Inizio spumeggiante per il team di L'isola dei cani, nuova incursione di Wes Anderson nel mondo dell'animazione stop motion. La Berlinale ha scelto di scommettere sul regista texano e sul suo supercast di doppiatori, in gran parte composto dalla sua famiglia cinematografica, ponendo per la prima volta in apertura un film d'animazione. Il mood lo intuiamo fin dalla presentazione delle star durante la conferenza d'apertura. Al nome di Bob Balaban parte un coro sulle note di Barbara Ann, appositamente modificata per l'occasione, guidato da Bryan Cranston, Bill Murray, Jeff Goldblum e dallo stesso Wes Anderson, più rilassato e divertito del solito. Al clan, composto anche da Greta Gerwig, si aggiunge Tilda Swinton la quale commenta: "La prima volta sono arrivata al festival di Berlino lo scorso secolo con un film di Derek Jarman. Ho partecipato al festival in tutte le vesti tranne donna delle pulizie. Magari l'anno prossimo".
Ironico e pungente, L'isola dei cani racconta la storia di un ragazzino giapponese che sfida le autorità per raggiungere un'isola della spazzatura e rintracciare Spots, l'amato cane sottrattogli al governo ed esiliato a causa di una malattia che colpisce tutti i cani mettendoli al bando. Ma come è nata una storia così eccentrica? "Parlando di come nascono le sue opere, Tom Stoppard ha dichiarato 'Quando hai due diverse idee da mescolare insieme, in modo da creare una collisione, hai qualcosa su cui lavorare'. Jason Schwartzman e Roman Coppola (i produttori del film, ndr) avevano un'idea per una storia incentrata su un gruppo di cani abbandonati nella spazzatura. Inoltre da anni parlavamo di fare qualcosa in Giappone o sul Giappone per condividere il nostro amore per il cinema orientale, soprattutto per Kurosawa. Naturalmente la nostra è una versione fantastica del Giappone".
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Divertissement o metafora politica?
Per le sue pellicole corali, Wes Anderson continua a scommettere su un team di divi ben amalgamato che lo accompagna fin dall'inizio della sua carriera. "Molti degli attori sono persone con cui ho già lavorato o con cui avrei voluto lavorare da anni. Le voci che sentite sono state la mia prima scelta. Il trucco è che con i film d'animazione non puoi dire 'Non posso, ho un altro impegno'. Lo possiamo fare in ogni momento, anche a casa degli attori, non ci sono scuse". Bill Murray conferma e confessa: "Ho provato a sottrarmi, ma non ci sono riuscito. Essere una voce in questo gruppo è un po' come cantare nel video di We are the World. Sei felice di esserci anche se canti un solo verso".
Dietro lo humor composto di Wes Anderson si nasconde una satira più o meno velata che ha spinto la critica a chiedersi se L'isola dei cani sia il film più politico dell'autore texano, ma la sua risposta è evasiva. "All'inizio del processo abbiamo capito che dovevamo inventare la politica di questa città immaginaria. E' frutto della nostra fantasia, ma poi il mondo ha iniziato a cambiare. Nel mondo esistono posti simili a quello che vediamo da cui tratto ispirazione, ma potrebbe succedere ovunque. All'inizio avevamo pensato a un'ambientazione futuristica, ma con un look anni '70. Poi abbiamo rinunciato e potete capire il perché". Quando gli viene chiesto perché ha scelto i cani come specchio della società, lui ammette candidamente: "Non abbiamo pensato a questo, i cani erano la base della nostra idea. Abbiamo cercato di capire dove l'idea ci avrebbe portati. La metafora nasce in seguito unendo gli ingredienti". Il cineasta ammette che la vera sfida, per lui, è stata un'altra: "Ci premeva soprattutto avere una buona sceneggiatura. E poi non volevo che i pupazzi sorridessero. Questo può essere un problema, se è importante per la scena, ma abbiamo trovato le giuste soluzioni".
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Di cani, silenzi e animazione
Colto e cinefilo, per L'isola dei cani Wes Anderson ha unito la propria fantasia a un lavoro di ricerca sull'iconografia orientale. Il regista ammette di aver avuto come modelli per la sua pellicola Kurosawa e Miyazaki. "Sono affascinato dall'animazione orientale, dai dettagli e silenzi. Da Miyazaki abbiamo preso il concetto di natura violata e il ritmo, che è molto diverso da quello dell'animazione americana. Abbiamo trovato molti momenti in cui dare spazio alla musica perché volevo che il film fosse silenzioso". Parlando di film sui cani, Wes cita altre due opere che lo hanno influenzato in qualche modo, The Plague Dogs, cupo film britannico, e un classico come La carica dei 101, "il mio film Disney preferito".
Bob Balaban e Bryan Cranston, già colleghi in Seinfeld e ora in L'isola dei cani, si concedono un altro siparietto comico evidenziando le somiglianze tra l'iconica serie tv e il film di Anderson. Balaban esclama "Se ricordo bene in Seinfeld non ci sono cani". Cranston aggiunge: "Una somiglianza c'è. Entrambi i progetti hanno una grande sceneggiatura e noi attori siamo attratti dalle grandi storie. Per questo è stato facile accettare la proposta di Wes". Prima di accomiatarsi, il team confessa il suo rapporto con i cani, ma a scatenare l'ilarità è ancora una volta Bill murray che regala l'ennesima freddura: "Io ho un cane di nome Timmy Murray, sopravvissuto a un attacco di coyote". Quando Anderson, stupito, sgrana gli occhi e gli chiede: "E tu cosa hai fatto durante l'attacco?" lui risponde placido "Sono rimasto a guardare senza fare niente".