Una nuova squadra di sceneggiatori ad affiancarlo, Nicola Guaglianone e Menotti, un film che omaggia con un pizzico di nostalgia le sue maschere anni '80, una Roma pacificata, quasi idealizzata ed un slancio creativo che culmina nella scena psichedelica in cui balla strafatto di droga. È un Carlo Verdone spietato con se stesso, realista, malinconico, pronto a fare i conti con i suoi quarant'anni di carriera, quello che presenta a Roma il suo ultimo film, Benedetta follia.
"Ma quale maestro! Più vado avanti e più sento la fragilità che avanza. Ci sono volte in cui mi sento inadeguato e con il passare del tempo mi capita sempre di più, ma forse dopo quarant'anni di lavoro è anche normale", rivela. "Ogni volta è un ricominciare da capo sempre più faticoso, quella con Guaglianone e Menotti è stata una svolta benedetta, perché sono riusciti a farmi fare cose differenti. La difficoltà maggiore è scrivere nuove situazioni, perché le hai già fatte e non puoi farle rivedere al pubblico.
Ho mille dubbi e fragilità, ma ho preso questo film con molta determinazione e serietà perché avevo la responsabilità delle mie attrici: non mi perdonerei mai di far sbagliare un attore, preferirei sbagliare io".
In Benedetta follia è l'unico protagonista maschile, il resto del cast è composto da donne (Ilenia Pastorelli, Maria Pia Calzone, Lucrezia Lante della Rovere, Paola Minaccioni), tante, energiche e solari: "È il film in cui ho meno diretto i miei attori, erano molto in parte e non ho fatto una gran fatica, ecco perché forse mi sono concesso qualche volo pindarico in più".
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Tra musical, balli, social e donne
Il musical, la commedia, il fantasy e un Verdone più classico. Come è nata l'idea?
Nasce da un incontro avvenuto nell'ufficio di Aurelio De Laurentiis con Nicola Guaglianone e Menotti che mi proposero due soggetti appena abbozzati. Mi interessavano tantissimo entrambi: uno era molto più attuale e raccontava di una famiglia con un uomo al centro, l'altro era il film che poi ho fatto, una storia assolutamente al femminile con unico personaggio maschile. Questo mi ha incuriosito molto più del primo, perché si parlava di sentimenti e relazioni al tempo della applicazioni, ma era anche la storia di un uomo in difficoltà e del suo incontro con una ragazza diversa, che lo aiuta a rimettersi in pista.
In questo film sei circondato da figure femminili...
La donna è il mio sparring partner ideale, perché mi mette sempre in difficoltà e più contrasto c'è più riesco a trovare situazioni comiche e divertenti, e a creare degli sviluppi nella storia.
Mi piaceva inoltre l'idea di tornare a lavorare con delle donne, perché sono i film a me più congeniali: pensate a Io e mia sorella, Maledetto il giorno che t'ho incontrato, Viaggi di nozze o L'amore è eterno finché dura. Dopo aver fatto Posti in piedi in paradiso e L'abbiamo fatta grossa mi intrigava poter esplorare di nuovo il mondo femminile, soprattutto in un momento di grande smarrimento come quello che stiamo vivendo. E così tre giorni dopo quell'incontro ci siamo messi a lavoro. Un anno e mezzo prima avevo scritto cinque soggetti, tre dei quali credo siano ancora molto validi, li ho scritti con un altro team e prima o poi uno di loro dovrà essere ripreso e rimesso a posto, perché mi piacevano moltissimo, ci credevo e continuo a crederci. Ma mi sono trovato molto bene a lavorare con questa idea e ho fatto di tutto per esaltare al massimo le mie attrici, tutte straordinarie, vere e molto naturali. E poi stare in un angolo del ring e essere menato è la mia condizione ideale!
Come ti hanno convinto a ballare nella scena psichedelica coreografata da Luca Tommassini?
L'idea di farmi ballare è stata di Guaglianone e Menotti, da solo non avrei mai fatto un volo pindarico del genere, perché di solito sono molto attaccato al reale; loro hanno insistito molto convincendomi che forse era arrivato il momento di azzardare e uscire fuori, dare slancio alla creatività, ma prima di accettare mi sono preso un giorno per rifletterci.
È stata scritta interamente da loro due, gliel'ho affidata completamente perché non era mio territorio.
Loro scrivevano e io pensavo: "Speriamo bene... ma ti pare che improvvisamente arriva una pasticca gigante dall'alto? E io che volo per Roma?". Mi sembrava di entrare in un altro tipo di filmografia, ma alla fine ho capito perché andava fatta. La scena era molto più complessa all'inizio, poi l'abbiamo semplificata; abbiamo realizzato degli storyboard ed è stato anche molto faticoso farli, ma erano necessari perché non era una roba che potevi giocarti al montaggio. Se è venuta bene è merito loro, io ho fatto solo l'esecutore.
Sia Maria Pia Calzone, sia Ilenia Pastorelli sono molto diverse da come le abbiamo viste in passato, sono molto più solari e divertenti. Come hai lavorato a questo aspetto?
Volevo fare un film sulla serenità e arrivare alla fine raggiungendo un momento di grande pacatezza, ci tenevo che ci fosse un grosso abbraccio tra i protagonisti, e che in qualche modo potessi darlo anche al pubblico; credo di esserci riuscito con quel finale a cui sono molto affezionato. Quella passeggiata notturna, la Roma di notte pacata e serena: è stato come darmi una carezza e darla anche al pubblico e alla mia città. Ho cercato di rappresentarla nel migliore dei modi senza andare a cercare le magagne, l'ho fatta vedere per quello che è davvero e spero che un giorno possa tornare a essere la Roma che ho mostrato nel mio finale. Volevo la leggerezza di cui tutti abbiamo bisogno.
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Dagli omaggi all'amore per Roma
Si può considerare la scena allo specchio una sequenza metacinematografica in cui rivedi il tuo passato e ti proietti in un'altra dimensione?
È un omaggio a ciò che avevo fatto prima. Se dovessi fare una riflessione su quello che ero mi sembra che sia passato davvero moltissimo tempo, quarant'anni di carriera sono tantissimi, ma è stato un periodo fantastico. Una volta scrivevo film pensando ai personaggi: Troppo forte ad esempio, o Viaggi di nozze, Acqua e sapone sono nati così, poi arriva il momento in cui il tuo viso inizia a essere un'altra machera e non puoi più permetterti di fare determinate cose, allora ho deciso di partire dalle situazioni e non più dai personaggi, pensiamo a Posti in piedi in paradiso, Sotto una buona stella o Io, loro e Lara. Ora sono più attaccato ai temi, ma nulla vieta che un giorno possa tornare un personaggio, ovviamente della mia età. Ma va bene così, è il naturale percorso di un attore, si aprono altre opportunità, non puoi permetterti delle cose ma puoi farne altre e devi stare più attento al soggetto e alla storia.
Nella scena con Francesca Manzini ti sei ispirato a Harry, ti presento Sally?
Anche in questo caso l'idea è stata di Nicola e Menotti. Quando me la proposero saltai dalla sedia, gli dissi: "Ma siete matti? Ma qui mi fate vietare il film!" e loro mi risposero che si poteva fare, di pensare a Harry ti presento Sally. È stata una sequenza molto delicata, bastava sbagliare una cosa e sarebbe diventata volgare, invece l'abbiamo sfangata.
Perché hai scelto uno sguardo così accondiscendente su una città con cui a ragione negli ultimi anni molti non lo sono?
Vista dall'alto Roma è sempre bella. Ieri sera tornavo in aereo da Palermo, la guardavo da lassù ed era bellissima, ha sempre una sua poesia, purtroppo quando scendi nei dettagli non è così. Ho rappresentato la mia città così come vorrei rivederla al più presto, purtroppo ci vorrà molto tempo, c'è un lungo lavoro da fare e prima faranno meglio sarà perché Roma è il biglietto da visita di questo paese. L'ho voluta fare bella e non perché mi sia stancato di leggere articoli sul degrado, ma perché per una sera merita di essere truccata e resa nel migliore dei modi.