La perdita della madre a 14 anni, il poker a cui aveva imparato a giocare nei circoletti più malfamati di Sassari, la sua terra Natale, un corpo "scomposto" che raccontava un profondo "senso di inadeguatezza, la fatica e il peso della responsabilità verso gli altri" e l'ostinata ambizione (o illusione?) di una via italiana al comunismo, il sogno di unire tutte le forze popolari del paese per portare avanti un grande progetto riformista che nel compromesso storico con la Democrazia Cristiana aveva trovato (forse) la strada maestra. È l'Enrico Berlinguer ritratto da Andrea Segre nel suo Berlinguer. La grande ambizione, il film che apre la Festa del Cinema di Roma per arrivare in sala il prossimo 31 ottobre. Nel quarantennale della morte che lo avrebbe colto a 62 anni durante un comizio a Padova, lo storico segretario del Partito Comunista italiano rivive attraverso la gigantesca prova di Elio Germano in un film rigorosamente in bilico tra materiale di repertorio e finzione.
Un ritratto umano e politico
Berlinguer. La grande ambizione è una creatura ibrida: è un ritratto politico e umano e nello stesso tempo una ricostruzione storica accuratissima dei fatti dell'epoca. Non un biopic nel senso più classico e tradizionale del termine, ma il racconto "filologicamente preciso", come lo definisce lo stesso Segre, dei momenti cruciali della sua storia e di quel pezzo di paese, un terzo degli italiani, che negli anni '70 furono parte di quell'ambizione (di un socialismo nella democrazia) e del più importante partito comunista del mondo occidentale, con oltre un milione settecentomila iscritti e più di dodici milioni di elettori.
Il periodo è quello compreso tra l'attentato di Sofia, ad opera dei servizi bulgari nel 1973 al quale Berlinguer ebbe la fortuna di sfuggire, e l'uccisione nel 1978 del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro: in mezzo ci sono le campagne elettorali, i viaggi a Mosca, il no a Leonid Breznev dalla tribuna del XXV Congresso del Partito Comunista dell'Urss nel 1977, le copertine dei giornali di tutto il mondo e il tentativo di trovare una strada indipendente dal Cremlino. Cinque anni di strappi e profonde trasformazioni in un mondo diviso in due, durante i quali Berlinguer e il PCI cercarono di andare al governo, aprendo a una stagione di dialogo con la Democrazia Cristiana e arrivando a un passo dal cambiare il corso della storia.
Ci sono voluti anni di ricerche e lavoro sugli archivi, di interviste alla famiglia e ai compagni di partito, un montaggio meticoloso e una cura maniacale nella scelta del repertorio tra migliaia di lettere, discorsi e interventi prima di poter restituire un film granitico con cui Segre colma un vuoto, visto che il cinema di finzione fino a oggi non lo aveva mai raccontato. Un lungometraggio nel complesso riuscito, anche se in alcuni momenti paga lo scotto di rimanere in superficie, soprattutto quando si tratta di caratterizzare e mettere in scena tutta la corte dei personaggi che ruotano attorno al protagonista.
La prova di Elio Germano in Berlinguer. La grande ambizione
Berlinguer. La grande ambizione non è solo il racconto di un uomo e della sua missione politica, ma è anche e soprattutto riappropriazione della memoria collettiva, di un modo "antico" di agire e fare politica: avere pazienza, saper aspettare e ascoltare l'altro, a volte saper anche restare in silenzio. È la più grande lezione che il Berlinguer di Segre possa lasciare allo spettatore, con la complicità del suo interprete Elio Germano, che ancora una volta si dimostra all'altezza del ruolo che gli viene affidato: Berlinguer che fa i suoi quotidiani esercizi di ginnastica, incontra operai e militanti, fuma l'ennesima sigaretta, si aggira pensoso tra le stanze del potere, chiacchiera con i figli e scherza con la moglie Letizia.
Gli bastano poche espressioni o impercettibili movimenti del corpo per vincere la sfida più grande, quella di non cadere in una rappresentazione macchiettistica del personaggio. Insieme a un parterre di comprimari altrettanto in parte, riesce a restituire una certa vocazione alla "pazienza illimitata, ma non passiva e inerte", insieme al sapore di un'epoca, le tragedie e i sussulti di un popolo sconquassato dagli eventi, ma ancora capace di sognare, lottare e appassionarsi. Una grande lezione sull'oggi.
Conclusioni
Con Berlinguer. La grande ambizione Andrea Segre dimostra ancora una volta di essere un grande narratore dell’umano. In questo caso, con una precisione filologica e un lavoro straordinario sul materiale d’archivio, restituisce un ritratto di Enrico Berlinguer come mai nessuno aveva fatto prima d’ora; fino a oggi infatti il cinema di finzione si era ben guardato dal raccontare la figura del segretario del partito comunista italiano. Segre riesce a colmare questo gap e punta tutto su Elio Germanio, artefice di un’interpretazione composta, che passa attraverso il corpo, la gestualità contenuta, i silenzi e le poche misurate espressioni del volto.
Perché ci piace
- Il lavoro di Segre sul materiale di archivio, che rivitalizza lo spazio della finzione.
- Un film che cammina costantemente sul confine tra ritratto umano e accurata ricostruzione storica.
- Un’operazione di riappropriazione della memoria collettiva.
Cosa non va
- Il racconto rischia di restare troppo in superficie quando si tratta di caratterizzare il corollario di personaggi secondari.