Recensione The Imitation Game (2014)

Quello di Tyldum è un biopic lucido ed emozionante, che coniuga al meglio esigenze spettacolari e ricostruzione storica, illuminato da un protagonista in stato di grazia.

Dopo il recente trionfo al Festival di Toronto, e le altrettanto positive impressioni riportate dall'ultimo London Film Festival (dov'è stato pellicola di apertura) The Imitation Game si prepara a sbarcare anche nelle nostre sale. Lo fa, il film di Morten Tyldum, con una già solida fama di successo annunciato, possibile protagonista della prossima Notte delle Stelle: non solo per la già celebrata prova di Benedict Cumberbatch, ma anche per un tema, e una struttura narrativa, che sembrano particolarmente adatti a incontrare i gusti dell'Academy.

Eppure, il biopic dedicato alla figura di Alan Turing, genio ed eroe di guerra, pioniere della moderna informatica, ha ragioni di interesse che vanno ben oltre il battage pubblicitario, il cammino verso la celebrazione losangelina, la comunque impressionante prova di Cumberbatch: quello di Tyldum è infatti un film che interroga (anche) la società moderna sul tema dei diritti, sulle ragioni e le lacerazioni di un conflitto, sul tipo di società che si è voluto difendere e sulla sua capacità di essere, davvero, modello alternativo agli orrori che il nazifascismo voleva imporre. Una figura tragica, e per molti anni misconosciuta, come quella di Turing, la sua incredibile vicenda storica e umana, restano come monito e pressante richiesta; una richiesta alla quale ancora non si è saputo dare una risposta definitiva. Il tema dei diritti civili negati, del quale il geniale matematico si è fatto (suo malgrado) emblema, resta un tema aperto, in diversa misura, in ogni angolo del mondo. È abbastanza scontato, in questo senso, che un film come quello di Tyldum presenti un supplemento di interesse, che trascende anche le considerazioni meramente cinematografiche.

La scansione temporale

The Imitation Game: la prima immagine di Benedict Cumberbatch
The Imitation Game: la prima immagine di Benedict Cumberbatch

La sceneggiatura di Graham Moore (datata 2011, e già inserita nella Black List dei migliori progetti non realizzati di quell'anno) sceglie di suddividere la storia in tre piani temporali, che si alternano sullo schermo lungo tutta la durata del film: quello dei primi anni '50, durante il quale Turing, in seguito alla segnalazione di un furto compiuto in casa sua, si ritrova in stato di arresto con l'accusa di omosessualità (reato penale per la legge britannica di quegli anni); quello del 1939, quando il brillante neolaureato viene assunto dall'esercito inglese, col compito di decriptare i codici della macchina tedesca denominata Enigma; e infine quello del 1927, che mostra un Turing adolescente, timido e vittima di bullismo, che si appassiona alla crittografia grazie all'unico amico Christopher, con cui sviluppa nel tempo un rapporto sempre più profondo.
Il cuore della narrazione, e la parte che, in termini quantitativi, è prevedibilmente preponderante, è quella del periodo bellico: qui, troviamo un Turing inizialmente isolato, narcisista, fiducioso nei suoi mezzi al limite del disprezzo altrui, che lentamente impara a guidare un team, e ad accettare l'apporto dei suoi colleghi. In ciò, gioca un ruolo fondamentale la fiducia di Stewart Menzies, capo del servizio segreto MI6, che ha intuito le capacità del matematico, nonché l'amicizia e la collaborazione di Joan Clarke, matematica dalle capacità fuori dal comune. L'iniziale rapporto di collaborazione nella squadra diviene presto vera amicizia, giocando un ruolo preponderante nel raggiungimento di quello che sembrava un obiettivo impossibile. I successi lavorativi sono costantemente contrappuntati da una vita personale oscura e tormentata, riflessa nei frammenti narrativi proiettati in avanti e all'indietro: quelli che vedono da una parte un Turing disilluso, vittima del disprezzo di quella società che aveva contribuito a difendere, e dall'altra un ragazzino costretto a nascondersi, mimetizzando se stesso, e i suoi sentimenti, dietro un codice a cui (quasi) nessuno ha accesso.

Una sofferenza suggerita

In un film con queste premesse, e dal soggetto tanto "ingombrante", risulta, prevedibilmente, in primo piano la prova di Cumberbatch: una prova, è bene dirlo, maiuscola, che rivela un'aderenza pressoché totale al personaggio. Lo sguardo obliquo, gli occhi ora inquisitori ora persi in territori sconosciuti, l'inquietante capacità di essere, nello stesso momento, sul posto e altrove: risulta difficile, dopo aver visto all'opera l'attore britannico, immaginare un Alan Turing con un volto diverso. Impressiona, al netto dell'incredibile capacità mimetica dell'attore, l'abilità nel modulare i diversi registri della recitazione, il controllo nel gestire i momenti più umoristici disseminati nel film, la capacità di rendere, nelle sequenze finali, tutta la portata tragica di un declino imposto. Una Keira Knightley intensa quanto controllata, e un Mark Strong sornione e magnetico, risultano i principali, migliori comprimari di un lavoro interpretativo sul cui livello non si può discutere.

La prova del protagonista, e quella d'insieme del cast, sono comunque valorizzate da una sceneggiatura attenta ed equilibrata, che si muove con disinvoltura tra i tre piani temporali della vicenda; mostrando l'evoluzione di un personaggio che acquista, lentamente, consapevolezza della portata del suo ruolo, ma che appare sempre segnato da un destino in qualche modo scritto, ben rappresentato dai salti temporali della narrazione. Nel personaggio, grazie alla sintesi raggiunta dalla scrittura e dalla prova di Cumberbatch, non viene mai a mancare quell'afflato tragico, quel senso funesto di predestinazione, che informa di sé anche le vittorie, i momenti di gioia, le soddisfazioni di un conseguimento per altri impensabile. Nel volto del protagonista è sempre presente quello scarto, quel non detto, segno di una sofferenza che il film, per gran parte della sua durata, sceglie solo di suggerire. Non mancando tuttavia, nei minuti finali, di rivelarne le tragiche, ultime conseguenze.

Un biopic di genere

The Imitation Game: una drammatica scena con Benedict Cumberbatch
The Imitation Game: una drammatica scena con Benedict Cumberbatch

Talentuoso regista norvegese, Tyldum si è messo in luce nel 2011 col thriller Headhunters; e la dimensione di genere, la narrazione attraverso i meccanismi della suspense, la costruzione di un intreccio ricco e denso, non mancano neanche in The Imitation Game. Il regista mostra di conoscere modi e tempi narrativi del genere spionistico, e ne trasporta bene la logica nel suo racconto: il quartier generale del protagonista è luogo di segreti e spie, lento rivelatore di un intreccio politico di cui lo stesso Turing solo in un secondo momento comprende (e accetta) l'estensione. In tutto il film è presente il peso di una riflessione morale forte, in un contesto, come quello bellico, in cui la morale passa in secondo piano: il protagonista è consapevole di possedere, dal suo minuscolo rifugio, un potere di fatto superiore a quello di un capo di stato, nel poter decidere le sorti di un conflitto mondiale. Una riflessione che deflagra nel momento in cui la macchina da lui creata raggiunge finalmente il suo scopo, e Turing prende la sofferta decisione di servirsene con parsimonia: una scelta che provoca il sacrificio immediato di vite umane, nel nome della vittoria del conflitto. Il contrasto, forte, tra una guerra "manifesta", quella fatta di fango, carne e sangue, combattuta sul campo di battaglia, e una, ben più decisiva, che si gioca sul terreno dell'informazione, è presente in controluce per tutto il film: un peso di cui lo stesso Turing, soldato suo malgrado, si rivela ben consapevole. È in questo forte afflato da cinema morale, che costantemente contrappone il privato al collettivo, la sofferenza suggerita del protagonista a quella manifesta di un'intera nazione (e, per esteso, dell'umanità tutta) che il film di Tyldum trova un suo, importante, valore aggiunto.

Conclusioni

The Imitation Game: una scena del film
The Imitation Game: una scena del film

La sua caratura da blockbuster, e la corsa verso gli Oscar, non devono essere motivo di snobismo verso The Imitation Game: il film di Tyldum riesce infatti a coniugare, nel migliore dei modi, rigore ed emozioni, narrazione di genere e ricostruzione storica, illuminando una figura complessa la cui vicenda pone questioni, tuttora, irrisolte. Una visione emotivamente forte, quanto intellettualmente pregnante.

Movieplayer.it

4.0/5