Fenomeno in grado di coniugare apprezzamento della critica e consenso popolare o piuttosto ultimo esempio di isteria collettiva, soprattutto fra spettatrici adoranti e in visibilio? Comunque la si voglia considerare, la parabola ascendente di Benedict Cumberbatch, londinese di Hammersmith, classe 1976, è a dir poco sorprendente: se fino a qualche anno fa Mister Cumberbatch era un nome pressoché sconosciuto al grande pubblico, se non fra gli appassionati di teatro, oggi il talentuoso Benedict è, senza mezzi termini, l'attore britannico più amato del pianeta (o, quantomeno, condivide il titolo con il collega Tom Hiddleston).
Un successo, quello di Benedict Cumberbatch, esploso indubbiamente grazie a Sherlock, la serie TV che dal 2010 lo vede protagonista nel ruolo del celeberrimo detective di Baker Street, un'icona intramontabile della cultura inglese. Molto alto (un metro e ottantatré), occhi di un insolito color verde-azzurro (effetto della cosiddetta eterocromia), voce profonda e baritonale, viso allungato e dai tratti quasi androgini... Cumberbatch, a guardarlo bene, non avrebbe le physique du rôle del tipico sex symbol, o perlomeno non nella misura di altri divi rubacuori provenienti dalla terra di Albione, come Jude Law o Ewan McGregor.
Eppure, il fascinoso Benedict ha saputo sfoderare un carisma che, dal 2010 ad oggi, lo ha reso una star di prima grandezza, anche in virtù di un volto particolarissimo, che potrebbe ricordare per certi versi quello dell'irlandese Cillian Murphy, pur senza possedere la stessa bellezza efebica. Tuttavia, se finora la carriera cinematografica di Cumberbatch era stata limitata a piccoli ruoli o a personaggi secondari, quest'autunno la situazione è cambiata radicalmente: l'attore, infatti, sta raccogliendo lodi ed applausi all'unanimità grazie alla sua intensa performance in uno dei film più acclamati della stagione...
The Imitation Game: genio tormentato in odore di Oscar
Proposto inizialmente dalla Warner Bros a Leonardo DiCaprio, che però ha rifiutato il ruolo, The Imitation Game, diretto dal regista norvegese Morten Tyldum su un copione di Graham Moore, racconta la vicenda di una figura chiave della storia britannica del ventesimo secolo: Alan Turing, brillante matematico e criptoanalista, nonché uno fra i "padri fondatori" dell'informatica, il quale, durante la Seconda Guerra Mondiale, fornì un contributo imprescindibile alla decifrazione del famigerato codice Enigma, ovvero il codice segreto utilizzato dalle forze dell'Asse per le proprie comunicazioni. Turing, a capo di un team di logici e matematici selezionati dalle massime autorità della Gran Bretagna, si adoperò infatti a studiare il codice Enigma, fino a riuscire nell'impresa disperata di sviscerarne il funzionamento, ponendo pertanto gli Alleati in condizione di conoscere le strategie del nemico. Una vicenda incredibilmente suggestiva e di notevole rilevanza storica, dunque, messa in scena nel film di Tyldum con un sapiente equilibrio fra suspense e approfondimento psicologico, ma alla quale si sovrappone anche un ulteriore piano narrativo: quello relativo alle persecuzioni giudiziarie contro Alan Turing a partire dal 1952, quando l'uomo cui spettava buona parte del merito per la vittoria nel conflitto mondiale fu posto sotto accusa per aver avuto rapporti omosessuali (ritenuti illeciti dalla legge britannica dell'epoca) e costretto a un doloroso calvario personale.
Cumberbatch, che fornisce al suo Alan Turing un'efficace mistura fra intensità ed apparente freddezza, regala una prova di grande valore, che gli è valsa la nomination al Golden Globe e per la quale ha già prenotato una candidatura all'Oscar come miglior attore. Spalleggiato da un potente distributore quale la Weinstein Company, The Imitation Game ha trionfato al Toronto International Film Festival, aggiudicandosi il People's Choice Award, ha ricevuto cinque nomination ai Golden Globe, fra cui miglior film drammatico e miglior attrice supporter per Keira Knightley nei panni di Joan Clarke, preziosa collega di Turing, nonché sua fidanzata di copertura, e sta ottenendo un ottimo responso da parte del pubblico: tredici milioni di sterline incassate in patria, con due milioni e mezzo di spettatori, e diciotto milioni di dollari negli Stati Uniti, dove sta registrando una strepitosa media per sala. In attesa di vedere The Imitation Game anche in Italia, dal 1° gennaio grazie a Videa, ripercorriamo alcune fasi salienti nella carriera del suo interprete, cercando di capire perché il protagonista del film non è poi così lontano dal personaggio più famoso di Cumberbatch, il leggendario Sherlock Holmes.
Il "lato oscuro" di un atipico sex symbol
Per tentare di inquadrare con precisione il "fenomeno Cumberbatch" occorre fare un passo indietro, e per la precisione a circa sette/otto anni fa, quando il nostro Benedict non aveva ancora goduto del bagno di popolarità derivante da Sherlock. Dotato di una solida formazione teatrale e di un'ampia esperienza sui palcoscenici inglesi, dopo aver superato i trent'anni Benedict inizia a dedicarsi anche al cinema, ma i suoi primi - piccoli - ruoli tutto sembrano promettere fuorché un futuro da sex symbol: ne Il quiz dell'amore di Tom Vaughan (2006), trasposizione del romanzo di David Nicholls Le domande di Brian, è il saccente Patrick Watts, capo della squadra di studenti di cui è membro anche il ben più simpatico Brian Jackson (James McAvoy); nel pluripremiato Espiazione di Joe Wright (2007), adattamento del capolavoro di Ian McEwan, gli viene addirittura affidata la parte del subdolo Paul Marshall, il pedofilo che commetterà un abuso del quale verrà accusato invece il giovane Robbie Turner (ancora McAvoy).
Per Cumberbatch, insomma, si profila il rischio di un typecasting in ruoli sgradevoli e tutt'altro che simpatetici, proprio a causa di questo suo contegno distaccato ed un po' altezzoso. Non che, nel frattempo, Benedict non dia comunque prova della sua versatilità: nel 2004, ad esempio, riceve la sua prima nomination ai BAFTA Award per aver impersonato lo scienziato Stephen Hawking, paralizzato a causa di una malattia neurologica, nel TV movie della BBC Hawking (per ironia della sorte, lo stesso ruolo interpretato quest'anno ne La teoria del tutto da Eddie Redmayne, uno dei principali rivali di Cumberbatch nella corsa all'Oscar). Eppure, anche dopo la consacrazione con Sherlock, l'attore londinese continuerà ad ispirare registi e direttori di casting proprio per la sua abilità nel calarsi in personaggi controversi o perfino inquietanti, talvolta dei veri e propri villain: è il caso dello spietato Khan, il super-antagonista del Capitano Kirk e di Spock, in Into Darkness - Star Trek di J.J. Abrams (2013), secondo capitolo del reboot della storica saga di fantascienza; o della trilogia de Lo Hobbit, nuovo cimento del regista Peter Jackson con la narrativa fantasy di John Ronald Reuel Tolkien, con Cumberbatch ingaggiato per prestare la propria voce sia al famelico drago Smaug, sia al misterioso Negromante, dietro cui si cela l'Oscuro Signore Sauron, emblema del Male assoluto.
Il nuovo volto di Sherlock Holmes
Come dicevamo, è Sherlock che, nel 2010, segna il passaggio di Benedict Cumberbatch da attore valido ma ancora non troppo conosciuto a star di prima grandezza, trasformandolo in uno degli idoli indiscussi del piccolo schermo. Ispirato ai romanzi di Arthur Conan Doyle e al mitico personaggio del detective di Baker Street, ricollocando però le sue indagini nella Londra contemporanea, il serial creato da Mark Gatiss e Steven Moffat, pur senza eccellere sul piano dell'innovazione narrativa o della poetica di fondo, si conquista comunque uno status di culto immediato, raccogliendo milioni di fan in tutto il mondo. E la principale ragione di tale successo, oltre al ritmo vivace ed accattivante delle tre stagioni della serie, risiede non a caso nei suoi due protagonisti: il volenteroso dottor John Watson di Martin Freeman e, per l'appunto, il consulente investigativo Sherlock Holmes, con lungo cappotto scuro, sciarpa blu e sguardo costantemente sospeso fra un'accigliata misantropia ed uno sferzante sarcasmo. Un eroe, per farla breve, che a prima vista di certo non primeggia per empatia, ma che è riuscito ugualmente a guadagnarsi l'affetto del pubblico come pochissimi altri "paladini" nel panorama delle serie TV.
Nuovo oggetto di adorazione di massa, nonostante rifugga l'immagine del tipico sex symbol e non offra certo molto materiale alle cronache scandalistiche, a Benedict bastano pochi anni - e una manciata di episodi di Sherlock - per scalare le classifiche dei nomi più popolari del web e non solo; grazie alle sue performance nella serie della BBC si aggiudica l'Emmy Award (l'estate scorsa, per l'episodio L'ultimo giuramento) e una nomination al Golden Globe. Al cinema, nel frattempo, viene scritturato per un ruolo secondario nel kolossal bellico War Horse di Steven Spielberg (2011) e, nello stesso anno di Into Darkness, compare anche nel dramma premio Oscar 12 anni schiavo di Steve McQueen e nell'ampio cast de I segreti di Osage County, dramedy familiare diretto da John Wells dalla pièce teatrale di Tracy Letts, oltre a vestire i panni di Julian Assange (con tanto di capigliatura platinata) ne Il quinto potere di Bill Condon, cronaca dello scandalo WikiLeaks, che si rivela però un sonoro fiasco. Non stupisce, tuttavia, che fra i suoi personaggi cinematografici il più convincente sia Peter Guillam, agente dell'MI6 e braccio destro di George Smiley (Gary Oldman), ne La talpa (2011), trasposizione diretta da Tomas Alfredson dell'omonimo romanzo di John le Carré. Un ruolo, quello di Guillam, che già prelude ad alcuni aspetti della figura di Alan Turing, mettendo in evidenza il punto di forza di un attore come Cumberbatch: la capacità di immedesimarsi in individui compassati ed enigmatici, quasi freddi, che dietro un atteggiamento impassibile nascondono i loro silenziosi tormenti (anche Guillam, come Turing, è un omosessuale non dichiarato costretto a celare la propria vita privata).
Sherlock e Alan Turing: due eroi tragici dei nostri tempi
E ritorniamo quindi all'origine del nostro discorso: vale a dire, sintetizzando in una singola frase, perché Benedict Cumberbatch è il sex symbol più inconsueto nell'odierno panorama cine-televisivo? Una risposta potrebbe essere poiché, paradossalmente, il divo di Sherlock pare aver desaturato il concetto stesso di "sex symbol" di ogni traccia di erotismo, pur continuando ad esercitare un innegabile ascendente sulle sue folte schiere di ammiratrici. Se altri beniamini del pubblico tendono ad esaltare la sensualità dei propri personaggi, Cumberbatch, al contrario, ha offerto le sue performance di maggior spessore dando vita ad "eroi" totalmente intellettuali, i quali azzerano o reprimono la componente più marcatamente sessuale (Carlo Emilio Gadda l'avrebbe definito il "quanto di erotia"). E in fondo chi è Alan Turing - l'Alan Turing di The Imitation Game, beninteso - se non una variante dello Sherlock Holmes della serie TV? Riflettiamoci: tanto Sherlock quanto Turing sono due uomini geniali e del tutto consapevoli del proprio genio, privi di falsa modestia e che, anzi, non perdono occasione per ribadire il proprio status di "primi della classe" (in inglese definiremmo ciascuno di loro the smartest guy in the room).
Sherlock non lesina battute all'indirizzo della polizia, ma anche del suo amico Watson, vantando un'intelligenza incommensurabilmente superiore alla media; Turing mette più volte in imbarazzo i suoi collaboratori, attirandosi le antipatie dell'intero gruppo. Sherlock e Turing sono due eroi anticonvenzionali proprio in quanto caratterizzati da un elemento di sociopatia che li contraddistingue in misura ineludibile (ma d'altronde, perfino alcuni supereroi dei fumetti assumono comportamenti da sociopatici). Al carisma strabordante e sopra le righe di un Iron Man, tanto per fare un esempio agli antipodi, i personaggi di Cumberbatch oppongono una strenua fermezza nel ribadire, in maniera addirittura snobistica, la loro distanza dal resto del mondo; così come sia Sherlock che Alan Turing sono due protagonisti sostanzialmente "asessuati". In The Imitation Game, Turing non si limita a reprimere la sua omosessualità per motivi giudiziari: è un personaggio che, per come viene percepito dallo spettatore, cancella ogni istinto sessuale, ogni traccia, anche latente, di omoerotismo; ed è forse l'unico limite di una pellicola in cui uno dei temi chiave è proprio la sofferenza di un desiderio negato e soffocato, tanto da condurre il protagonista verso l'autodistruzione.
Meno esplicita, ma al contempo decisamente più ambigua è invece la sessualità di Sherlock: in uno dei primi dialoghi fra lui e Watson, in una scena in cui un cameriere scambia i due coinquilini per una coppia di innamorati, John domanda a Sherlock se abbia una fidanzata. La risposta vagamente allusiva del detective ("Girlfriend, no... not really my area") suscita il breve imbarazzo del dottor Watson, convinto dell'omosessualità di Sherlock, fin quando l'investigatore non precisa di considerarsi "sposato al suo lavoro". E dopo aver visto The Imitation Game, potremmo quasi immaginare che Sherlock sia, tutto sommato, una sorta di Alan Turing dei nostri giorni, in grado di ardere di passione solo quando è in procinto di risolvere uno dei suoi enigmi ritenuti impossibili. Due uomini prigionieri del proprio talento, irrimediabilmente solitari e disposti senza esitazione al sacrificio di se stessi pur di adempiere alla loro vocazione; e appunto per questo, due eroi dai contorni tragici ma di straordinaria modernità.
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