 abbiamo capito quanto sia difficile vivere senza Bernardo Bertolucci. Sebbene la sua eredità cinematografica varchi i confini del tempo addentrandosi nell'immortalità, dopo 12 mesi, l'assenza del regista nato a Parma nel 1941 si fa sentire più forte che mai. Ed è proprio in ricordo di Bernardo Bertolucci che andiamo a scavare nel suo cinema, attraverso tre città, quei luoghi del cuore che hanno plasmato non solo la sua vita, ma anche la sua produzione filmica. Per chi affida i propri sogni, fobie, ricordi e incubi alla macchina da presa, anche l'ambiente attraversato, vissuto, conosciuto, diventa un contenitore di simboli e metafore. Un baule ricolmo di tesori mnemonici e capitoli di vita in cui inserire i propri personaggi, simulacri in carne e ossa delle proprie paure o passioni ora realizzabili. E la città sta lì, ferma ad assistere in religioso silenzio, alla lotta tra eros e thanatos.

Il cinema di Bernardo Bertolucci è una galleria onirica di sogni e incubi, di giovani ribelli che corrono sull'onda della passione, o di una rivoluzione interiore scaturita dall'incapacità di rientrare dentro facili conformismi. Una commistione di quadri urbani che il regista affida a quei mondi che conosce bene, perché lì vi è nato, cresciuto, o verso cui si sente attratto. In una carriera da sempre giocata su una perfetta osmosi tra arte e vita, tre città hanno segnato più di tutte l'itinerario privato e professionale dell'universo bertolucciano. Sono Parma, Roma e Parigi, costrutti urbani che influenzano e vengono influenzati dalla loro rappresentazione cinematografica, e che oggi si fanno custodi eterni del linguaggio di Bernardo Bertolucci.

Bernardo Bertolucci: quando il cinema è sogno, desiderio, rivoluzione

PARMA

Novecento
Novecento

Parma, "piccola Parigi" emiliana, crocevia di tradizione contadina e di testimonianze artistiche, nobile e rurale: non c'era città migliore in Italia per dare i natali a un regista come Bernardo Bertolucci. Città di arte e di cinema di paese (che il giovane Bertolucci ha imparato ben presto a frequentare), delle continue lotte di classe tra signori e sindacati, di diatribe famigliari e di riscatti, le diverse anime cittadine rivivono nei film di Bertolucci, la cui produzione si è sempre avvalorata della poesia del padre Attilio che per anni ha mitizzato Parma come un ambiente bourgeois, dalle architetture eleganti, maestose e piene di fiori. Bertolucci, dopotutto, era anche questo; un uomo fattosi cantore della propria provincia, di quella Parma così rivoluzionaria che lascia insinuare tra le bandiere del Partito Comunista di Prima della rivoluzione, il potere di una borghesia nutrita di così tante false promesse da scoppiare in La tragedia di un uomo ridicolo. Una dicotomia costante, un corpo a corpo tra rivoluzione e potere, che nasce, cresce e riempie di stupore gli occhi degli spettatori con quel Novecento capace di raccontare la vita di umili mezzadri come un kolossal hollywoodiano.

Prima Della Rivoluzione
Prima della rivoluzione

In queste tre opere - a cui si aggiunge La Luna del 1979 - si riflette, enfatizzata, la duplice anima che investe la città emiliana, perpetuamente in bilico tra le campagne coltivate e l'elegante centro cittadino. Il tutto ammantato da una teatralità della vita che rende i personaggi immortalati da Bertolucci dei perfetti attori dell'esistenza, mentre la città si trasforma in faro illuminante su epopee storiche, dubbi amletici, o tragedie famigliari. Se a fare da sfondo alla rivoluzione mancata di Fabrizio in Prima della Rivoluzione è il centro città con il Duomo, il Battistero di San Giovanni, il Teatro Regio, il Parco Ducale e la camera ottica di Sanvitale, ne La tragedia di un uomo ridicolo fa la propria apparizione la campagna parmense, la stessa su cui si erge la fattoria di Roncole Verdi (Busseto) e nella quale nascono e crescono Alfredo (Robert De Niro) e Olmo (Gérard Depardieu) in Novecento. La campagna parmense è, in quest'ultimo caso, un involucro che incapsula quadri dal sapore pastorale con primi piani appassionati e violenti in uno stile quasi documentaristico. Rurale e poetica, con Novecento Parma è dipinta sullo schermo come città-teatro delle arti, contenitore di sogni e incubi, rivoluzioni e oppressioni, borghesia e quarto stato.

ROMA

Stefania Sandrelli ne Il conformista di Bertolucci
Stefania Sandrelli ne Il conformista di Bertolucci

Trasferirsi a Roma negli anni Cinquanta è stato per Bertolucci un po' come andare in "esilio". Un viaggio che lo ha portato lontano da Parma, lontano, cioè, da quella campagna fatta di contadini che gli hanno insegnato tutto. La città eterna diviene per il regista un mondo in cui rifugiarsi e in cui restare, anche perché l'idea di far ritorno tra quelle campagne emiliane che gli hanno dato i natali e da cui sarebbe stato difficile separarsi nuovamente, era un'idea troppo difficile da accettare. Sarà dunque a Roma, nella culla del cinema italiano, che inizia - e finirà - l'avventura di Bernardo Bertolucci al servizio della Settima Arte. Grazie al produttore Tonino Cervi, nel 1962 tra i quartieri dell'EUR e San Paolo, Bertolucci realizza La commare secca su soggetto e sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini (per cui rivestì l'anno precedente il ruolo di assistente alla regia per Accattone). Cinquant'anni dopo quell'esordio dalla poetica pasoliniana, Bertolucci gira Io e te, trasposizione del celebre romanzo di Niccolò Ammaniti con protagonisti Tea Falco, Sofia Bergamasco e Jacopo Olmo Antinori.

Bernardo Bertolucci sul set di Io e te con Jacopo Olmo Antinori
Bernardo Bertolucci sul set di Io e te con Jacopo Olmo Antinori

Villa Sara, il centro sperimentale di Cinematografia, Via Nazionale e il Foro di Traiano diventano invece le tappe di un itinerario disturbante e di sdoppiamento della personalità in Partner (1968). Il film si fa galleria di tasselli frammentati che coinvolgono ogni aspetto dell'opera, dai titoli di testa agli elementi visivi e sonori, fomentando una scomposizione schizofrenica su una realtà che quotidianamente deve confrontarsi con la finzione nata, non a caso, in seno ad ambienti tipici della borghesia romana e tra le mura di edifici accademici e teatrali. Ma a Roma è ambientato anche quello che per molti è considerato uno dei punti massimi raggiunti dal cinema di Bertolucci: Il conformista. Unione perfetta tra la spettacolarizzazione del cinema popolare americano, e quello più colto, autoriale, di cinema moderno, Il conformista esce nelle sale nel 1970. Intreccio erotico e politico, la crisi esistenziale che prova Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant) si sviluppa non a caso tra le due città che più caratterizzano in quel momento la persona di Bertolucci: Roma, città adottiva e le cui strade e palazzi si imposero trent'anni e più prima come simboli urbanistici del Regime Fascista (la cui fede vacillante di Clerici è la chiave di (s)volta di tutta la vicenda), e l'amata Parigi dove il turbamento sessuale potrà esplodere nei film lì completamente ambientati, come Ultimo Tango a Parigi e The Dreamers. Dal quartiere dell'EUR, (nato dal progetto "E42" voluto da Benito Mussolini per celebrare i vent'anni della marcia su Roma in previsione dell'Esposizione Universale nell'anno 1942), a Villa Celimontana, passando per la casa di Giulia (Stefania Sandrelli) in Via del Tempio e Villa Miani in via Trionfale, il cammino di Marcello Clerici è un percorso a tappe tra le bellezze di Roma, a volte tenute fin troppo nascoste.

Il Conformista
Il conformista

Bernardo Bertolucci: cinema e politica tra Marlon Brando e Godard

PARIGI

Michael Pitt con Eva Green e Louis Garrel in una scena di The Dreamers
Michael Pitt con Eva Green e Louis Garrel in una scena di The Dreamers

Parigi: quante volte Bertolucci l'ha vista comparire sullo schermo? Una città, quella francese, che il regista sente subito sua, e a cui si sente magicamente legato, duplicando quell'attaccamento che la sua stessa città natale con ammirazione rivendica nelle vesti di sua diretta e ideale discendente. Lungo i suoi viali caotici, le sue strade strette, i ponti e le sale dei musei, Bertolucci assiste all'incontro tra Michel (Jean-Paul Belmondo) e Patricia (Jean Seberg) in Fino all'ultimo respiro e alle corse dei protagonisti di Jules e Jim. Come i personaggi di Godard, di Truffaut e della Nouvelle Vague, anche i protagonisti di Bertolucci corrono. Corrono per scappare da un mondo a cui non vogliono appartenere, da una società che si fa specchio riflettente di una visione che non riconoscono e che vogliono - inutilmente - ribaltare. Tra Parma e Parigi vige dunque un legame stretto, vantato dai cittadini della provincia emiliana e che lo stesso Bertolucci fa proprio.

Chissà, forse è per questo legame storico con la Francia da cui la città discende (discendenza rimarcata da quelle "R mosce" che tanto caratterizzano l'accento degli abitanti di Parma) se Bertolucci ha da sempre stretto un legame profondo con Parigi e con il cinema lì prodotto, arrivando poi a girarvi ben due film, Ultimo tango a Parigi e The dreamers - I sognatori. The dreamers - I sognatori è un itinerario della memoria, personale e cinefila, del proprio regista, un racconto di quell'utopia caratterizzante un momento unico e irripetibile come la giovinezza, inframmezzata da segmenti storici di quegli incendiari sogni rivoluzionari nati in seno alla generazione del '68. I tre protagonisti (Matthew, Theo e Isabelle, interpretati rispettivamente da Michael Pitt, Louis Garrell ed Eva Green) si fanno custodi di ricordi e repressioni di un regista nato in ambiente borghese, ma attirato da una spinta rivoluzionaria di matrice comunista, e sempre cullato dal sogno a occhi aperti di obiettivi cinematografici e pulsioni erotiche. E nell'universo bertolucciniano, l'eros trova la chiave per liberarsi dalla propria prigionia fatta di ipocrisia e perbenismo proprio nella capitale francese. Il terreno da dove è germogliata la rivoluzione del 1789, diventa campo fertile per altre rivoluzioni, sessantottine e sessuali. Parigi diventa la culla di quella claustrofilia che caratterizza entrambi i film qui girati, Ultimo Tango a Parigi e The Dreamers, anticipando anche profeticamente la sua ultima pellicola, la già citata Io e te.

Maria Schneider accanto a Marlon Brando nel cult Ultimo tango a Parigi di Berbardo Bertolucci
Maria Schneider accanto a Marlon Brando nel cult Ultimo tango a Parigi di Berbardo Bertolucci

Se l'arte in tutte le sue forme (cinematografica e pittorica) vanno a braccetto con l'eros sfrenato e disinibito di The Dreamers, il rumore della città viene isolato tra le quattro mura di un appartamento in Ultimo tango a Parigi. E così, come affermato nel nostro articolo dedicato alle curiosità di Ultimo Tango a Parigi, il Ponte Bir-Hakeim di inizio film, l'appartamento in Rue Jules Verne (che nella realtà si trova in Rue de l'Alboni) il Canal Saint- Martin e la Salle Wagram si chiudono su se stessi per isolare i due protagonisti nel buio dell'appartamento. Attori su un set fatto di vetrate che rifrangono i propri frammenti corporali, i due amanti privati del loro nome in questo nuovo teatro domestico della vita, vivono una nuova identità teatrale, là a pochi passi dal Théâtre des Champs-Élysées.

Ultimo tango a Parigi, Marlon Brando in una scena
Ultimo tango a Parigi, Marlon Brando in una scena

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